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  25 novembre 2012 - 11 Kislev 5773
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Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino


Giacobbe ha detto: "Di giorno mi divorava il caldo e di notte il gelo" (Genesi 31, 40). Il rebbe di Kotzk lo interpreta così: "Di giorno ardevo per il servizio del Signore perché di notte c'era il gelo. Quando si gela di notte, si ha un grande ardore divino di giorno". Per ardere bisogna prima essersi congelati un po'.


David Bidussa, storico sociale
delle idee
   

Matilde Passa
Un mio amico mi ha raccontato che sua nipote che abita a Tel Aviv, nella notte tra giovedì e venerdì, ha anticipato l’inizio dell’orario di lavoro nella pasticceria dove lavora perché gli ordini di dolci per lo shabbat erano aumentati rispetto al solito. La vita quando vuole, trova sempre i percorsi per marcare la propria forza sulla morte. In ogni caso riprendersi la vita con qualcosa di dolce, è sicuramente meglio che sparare per aria, abbandonarsi al pianto, oppure stendere l’elenco degli atti di antisemitismo dell’ultima settimana, sia pure con ironia.

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Qui Roma - Cento anni dal rabbinato di Angelo Sacerdoti
Si è conclusa con l'intervento del rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, la mattinata di studio dedicata ai cento anni dall'insediamento del rav Angelo Sacerdoti, rabbino capo di Roma dal 1912 al 1935 anno della sua scomparsa, organizzato nella sede del Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane dal Collegio Rabbinico Italiano in collaborazione con il Centro di Cultura. Fra le interessanti immagini dell'epoca e l'analisi di documenti originali gli interventi dei vari relatori che hanno indagato a fondo la carismatica figura di questo rabbino che negli anni a cavallo fra le due Guerre caratterizzò in maniera indelebile la vita della comunità ebraica: il rav Gianfranco Di Segni ha parlato della vita e gli studi di Rav Angelo Sacerdoti e il suo insediamento alla cattedra rabbinica di Roma, subito dopo Mario Toscano, docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, ha analizzato gli anni del rabbinato militare di Sacerdoti nell’Italia della Grande Guerra (1915-1918). Ebraismo, sionismo, fascismo: il magistero di Angelo Sacerdoti a Roma è il titolo del contributo della storica Filomena Del Regno, seguito da quello di Angelo Piattelli, responsabile del Museo di Arte Ebraica Italiana U. Nahon di Gerusalemme sul rapporto fra Sacerdoti, la Federazione Rabbinica e il Collegio Rabbinico Italiano e da quello del rav Riccardo Di Segni sul lungo rabbinato di Rav Angelo Sacerdoti a Roma: 1912-1935. La mattinata si è conclusa con alcune testimonianze e ricordi di persone che ebbero modo di conoscere il rabbino.

Qui Milano - Una ragazza al timone dell’Ugei
È Susanna Calimani il nuovo presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia. Al suo fianco come vicepresidenti Sara Astrologo di Roma e Alessandra Ortona di Milano. Ventisette anni, veneziana di nascita, torinese d’adozione (nel capoluogo piemontese sta svolgendo un dottorato in economia e commercio) Calimani è stata scelta dal Consiglio esecutivo 2013 riunito a Milano, sopravanzando Ortona per un soffio (più staccati Benedetto Sacerdoti di Padova e il genovese Moshe Polacco). Complesso il metodo scelto dal Consiglio per la designazione del presidente (voto segreto con la possibilità di esprimere su ciascun candidato un parere favorevole, contrario oppure di astenersi, e l’attribuzione di un conseguente punteggio: due punti per il sì, uno per l’astensione e zero per il no. Alla fine 11 i punti ottenuti da Calimani, 10 da Ortona). Confronto acceso nel prosieguo della riunione dedicata alla scelta dei vicepresidenti: due i punti maggiormente dibattuti, la necessità di creare un equilibrio geografico nell’ufficio di presidenza tra le Comunità di Roma, di Milano e le piccole Comunità, e quella di mantenere l’Ugei al riparo da personalismi o ingerenze. Particolarmente complessa la scelta del vicepresidente romano, considerata la delicatezza dei rapporti istituzionali da intrattenere nella città: dopo un lungo dibattito Astrologo è stata preferita a Raffi Naim. Moshe Polacco nominato infine tesoriere. In corso la riunione per l’attribuzione delle deleghe ai consiglieri.

Qui Cuneo - Tutelare la vita ebraica nei piccoli centri
Cosa vuol dire essere ebrei oggi nelle piccole e piccolissime comunità? Per ritrovarsi, discuterne, confrontarsi su come valorizzare la vita dell’ebraismo “di provincia”, diverse decine di persone sono confluite oggi al Centro sociale della Comunità ebraica di Cuneo per la giornata Da Argon al futuro: ebrei di Provincia in Piemonte oggi, organizzata dal gruppo torinese Anavim. Prevista nel corso della giornata la partecipazione di Giuseppe Segre (presidente della Comunità di Torino), che ha moderato il confronto fra chi da anni si occupa di piccole Keilloth piemontesi per salvaguardarne e valorizzarne il patrimonio, con gli interventi di Davide Cavaglion (Cuneo), Raffaele Pugliese (Ivrea), Aldo Levi (Chieri).
Nel pomeriggio sarà proiettato il film “Le sinagoghe” di Daniele Segre prima della seconda sessione di lavori, introdotta dal vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni, con la partecipazione di Rossella Bottini Treves (presidente della Comunità di Vercelli), Claudia De Benedetti (Casale Monferrato), Luisa Rapetti (Acqui Teme), Paola Vitale (Alessandria), Benedetto De Benedetti (Cherasco), Maria Cristina Colli (Cooperativa Artefacta).

Qui Tel Aviv - Compleanno d'argento per Tsad Kadima
Dopo essere stato costretto a chiudere le porte per dieci giorni, il centro Tsad Kadima di Beersheva ha ripreso la sua normale attività.  Durante il periodo di chiusura lo staff professionale ha però conservato un legame continuo con le famiglie dei bambini per verificare che tutti riuscissero a confrontarsi con le difficoltà imposte dalla critica situazione con Gaza. Si è svolta invece regolarmente la tradizionale serata autunnale vicino a Tel aviv, che ha celebrato i 25 anni della fondazione dell'associazione che si occupa di organizzare e aiutare il percorso formativo dei bambini che soffrono di lesione cerebrale in Israele, a prescindere dalla religione, dal credo o dall'appartenenza etnica. Alla serata erano presenti alcuni rappresentanti delle realta economiche israeliane e del mondo accademico che hanno contribuito al successo della serata comprando I biglietti e riempiendo la sala. Molti e graditi  gli amici italiani che hanno risposto all'appello di Alessandro Viterbo e hanno contribuito al successo della serata, ospiti d'onore  l'ambasciatore d'Italia in Israele, Francesco Maria Talò Ornella,l'addetto scientifico dell'Ambasciata Alessandro Treves,l'attrice Hadas Yaron vincitrice del recente premio alla mostra del cinema di Venezia e Claudia De Benedetti, consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, a rappresentare i molti amici di Tsad Kadima in Italia. L'ambasciatore Talò ha espresso l'augurio che Tsad Kadima possa festeggiare  anche 50 e 100 anni di attività e che continui a fare passi avanti come lo Stato di Israele.

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Tra cinismo e calcoli d’interesse
È troppo presto per fare dei bilanci, così come anche delle precipitose valutazioni, sull’insieme degli elementi che si accompagnano al confronto tra Israele e Hamas, che ha conosciuto una recrudescenza violentissima nelle due settimane appena trascorse. Ancora non sappiamo se la cosiddetta “tregua” reggerà alla prova dei fatti, dopo lo svolgimento dell’operazione «pilastro di sicurezza». Non sorprenderebbe, quindi, se si dovessero registrare nuovi sviluppi sul campo, anche a breve. L’attività di provocazione del movimento islamista è ben lontana dall’essersi esaurita, se non altro perché la sua stessa ragion d’essere riposa nella guerra perpetua ad Israele. Difficile immaginare, a meno che non avvenga una sorta di improbabile rivoluzione copernicana, uno scenario dove i suoi militanti depongano l’ascia di guerra. Alla natura propria di Hamas, che è per così dire vecchia storia, si legano poi due altre cose, che congiurano a favore della prosecuzione delle ostilità: il movimento islamista, egemone nella Striscia di Gaza dopo averla epurata della presenza di Fatah, deve costantemente puntellare il suo potere dinanzi ad una società civile che gli ha offerto il suo consenso ma che adesso chiede contropartite in termini di risorse e benefici; inoltre, esso sconta la concorrenza, sempre più forte, che i movimenti di osservanza salafita e qaedista gli stanno facendo, nel tentativo di strappargli lo scettro, per poi instaurare un fantasmagorico “emirato di Gaza”. Hamas non ha vinto nulla in questo round bellico ma ha cercato di ottenere qualche risultato simbolico, di cui aveva disperatamente bisogno, per dimostrare che il suo potenziale offensivo, e la sua volontà di usarlo contro Israele, sono intatti. Da ciò il ricorso all’uso di missili di media gittata, rivolti contro Tel Aviv e Gerusalemme, così come il tentativo di riprendere le azioni terroristiche in territorio israeliano, malgrado le innumerevoli difficoltà che gli aspiranti “martiri” per fortuna incontrano. L’esplosione sul mezzo pubblico che ha causato ventitré feriti è il primo atto di tal genere che si registra dal 2006, dopo che l’uscita delle Forze di difesa israeliane da Gaza e la perimetrazione della Cisgiordania, attraverso la barriera di protezione, avevano concorso attivamente a ridurre l’impatto di quelle aggressioni contro i civili. Al di là dell’offesa nei confronti delle vittime, questi eventi non mutano alcunché sul piano del bilancio strategico ma intendono mandare un segnale preciso, ossia che per Hamas la lotta proseguirà fino a che l’odiata «entità sionista» non scomparirà. Per gli uomini del movimento radicale l’alternativa è altrimenti secca, trattandosi di scomparire essi stessi o, comunque, di perdere qualsiasi credibilità nei confronti di quei palestinesi di Gaza (quanto siano, al momento, non è dato saperlo) che continuano a sostenerli. Dopo di che la recrudescenza delle violenze si inquadra anche in fattori di lungo periodo e in una logica che va al di là del rapporto antagonistico con Israele. Il primo elemento da rilevare è la perdurante scissione in due della rappresentanza politica palestinese. Parrebbe un riscontro ovvio ma la diarchia tra ciò che resta dell’Autorità nazionale palestinese, insediatasi a Ramallah e guidata dagli screditati eredi di Arafat, da una parte, e i radicali di Mahmud Abbas, oramai ben ramificati nei trecentosessanta chilometri quadrati della Striscia di Gaza, è l’orizzonte della politica araba in quelle che dovrebbero costituire le terre del futuro “Stato di Palestina”. Il divario è incolmabile e, malgrado i tentativi di mediazione intrapresi negli anni passati dagli Stati limitrofi, a partire dall’Egitto, indietro non si tornerà. Non c’è in corso solo una guerra di Hamas contro Israele ma anche dell’islamismo contro al-Fatah nonché l’iconica e senescente Organizzazione per la liberazione della Palestina. La posta in gioco è il controllo della Cisgiordania e, di riflesso, l’influenza su parte della componente palestinese della Giordania. Non è un caso, tra l’altro, se Abu Mazen e i suoi uomini non si siano fatti sentire durante queste settimane, al contempo ripiegati sui problemi di casa propria e solleciti nell’osservare, con un qualche compiacimento, le difficoltà del parente-antagonista. Un altro fattore da considerare è la parabola discendente della «primavera araba». Si tratta di un fenomeno nato perlopiù come insieme di movimenti spontanei di base, rivolti a chiedere una maggiore equità sociale a Stati dove le diseguaglianze sono e rimangono moneta corrente, insieme ad una qualche libertà in regimi rigorosamente oppressivi, e che si trova adesso a registrare i cascami dell’impotenza. Sia pure con andamenti altalenanti e risultati eterogenei, perlopiù conclusisi con l’estromissione o l’eliminazione fisica degli esponenti più compromessi delle vecchie leadership, i tumulti non hanno prodotto nessun reale effetto di liberalizzazione. Purtroppo era una cosa facile da prevedere già a suo tempo, non solo per il pervicace controllo che alcuni gruppi ristretti continuano ad esercitare sui processi decisionali nei paesi dell’area mediterranea e mediorientale ma anche per la marginalità che questi ultimi registrano rispetto al mercato internazionale del lavoro. Nell’insoddisfazione crescente si aprono così fenditure per l’intromissione in campo politico dell’islamismo militante, che si propone come alternativa ai mali della società. In verità più che intorno ad Israele il vero fuoco del confronto geopolitico ruota sull’Africa subsahariana e centrale, quella lunghissima area di terre che parte dalla Mauritania e arriva a ciò che resta della Somalia. È lì che si stanno svolgendo una pluralità di guerre, poco o nulla raccontate dai media italiani e occidentali, poiché dal controllo di quei territori – e delle risorse che si trovano in esse – deriveranno molte delle egemonie regionali e continentali nei tempi a venire. Basti pensare che si ha a che fare con Stati in forte crescita demografica, dove la cospicua presenza cristiana è sempre di più contrastata e nei quali la Cina ha fatto o sta facendo forti investimenti, nel tentativo di aggiudicarsi un ruolo di monopolista, o comunque di soggetto privilegiato, nel controllo delle materie prime. Ha i mezzi materiali e finanziari per cercare di raggiungere questo obiettivo e si sta comportando di conseguenza, contando anche sulle difficoltà, che a volte si traducono in un vero e proprio vuoto, della politica americana, la vera assente nelle vicende di queste ultime settimane. È infatti questo un terzo elemento da considerare e che rimanda al declino dell’egemonia statunitense in diverse aree del globo. Argomento, quest’ultimo, complesso da analizzare e da motivare ma che si riconduce, per più aspetti, all’insostenibile posizione debitoria di Washington (ovvero, delle famiglie americane) e al bisogno di disimpegnarsi dai troppi teatri di confronto. Da tempo Hamas ragiona, per parte sua, su queste cose. Pur essendo un movimento di osservanza sunnita, filiazione dei Fratelli musulmani egiziani, tuttavia, come ogni organizzazione del radicalismo islamista, nel corso del tempo si è dovuta ibridare per potersi consolidare. Lo scoglioso e rapsodico rapporto con l’Iran sciita di Ahmadinejad, sia pure con aspetti e una natura diversa da quello intrattenuto direttamente da Hezbollah, è stato uno dei pilastri della sua ascesa politica. Gli effetti delle sollevazioni popolari di questi due anni hanno sconvolto l’intero quadro regionale. Il vero nodo critico, per Hamas, come per altri soggetti presenti sul proscenio, è il destino della Siria. Che il clan Assad sia destinato prima o poi a cadere è fatto risaputo e anche messo nel conto. Ma i tempi e le modalità hanno il loro peso. Così come anche gli scenari a venire, essendo probabile che il giorno in cui gli alawiti si trovassero defenestrati si andrebbe verso una divisione di fatto del paese, non molto diversamente da quanto è già avvenuto, o sta avvenendo, ne condomini libico e in quello iracheno. Tuttavia è questa un’ipotesi che tormenta i sonni della dirigenza iraniana, preoccupata di trovarsi isolata, in mezzo a una regione controllata da uomini e gruppi che fanno riferimento all’Arabia Saudita, al Qatar e alla Turchia, tre tra i burattinai in queste circostanze. Teheran, in ciò appoggiata da Mosca ma trattata con un occhio di riguardo anche da Pechino (che deve tra l’altro gestire l’articolata presenza musulmana nelle regioni meridionali del paese), da alcuni anni ha quindi intrapreso una sorta di partnership con elementi radicali, ben presenti nelle terre controllate da Hamas, per la fornitura di materiale bellico. Si tratta di una triangolazione che lega l’Iran al Sudan e quest’ultimo a Gaza, per il tramite della quale componenti del materiale missilistico vengono portate a Khartoum e dai lì, una volta assemblate, inviate a destinazione finale. I razzi fatti in casa non hanno altrimenti la gittata dei Fajr 5, utili per raggiungere obiettivi più ambiziosi della regione meridionale d’Israele. Già tempo addietro Gerusalemme aveva proceduto a colpire una colonna di mezzi di trasporto militare in Sudan, così come il 23 ottobre scorso aveva bombardato la fabbrica Yarmuk, proprio a Khartum. Quale sia lo stato dell’arsenale di questi gruppi antagonisti ad Hamas, e dell’organizzazione islamista stessa, allo stato attuale non è facile dirlo. Senza il contributo iraniano e l’acquiescenza egiziana sarebbe probabilmente poca cosa. Ma così come in parte si è ricostituito dopo l’operazione «Piombo fuso», di tre anni fa, è plausibile che, qualora non dovessero intervenire fattori nuovi, nonché inediti, quel potenziale possa di nuovo sedimentarsi. Molto, se non tutto, dipenderà però dal destino delle alleanze che andranno definendosi, quando il quadro regionale sarà meno movimentato – e confuso – di quanto non si presenti ora. Hamas sta senz’altro ragionando su quelli che devono essere i suoi rapporti a venire con gli sciiti. Anche da ciò dipenderà l’atteggiamento che assumerà verso Israele. Poiché quest’ultimo è spesso una cinica variabile di circostanza rispetto alla intelaiatura dei legami con il mondo arabo-musulmano. Più complessi dell’intarsio di un tappeto persiano.

Claudio Vercelli


Nugae - Momenti di trascurabile felicità
Nei momenti di particolare tensione e preoccupazione c’è una medicina che aiuta a stare meglio, un rimedio naturale senza effetti collaterali che l’universo e la letteratura hanno messo a disposizione dell’uomo. Si tratta di tutti quei brevi istanti che punteggiano le giornate, quei quadretti d’impercettibile poesia, quelle vicende minuscole della vita quotidiana che per un motivo o per un altro strappano un sorriso. Trovarli può sembrare difficilissimo perché nella serena regolarità passano quasi inosservati. Ma in realtà quando tutto è grigio si manifestano in modo spontaneo, perché a un cuore in pena sembrano cose enormi. Si gode per davvero con un piacere profondo e genuino delle piccole gioie della vita di tutti i giorni. Orazio lo chiamava carpe diem (in questo senso cogli l’attimo, non “evviva, viviamo come se non ci fosse un domani” come a volte fa comodo interpretare), Francesco Piccolo li definisce efficacemente momenti di trascurabile felicità. Anche l’ebraismo ne fornisce tanti. I pranzi di shabbat con tutta la famiglia a casa della nonna che si trasformano senza accorgersene in un infinito pomeriggio di partite a carte, quando in viaggio si fa amicizia con una coetanea e si scopre casualmente di essere cugine, e quando davanti al Colosseo si incontra un gruppo di turisti israeliani e pieni di entusiasmo e si cerca di ascoltare quello che dicono anche se non si capisce una parola di ebraico. Quando al seder di Pesach il braccio fa male ma non si vuole lo stesso rinunciare a stare appoggiati sul gomito, perché insomma si può solo stasera, e quando otto giorni dopo la festa finisce e si va al ristorante, si ordina con emozione la pizza che ovviamente non arriva mai e poi quando finalmente si dà il primo morso ci si accorge che in fondo è sempre la  stessa cosa, non ha un altro sapore, ma l’anno dopo riscoprirlo sarà una delusione lo stesso. Momenti di trascurabile ebraicità.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche – twitter @MatalonF
           

notizieflash   rassegna stampa
Israele - Likud alle urne
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I membri del Likud si recano oggi alle urne per le elezioni primarie in vista delle politiche del gennaio 2013 in cui il partito di Benyamin Netanyahu si presenterà con quello di Israel Beitenu, del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Cresce l'attesa per il ritorno alla politica attiva di Tzipi Livni, ex dirigente di Kadima e ora, secondo la stampa, impegnata a organizzare una nuova lista centrista con cui presentarsi alle politiche.

 

“La mia Lazio del cuore ha i colori di Israele”. Molto significativa e toccante la testimonianza, oggi su Repubblica, di un tifoso ebreo laziale affranto per i ripetuti fenomeni di antisemitismo tra i supporter biancocelesti (e non solo).  








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