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 14 novembre 2012 - 29 Cheshwan 5773
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david sciunnach
David
Sciunnach,
rabbino 


“Scavò un altro pozzo e su questo non vi fu lite. Gli diede il nome di Rechovòt - ampi spazi - e disse: perché ora il Signore ci ha concesso ampiezza …”(Bereshìt 26, 22). Ramban, Rabbì Moshè ben Nachman, interpreta questo verso indicando che i precedenti due pozzi, sui quali vi era stato scontro con le altre popolazioni, stanno a simboleggiare i primi due Batè ha-Mikdàsh, cioè i due Santuari di Gerusalemme che sono andati distrutti, perché i nemici del popolo d’Israele hanno avuto la forza materiale e la malvagia disposizione di colpirli. Il terzo pozzo invece, quello di Rechovòt, indica il terzo Tempio, quello che è di là da venire, che non sarà oggetto di alcun cattivo proposito né di alcuna aggressione da parte dei gentili, e che sarà - appunto - “Rechovòt”, ossia simbolo di una sopravvenuta epoca di agi e di tranquillità per tutta l’umanità.

 Davide 
Assael,
ricercatore



davide Assael
Se i singoli Stati si stanno dimostrando impotenti di fronte a logiche economiche che li sovrastano, lo stesso sembrerebbe verificarsi rispetto alle dinamiche politiche. Se, infatti, Alba d’Orata, Jobbik e compagnia bella hanno tutto il diritto di presentarsi alle elezioni dei rispettivi Paesi, saranno invece censurati da Facebook, che,in seguito a numerose denuncie, ha deciso di chiudere le pagine dei membri del partito greco. Regola che, presumibilmente, fungerà da monito e da linea guida per gruppi affini. Si conferma, dunque, che imprese trasnazionali hanno più potere e forza di molti parlamenti. Meno male, si direbbe…

davar
Qui Venezia - Adei, dibattito e passione al Premio ragazzi
Due libri totalmente diversi per stile narrativo, ambientazione temporale e geografica, provenienza degli autori. Eppure le due opere finaliste della sezione ragazzi del Premio letterario Adelina Della Pergola organizzato dall’Associazione donne ebree d’Italia, affiliata alla Women International Zionist Organization, hanno entrambe appassionato e spinto al confronto le classi degli otto licei italiani (di Milano, Cinisello Balsamo, Venezia, Roma e Piacenza) chiamate a scegliere l’opera vincitrice. Alla fine, su Un caso di ordinario coraggio di Pascale Roze (Guanda, 2011), l’ha spuntata Per terra e per mare (Neri Pozza, 2011) dell’americano Mitchell J. Kaplan, che ha incontrato gli studenti al liceo Foscarini di Venezia. Le vicende degli ebrei perseguitati nella Spagna del 1492, cacciati o costretti a convertirsi, intrecciate all’avventura di Cristoforo Colombo verso la scoperta dell’America hanno convinto i ragazzi più della storia di Itsik, ebreo polacco a Parigi durante la seconda guerra mondiale. All’incontro veneziano introdotto da Victor Magiar, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega alla cultura, hanno partecipato, oltre a Kaplan, Patrizia Ottolenghi, responsabile del Premio, che ha portato il saluto dell’Adei, e il giornalista Roberto Riccardi. Tanti gli spunti di riflessione prontamente colti dai liceali, a partire da quelli offerti dal libro premiato: la sua approfondita ricostruzione storica, apprezzata dai ragazzi “perché ci ha consentito di scoprire avvenimenti che nei testi scolastici sono a malapena citati”,  e la complessità dell’identità ebraica, che ha spinto uno studente a domandare se ancora oggi esistono ebrei che vogliono o sono costretti a nascondere di esserlo.
Esplicita una ragazza nello spiegare la sua preferenza per l’opera di Kaplan su quella di Roze “Per quanto penso che sia impossibile rendere davvero il senso di quello che è accaduto durante la Shoah, ho trovato che Un caso di ordinario coraggio fosse particolarmente inadeguato nel tentare di farlo”. Anche il tema della Memoria è stato oggetto di appassionato dibattito. Qualcuno ha sottolineato la necessità non di diminuire l’attenzione rivolta alla Shoah, ma di approfondire maggiormente altri genocidi commessi nella storia. Altri hanno invece sostenuto con determinazione la necessità di intensificare lo studio del periodo della seconda guerra mondiale, perché ancora troppo alto è il numero di giovani che non ne ha conoscenza sufficiente.
Al termine dell’incontro, un rinfresco a base di dolci tipici ebraici veneziani e, per gli studenti provenienti da fuori città, una visita guidata all’antico ghetto.
“È davvero straordinario vedere la passione con cui i ragazzi leggono e partecipano al Premio letterario – il commento di Patrizia Ottolenghi – Penso sia il segnale più importante per capire che lavoriamo nella direzione giusta”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Torino - Batsheva Dance chiude in bellezza
Si è conclusa ieri sera la tournée italiana della Batsheva Dance Company, che ha portato il formidabile ensemble israeliano ad esibirsi a Romaeuropa e Torinodanza, fra i maggiori festival culturali del nostro paese. Basterebbero le sale stracolme e i commenti entusiastici a decretarne il successo ma altro aggiungono i lunghi minuti di applausi che hanno sia inframmezzato gli spettacoli (soprattutto lo spettacolare DecaDance, che essendo una sorta di percorso antologico si presta di più all’apprezzamento delle singole scene) sia tentato in tutti i modi di trattenere in scena i danzatori, le emozioni. E di questo principalmente parlava il pubblico all’uscita degli spettacoli, di come si trattasse di “emozione pura”, che è poi il commento più sentito, sia a Roma che a Torino. E in effetti i danzatori sono forti sia della spettacolare bravura tecnica che del raffinato lavoro portato avanti da Ohad Naharin con il suo Gaga, quel linguaggio del movimento che permette di raggiungere una profonda consapevolezza di sé attraverso il corpo e i suoi movimenti. Sono così stati capaci di mostrarsi nella loro specifica forma, forza e vulnerabilità e hanno messo in scena immagini ed emozioni, sono stati perfetti sia negli assoli che nelle scene corali in cui sono riusciti a restare distinti, speciali, ognuno con la propria personalità in evidenza.
Questa forse è la cosa che più colpisce: sono tanti, in scena, danzano tutti insieme, singolarmente, a piccoli gruppi, e non sono mai una massa indistinta o irriconoscibili. Basta poco, un minimo di attenzione, e ognuno riesce a staccarsi e distinguersi, diventare persona, poi personaggio. Nonostante si possa presumere che abbiano carne e ossa come tutti noi sembrano essere fatti di un materiale diverso, liquido, capace di cambiare forma in un attimo, di passare dalla forza alla leggerezza, dalla rabbia più potente all’allegria senza soluzione di continuità.
In Sadeh21 è percepibile un cambio di rotta, una evoluzione del lavoro della Batsheva che ha portato a uno spettacolo nuovo, differente da tutto quello che è stato visto prima, in cui i contrasti sono così forti da lasciare spiazzati, senza parole, davanti a immagini che pur portando ad atmosfere sfumate hanno una loro fortissima presenza e fisicità. Al contrario Deca Dance è una esplosione di energia, di vitalità, di giochi che pur nella loro serietà e a volte anche apparente tragicità mantengono una leggerezza e una pulizia formale che lasciano storditi. Ed è impossibile non applaudire a scena aperta, e sorridere con i danzatori, che si lanciano nelle coreografie più impossibili con quelle che sembrano essere audacia e follia ed invece sono solo bravura, e bellezza.

a.t. twitter@atrevesmoked
 

Qui Milano - Bookcity, ebraismo a portata di libro
Un'iniziativa che avrà al centro la lettura e i lettori, un momento di scambio, riflessione, arricchimento per tutti i gusti e le sensibilità. Come già annunciato da David Bidussa, questo fine settimana Milano si prepara a ospitare la prima attesissima edizione di Bookcity con centinaia di eventi distribuiti su tutto il territorio cittadino. Incontri con gli autori, presentazioni di libri, dialoghi, letture ad alta voce, mostre, spettacoli, seminari: un programma di grande interesse che, grazie all'impegno congiunto della casa editrice Giuntina e della Comunità ebraica milanese, avrà anche una significativa declinazione “jewish”.
L'appuntamento, domenica pomeriggio alla sinagoga centrale di via della Guastalla, è infatti con Jewish and the City-L'ebraismo a portata di libro. Un viaggio ricco di suggestioni e con ospiti autorevoli del mondo della cultura e del giornalismo che si snoderà nei meandri dell'identità ebraica attraverso alcuni libri del catalogo Giuntina. Un volume di riferimento, una tematica, un ospite chiamato ad offrire una riflessione specifica sui punti sollevati nel testo: Jewish and the city, spiega l'editore Shulim Vogelmann, “vuol essere l'occasione per partire da argomenti prettamente ebraici e sviluppare, nel solco di quella che è sempre stata la nostra filosofia, concetti in grado di coinvolgere, essere utili e condivisibili da chiunque”.
L'incontro si aprirà alle 15 con i saluti del rabbino capo rav Alfonso Arbib, del vicepresidente della Comunità ebraica Daniele Cohen e dello stesso Vogelmann. Ad offrire una prima panoramica sul tema 'Libri, lettori, identità' sarà David Bidussa, mentre sono cinque le opere individuate per dare vita a questo intrigante viaggio tra le parole e i pensieri. Scrivere dopo per scrivere prima di Giacoma Limentani (presentazione di Andrè Ruth Shammah), Angeli e Uomini di Catherine Chalier (Giulio Giorello), L'ebreo e l'ebraismo nell'opera di Rembrandt di Anna Seghers (Giulio Giorello), LTI. La lingua del Terzo Reich di Victor Klemperer (Stefano Levi Della Torre) e Le mie migliori barzellette ebraiche di Daniel Vogelmann (sarà presente l'autore).

a.s – twitter @asmulevichmoked

pilpul
Ticketless - Le Nord in Largo Canova
Le ferrovie entrano nelle case degli ebrei italiani di solito per tristi memorie: dal Binario ventuno di Milano partivano i convogli della morte. Sempre a Milano, da Cadorna i treni delle Nord (oggi Trenord) prima di scorrere sotto una via Eupili traboccante di storia novecentesca, in Largo Canova, sfiorano il giardino di Guido Lodovico Luzzatto (1903-1990). Oggi, in quelle belle stanze (www.fondazioneguidoluzzatto.it) si conservano carteggi con Martin Buber, Thomas Mann e molti altri intellettuali; una competente studiosa, Valeria Iato, guida il visitatore in archivio, ma è soprattutto il luogo a colpirci, il senso di Heimat che si respira. Purtroppo i binari scorrono così in basso da impedire al viaggiatore di osservare le meraviglie artistiche della casa. Luisa Sanguinetti, madre di Guido, era stata in giovinezza a Bologna amica di Carducci, poeta di treni e di stazioni per eccellenza, ma di questo appartato studioso va sottolineata la capacità di radiografare la profondità del male che il fascismo produsse negli ebrei italiani ancora prima di perseguitarli: “L’oppressione è penetrata fino al midollo”, scriveva nel febbraio 1933. “Disse una volta un commentatore che la vera schiavitù degli Ebrei in Egitto consisteva nel fatto che essi avevano appreso a sopportarla. […] quelli che resistono – non soltanto passivamente, ma nella lucida coscienza dell’ignominia e nell’attivo desiderio di riscattarla – somigliano ai rari viaggiatori svegli, in un treno in corsa in cui la maggioranza si è addormentata: il sonno è rumoroso, è comunicativo, è denso e opprimente. Degli occhi sbarrati, dei cervelli in moto sono un prodigio di incolumità”.

Alberto Cavaglion

Veleni
Francesco LucreziLa macabra pagliacciata della riesumazione della salma di Arafat (prevista per il prossimo 26 novembre, nel quadro di un bizzarro scenario di diritto penale internazionale, con una complessa e inedita cooperazione tra sistemi giudiziari francese e palestinese, su denuncia della vedova Suha, secondo cui il marito sarebbe stato avvelenato col polonio) ha riproposto all’attenzione dei media la figura di un personaggio che, indubbiamente, ha ininterrottamente dominato la scena mondiale per decenni e del quale, francamente, non si avvertiva molto la nostalgia.
Assolutamente nessuna curiosità, nessuna ‘suspence’, da parte nostra, riguardo all’esito delle raffinate perizie a cui i tecnici francesi e palestinesi sottoporranno i resti del defunto, con i più sofisticati sistemi di analisi, perché il risultato dell’operazione, comunque, è già pienamente raggiunto e passato alla storia. Se si troveranno le tracce di polonio, la ‘verità storica’ sarà che Arafat è stato ucciso, indovinate da chi; se non si troveranno, sarà l’ulteriore prova che il micidiale Mossad è tanto efficiente non solo da eliminare i propri nemici, ma anche da eliminare le tracce dell’eliminazione; se i pareri saranno discordanti o incerti, la dimostrazione della macchinazione sarà ancora più evidente. Non interessano a nessuno, pertanto, le inutili spiegazioni di chi ricorda, assolutamente inascoltato, che il polonio ha un tempo di dimezzamento di 138 giorni, il che vuol dire che ogni quattro mesi e mezzo metà della sostanza decade e se, due anni fa, ne sono state trovate tracce negli effetti personali del leader, ciò vuol dire che l’esposizione alla sostanza deve essere stata necessariamente recente (a meno che, al momento della morte del leader, ossia otto anni fa, ne sia stata messa una quantità tale da sterminare l’intera Palestina). Si tratta di considerazioni del tutto inutili, la sentenza è già scritta.
Se ci si può interrogare sulla durata della capacità nociva del polonio, piuttosto, pochi dubbi sussistono sulla durata della nocività della persona di Arafat, che, a otto anni dalla scomparsa, dimostra ancora un’invidiabile forza di irradiazione. Campione indiscusso di ambiguità, camaleontismo, teatralità, doppiogiochismo, Arafat ha saputo offrire al mondo, come nessun altro, un variegato ‘menu’ di approccio all’ebraismo, fatto di innumerevoli portate, adatte a tutti i palati: dal più rozzo ed esplicito antisemitismo ai più fumosi e bizantini proclami di pace, dalle più sanguinarie ed efferate stragi ai più radiosi e smaglianti sorrisi, con dei fantastici piatti di fiori e pallottole, carezze e pugnali, panna e veleno. In virtù di tale variegata capacità culinaria, ha goduto di un successo senza pari, godendo di lunghi anni di ininterrotta preminenza, al riparo da qualsiasi tentativo di ‘rottamazione’. Premio Nobel per la Pace (perché no?), intervistato quasi quotidianamente dalle principali testate del mondo, ospite fisso del Vaticano (ben 12 colloqui personali solo con Giovanni Paolo II, record assoluto), “guest star” dell’Assemblea dell’ONU e di molti Parlamenti nazionali (tra cui l’italiano), interlocutore di riguardo di sovrani, Capi di Stato e Primi Ministri, Arafat è stato ammirato da politici di destra, di centro e di sinistra, da masse di poveri diseredati e da regine e principesse, da barbuti tagliatori di gole e da paciosi borghesotti in doppiopetto, da fanatici bombaroli analfabeti e da raffinati artisti e intellettuali, permettendo a tutti – a ciascuno secondo il proprio gusto – di scegliere il modo preferito di risolvere la “questione ebraica”. Nel ristorante Arafat ce n’era per tutti i gusti, chiunque entrasse poteva essere ottimamente servito “à la charte”. Nessuno, dopo di lui, ha potuto neanche lontanamente avvicinarsi al suo livello.
Buon lavoro agli esperti francesi e palestinesi, con la preghiera di non comunicarci l’esito delle indagini. Da parte nostra, pur fidandoci della loro professionalità, non li chiameremo per esaminare i resti delle vittime delle stragi di Lod, Monaco, Ma’alot, Fiumicino e tante altre. Sappiamo come sono avvenute quelle morti, e chi le ha volute.

Francesco Lucrezi, storico

notizie flash   rassegna stampa
Benvenuto Liam   Leggi la rassegna

Benvenuto a Liam che questa mattina è entrato a far parte del Patto attraverso la cerimonia del Brith Milà. Un grande Mazal Tov da parte di tutta la redazione al papà del nuovo nato Gadi Piperno e alla mamma Ilana Raccah!


 

La Maratona di Firenze, in programma tra poco più di una settimana, si tinge di speranza. Otto atleti israeliani e palestinesi, come già annunciato su Pagine Ebraiche di novembre, correranno infatti fianco a fianco per lanciare al mondo un messaggio di pace.



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