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18 dicembre 2012 -5 Tevet 5773
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alef/tav
linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

Ci sono differenti modi di reagire dopo aver sognato. Yaaqòv si sveglia e dice: “…in questo luogo c’è l’Eterno…e io non lo sapevo…” (Bereshìt, 28; 16). Il Faraone si sveglia e si riaddormenta…e sogna di nuovo (Bereshìt, 41; 5).  

 
Dario
 Calimani,
 anglista





Ammettiamo, con Monti un po’ ci si annoiava. 

davar
Qui Londra - Rav Ephraim Mirvis sostituirà il rav Sacks
Rav Ephraim Mirvis, rabbino capo della Finchley United Synagogue di Londra, una delle più importanti della città, è stato nominato nuovo rabbino capo di Gran Bretagna (nell’immagine assieme al sindaco della metropoli britannica Boris Johnson). A rav Mirvis, 55 anni, originario del Sud Africa, rabbino capo di Irlanda dal 1985 al 1992, il compito di prendere il posto del rav lord Jonathan Sacks, che ricopre l’incarico dal 1991 e che è diventato un’autorità morale non soltanto per gli ebrei inglesi, ma per l’intero paese e anche fuori dai confini nazionali. L’annuncio è stato dato ieri dalla United Synagogue, la federazione delle comunità ebraiche ortodosse del paese. L’avvicendamento è previsto per il prossimo settembre. Rav Mirvis viene da una famiglia di rabbini e insegnanti. Riproponiamo qui un suo intervento sul tema dell’educazione pubblicato nel dossier Melamed di Pagine Ebraiche dello scorso luglio 2012.


Riformare la scuola? Servirebbe un amico

Un antichissimo metodo di studio potrebbe rivelarsi utile per migliorare le scuole britanniche. Il professor Peter Tymms, capo della Scuola di pedagogia della Durham University, ha recentemente pubblicato i risultati di alcune sue ricerche sui sistemi educativi più efficaci. La sua indagine su 129 scuole primarie scozzesi, il campione più grande mai utilizzato sull’insegnamento collaborativo fra alunni di età diverse, ha mostrato che bambini anche di soli sette o otto anni ricevono grande beneficio da sessioni di tutoring uno a uno. Lo studioso vorrebbe ora vedere questo sistema applicato in molte realtà del Regno Unito. “L’esperimento mostra che il modello di tutoring potrebbe essere applicato in distretti scolastici scelti su tutto il territorio nazionale: i ragazzi più grandi hanno molto aumentato le loro conoscenze e capacità diventando tutor e i più piccoli hanno avuto un grande beneficio dall’avere come tutor, in un rapporto uno a uno, dei bambini di poco più grandi”. Un altro autorevole accademico, il professor Keith Topping, della Dundee University, ha riferito di aver ricevuto sul progetto eccellenti feedback da parte degli insegnanti: il 92 per cento ritiene che abbia funzionato bene. I bambini hanno apprezzato particolarmente l’idea di assumere il ruolo di tutor e hanno risposto in maniera positiva a una tale responsabilità. I risultati di questo metodo considerato innovativo sono noti in campo ebraico da molto tempo nella forma della chavruta (studio uno a uno), che è per esempio l’elemento chiave del programma educativo del Kinloss Community Kollel a Finchley, novità significativa per la United Synagogue di Londra. Nell’esaltare le virtù dell’idea stessa di chavruta il saggio talmudista rav Chaninà afferma: “Ho imparato molto dai miei maestri, di più dai miei colleghi, e il massimo dai miei studenti” (Ta’anit 7a). Il modello di apprendimento uno a uno, che è in uso da più di due millenni in campo ebraico, continua ad essere la caratteristica dello studio della Torah nelle yeshivot, nei seminari e nelle scuole religiose ebraiche in tutto il mondo. I risultati ottenuti dal professor Tymms confermano la nostra esperienza. Gli studenti rispondono bene alle sessioni di apprendimento formale guidate da un compagno. Lo studente più debole viene istruito, guidato e ispirato da un ragazzo più preparato, e le conoscenze del partner più preparato vengono meglio strutturate e migliorano grazie all’esperienza di apprendimento condiviso. Inoltre, l’organizzazione in chavruta incoraggia entrambi i partecipanti a sentirsi responsabilizzati oltre al loro compito specifico di apprendimento perché non vogliono lasciare nei guai il proprio compagno di studi. I compagni più grandi spesso trovano che il ripasso del materiale già appreso necessario per insegnare a qualcun altro permette loro di raggiungere nuove ed entusiasmanti profondità nella comprensione. I commenti e le domande dei loro compagni più piccoli, per quanto possano essere innocenti ed ignoranti, possono portare a scoprire e approfondire informazioni e un livello di comprensione che sarebbero altrimenti per loro irraggiungibili. Inoltre la sfida che si presenta quando si devono sviluppare, articolare e sostenere le proprie idee di fronte a un compagno di studi rende più profonda la comprensione e permette di ricordare meglio quanto si è appreso. Due menti che si applicano sullo stesso problema sono quasi sempre meglio di una sola. E in realtà il Talmud si spinge oltre, sostenendo che chi studia la Torah da solo rischia di divenire uno stolto (Berachot, 63a). Il sistema della chavruta spesso aiuta i partecipanti a creare delle connessioni sociali che dureranno tutta la vita. Il termine stesso viene dall’aramaico e significa amicizia. Inoltre il rispetto e la dignità con cui gli studenti si comportano l’uno con l’altro hanno spinto i nostri saggi a dire che “Quando due studenti di Torah si ascoltano a vicenda, Dio sente le loro voci” (Shabbat 63a). Diverse comunità britanniche si stanno accorgendo che il sistema di apprendimento ebraico, se di qualità e presentato professionalmente, attira molti partecipanti. Più di 400 persone hanno partecipato all’evento di apertura del trimestre primaverile del Kinloss Learning Centre, la straordinaria struttura educativa per adulti della Finchley Synagogue, che sta raccogliendo un enorme successo. Il programma educativo è al suo decimo anno di attività, e il suo successo è condiviso da molte altre comunità grazie a programmi di studio per adulti. Mentre le sinagoghe hanno messo in evidenza il significato dei loro nomi, bet hakenesset (casa di ruinione) e bet tefillah (casa di preghiera), la maggior parte delle sinagoghe oggi è anche un vero e proprio shul (dalla parola tedesca che significa scuola) con straordinari programmi educativi per tutte le età. Il Kinloss Community Kollel è stato strutturato in questa direzione: si tratta di un programma innovativo, ad ampio spettro, rivolto sia a uomini che a donne con i background e i livelli di conoscenza più vari, che ha raggiunto il suo terzo trimestre, con grande successo. Il sistema di apprendimento della chavruta è centrale per l’esperienza quotidiana del kollel, attraverso cui i partecipanti hanno la possibilità di sedersi con un compagno a studiare un testo di propria scelta. Che si tratti di una sessione di ripasso dell’alef bet o di una pagina di Ghemarà, l’esperienza della chavruta aumenta il livello della conoscenza ebraica e rafforza l’impegno a mantenere e rispettare i valori ebraici. L’eccitazione di studiare nell’ambiente del Beit Hamidrash insieme ad altre persone motivate è un motivo in più per sentirsi ispirati e per percepire l’ora di studio come una esperienza che arricchisce profondamente. Il sistema della chavruta ha recentemente avuto una evoluzione grazie allo studio di coppia attraverso la possibilità della comunicazione telefonica e le opportunità offerta da Internet e dalla teleconferenza. Il nostro antico sistema di studio uno a uno, sperimentato e testato, sta guadagnando terreno nel mondo ebraico e adesso, ancora di più dopo i risultati delle ricerche pedagogiche, potrebbe diventare un sistema di studio utilmente utilizzato per l’insegnamento in tutte le scuole britanniche.

rav Ephraim Mirvis, Pagine Ebraiche, luglio 2012

Qui Roma - Quando la carta diventa arte
Il frutto di un anno di lavoro come ponte di cultura tra Italia e Israele. About Paper. Israeli Contemporary Art, volume che riassume l'esperienza dell'omonima rassegna dedicata alla trasformazione artistica della carta – ancora in corso – alla Galleria Marie Laure Fleisch di Roma, sarà presentato questo pomeriggio nella sala cinema del Macro Testaccio. “About Paper. Israeli Contemporary Art – spiega la curatrice, Giorgia Calò – è un progetto tutto al femminile pur non avendo alcuna connotazione femminista. Nasce infatti come iniziativa che si pone l'obiettivo di mostrare al pubblico italiano la ricerca di alcuni artisti israeliani che lavorano con la carta e usano il disegno come mezzi privilegiati di un personale linguaggio”. Un linguaggio perfettamente in linea con l'indagine condotta fin dalla sua apertura dalla Galleria capitolina la cui peculiarità, prosegue Calò, “sta proprio nel presentare artisti nazionali e internazionali che usano questi mezzi come base di partenza per le proprie sperimentazioni”. L'elegante volume dato alle stampe grazie a Postmedia Books vuol essere uno strumento per analizzare l'attività e l'orizzonte di riferimento dei nomi coinvolti in questi mesi ma anche una chiave per approfondire, più in generale, il fertile scenario del contemporaneo made in Eretz. A stimolare la riflessione gli interventi, con differenti sfumature, di quattro curatori e direttori di musei israeliani. Il quadro che emerge è di notevole complessità e suggestione. “Con questo progetto – afferma Calò – ho cercato di dare visibilità a una ricerca propriamente israeliana espungendola dai temi geopolitici che di norma ne invadono la scena, per approdare invece in un complesso universo di simboli e citazioni. Ciononostante è interessante notare come le artiste, pur partendo da una ricerca introspettiva lontana da qualsiasi riferimento politico o pseudo tale, arrivino, quasi sempre non intenzionalmente, al concetto più vasto di territorialismo, elaborando frammenti di un’identità nazionale che deve quotidianamente trovare la sua affermazione”.
All'incontro odierno in programma alle 18.30 interverranno, oltre all'autrice, anche l'addetto culturale dell’Ambasciata d’Israele in Italia Ofra Fahri; Ronit Sorek, Curator Department of Prints and Drawings dell’Israel Museum di Gerusalemme; Ruth Direktor, Chief Curator del Haifa Museum of Art; Drorit Gur Arie, Director e Chief Curator del Petah Tikva Museum of Art, e Alfredo Pirri, artista ed ex docente della Bezalel Academy di Gerusalemme.

Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked

Qui Firenze - Incontro con l'ambasciatore
Missione a Firenze per l'ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede Zion Evrony che, accompagnato dalla consorte, ha colto l'occasione per una visita alla Comunità ebraica. Numerosi gli argomenti affrontati nel corso dell'incontro svoltosi nell'arco di un'intera mattinata e al quale hanno preso parte il neo presidente Sara Cividalli, il rabbino capo Joseph Levi, il presidente dell'Opera del Tempio Ebraico Renzo Funaro e il consigliere Ariet Lea Jelinek. Particolare attenzione è stata dedicata ai temi del dialogo interreligioso, a Firenze tradizionalmente molto proficuo, e alle sfide dell'informazione e della proiezione in tutta la società italiana dei valori di cui la comunità e lo stato ebraico sono depositari. “È stato un incontro molto positivo con l'ambasciatore che ha dimostrato grande attenzione alla realtà fiorentina. Ci siamo lasciati con la speranza di poterci presto incontrare di nuovo”, afferma Cividalli. A suggellare l'appuntamento una visita ai locali ottocenteschi del Tempio. Un grande luogo di incontro, ha ricordato Funaro, dove all'insidie portate dall'esterno – i danni bellici e la terribile alluvione del 1966 – si è prontamente reagito con un'opera di preservazione e valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale custodito che ne fanno – oggi più che mai – un autentico fulcro della vita cittadina.

Qui Bologna - Progettualità e condivisione
Non solo Bologna, ma anche le realtà ebraiche di Mantova, Livorno, Padova, Firenze e Siena presenti alla festa di fine Chanukkah celebrata nella città felsinea in compagnia dei madrichim dell'Ufficio Giovani Nazionale UCEI. Una grande occasione di incontro che ha visto accorrere in Comunità oltre 40 bambini e – al loro fianco – un piccolo esercito di parenti e accompagnatori. “È stato un momento di condivisione molto bello – spiega David Menasci, consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – reso possibile dal lavoro di tanti giovani ebrei italiani. Un grazie particolare a Genny Di Consiglio e ai madrichim Sharon Pavoncello, Michail Caimi, Claudia Jonas, Sara Astrologo, Lev Barki e Karen Di Veroli che si sono prodigati per l'esito positivo dell'iniziativa svegliandosi all'alba per andare a prendere i bambini nelle Comunità e rendere possibile questo gioioso Nes Gadol”. E mentre i piccoli giocavano e imparavano la storia di Hanukkah gli adulti si ritrovavano in una sala adiacente per un momento conviviale organizzato dalle mamme bolognesi. Un momento estremamente proficuo, sottolinea Menasci. “Sono stati in tanti a contribuire con il loro prezioso sostegno. Un ringraziamento particolare oltre ad Alberto e Giordana Servi di Firenze che mi hanno aiutato in cucina – conclude – intendo rivolgerlo a Clelia Piperno Sermoneta, moglie del rabbino capo, alla segretaria della Comunità ebraica Cristina Lanternari Carpi, al presidente Adei Ines Miriam March, a Tullia Marach e alla coordinatrice Deborah Romano Menasci, tra i motori dell'iniziativa insieme a sua madre”.

Qui Bologna – La festa della luce

Hanukkah all'insegna della partecipazione a Bologna. La prima sera, motzae shabbat, dopo la tefillà e l'accensione della hanukkiah, che hanno visto il Tempio pieno di gente, si è tenuta una festa in Comunità con la partecipazione di molti bambini e adulti. Alcune signore hanno preparato e offerto dolci tipici. Martedì pomeriggio, in occasione delle lezioni al gan e al Talmud Torah, si è tenuta, oltre a una mia lezione, una nuova festa alla quale hanno partecipato tutti i bambini insieme, grandi e piccoli. Giovedì sera è stata organizzata una serata in mensa, da Vittorio Sermoneta, con gli studenti israeliani assieme ai ragazzi della kehillah. Il cloù è stato domenica a pranzo dove, grazie all'iniziativa del nostro consigliere David Menasci, si è tenuta una braciata che ha visto la partecipazione di nostri correligionari provenienti da tante altre Comunità di Italia. Il tutto parallelamente a un'iniziativa dei Centri Giovanili, che hanno organizzato, con i loro madrichim, un'attività che ha visto la presenza di moltissimi bambini di altre realtà ebraiche nazionali. La festa di Hanukkah è conosciuta come la vittoria dei "pochi su molti” ('al ha nissim: "rabim be jad me'attim"). Grazie al Cielo, anche le piccole Comunità, che hanno la caratteristica di un numero minore di iscritti, hanno potuto vedere molte persone riunite gioire insieme per celebrare questa importante occasione. L'augurio è che il prossimo anno si possa raccogliere un numero di persone ancora maggiore e illuminare nuovamente il volto dell'ebraismo e nel caso specifico, dell'ebraismo italiano, considerato una "minoranza nella minoranza".

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

"Il Consiglio Ucei deve fissare la linea politica"
Le Consigliere Elvira Di Cave e Barbara Pontecorvo hanno fatto pervenire alla redazione la seguente nota:

In relazione all’articolo apparso su Moked il 17 dicembre scorso, nel quale si fa espresso riferimento ad una mozione da noi presentata e successivamente ritirata, ci teniamo a precisare e chiarire il significato di quel documento (il cui contenuto è stato oggetto di altra discussione in Consiglio), che riteniamo di grande importanza, e che certamente produrremo nuovamente in altra seduta. Vorremmo, per inciso, chiarire che il documento non è stato ritirato, bensì non è stato sottoposto alla votazione del Consiglio (che, a fine seduta, era in via di scioglimento), così come non era stato sottoposto a votazione il documento contenente le dichiarazioni del Presidente Gattegna. L’ultimo Congresso dell’UCEI tenutosi nel 2010, ha creato un profondo cambiamento per quanto riguarda il potere decisionale di questo Ente, rimesso interamente al Consiglio nel quale siamo state elette (Art.43, I comma, dello Statuto:“Il Consiglio assume le deliberazioni necessarie per il raggiungimento dei fini dell’Unione”). Gli ultimi accadimenti storici, la pressante crisi economica, il preoccupante scenario internazionale con l’isolamento diplomatico dello Stato di Israele ed il voto delle Nazioni Unite riguardo alla questione palestinese, in un contesto ancor più grave di crescente antisemitismo, ci hanno fatto avvertire la necessità che il Consiglio, nell’esercizio delle sue funzioni, detti la linea programmatica dell’Unione su questi temi vitali.
Ci viene eccepito, con una evidente incomprensione del nostro pensiero, che la parola nei comunicati ufficiali su questi temi spetti unicamente al Presidente, consultata la Giunta.
Ciò che noi vogliamo esprimere è cosa ben diversa. Lungi da noi dal pensare che ogni qualvolta il Presidente parli debba consultarsi con 52 componenti dal Consiglio, ma che il Presidente si attenga, nelle sue dichiarazioni, alla linea politica e programmatica espresso dal Consiglio è, a nostro avviso, dovuto (Il Consiglio “esprime valutazioni e delibera mozioni su questioni di rilevante importanza aventi comunque riflessi sull’ebraismo italiano” : Art.43 lett.k). In altri termini, come il Presidente del Consiglio italiano, nei sui discorsi, non può non attenersi al programma di governo, così il Presidente dell’Ucei dovrà attenersi all’indirizzo politico espresso dal Consiglio. Trasportando questo esempio nella nostra realtà, ci domandiamo: qual è il “programma di governo” dell’UCEI? La risposta è inequivocabile: è quello che esprimerà presto il Consiglio (e che non ha finora potuto fare perché da poco insediatosi) e che noi abbiamo con il nostro documento sollecitato.

pilpul
Carceri
Bernardo Provenzano è stato operato al cervello nei giorni scorsi e attualmente si trova in coma farmacologico. Se ci pensiamo, è una notizia che dovrebbe renderci orgogliosi: uno dei boss più efferati della mafia, un criminale feroce e sanguinario che può godere del massimo livello di cure sanitarie e assistenza medica. Sebbene tutto ciò possa provocarci una dose di diffidenza – ma come, le nostre tasse pagano la salute di Provenzano? – sono proprio queste situazioni a definire la civiltà di un paese. La responsabilità nei confronti di chi è privato dei diritti è maggiore.
Proprio da qui occorre partire per comprendere e poi sostenere la battaglia solitaria ed eroica di Marco Pannella. Mentre tutti parlano d’altro, si occupano di liste e spread, questo vecchio combattente si ostina a ricordarci ciò che fingiamo di non sapere. Che le carceri italiane sono indegne di un paese sedicente civile, che se è marcio l’ultimo anello della catena anche gli altri sono a rischio. Nelle prigioni italiane si moltiplicano i casi di suicidio (anche tra le guardie), cresce la percentuale di immigrati e tossicomani, si attesta quasi al 50% la quota di detenuti in attesa di giudizio. Un’autentica vergogna.
Sui luoghi di detenzione (anche CIE, CARA, OPG) si scaricano tutte le contraddizioni di una giustizia che non funziona, di una società che tende a confinare il disagio sociale, di una macchina amministrativa spesso inefficiente. Solo che questi disservizi riguardano la vita delle persone. Ma anche la nostra. Possiamo ignorare ciò che accade nei bassifondi del nostro mondo ma, come sa qualunque medico, se il veleno è inoculato prosegue la sua strada. E il virus dell’ingiustizia e dell’illegalità può colpire chiunque. Grazie, e forza, Marco.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi

Storie - Il «marrano» che finì ad Auschwitz
Nella prima edizione del 1905 del suo celeberrimo «Dizionario moderno» Alfredo Panzini definitiva «marrano» l’ebreo convertito al cristianesimo, «poco fidato perché in segreto fedele al giudaismo». Un termine usato in senso dispregiativo e che era rivelatore di una certa dose di antisemitismo già presente nella cultura e nella società italiana del primo Novecento. L’utilizzo in senso dispregiativo fu accentuato alla fine degli anni Trenta, quando diversi ebrei italiani o residenti in Italia, prima e dopo l’approvazione delle leggi razziste di marca fascista, si battezzarono, oppure ancora minorenni furono battezzati dalle famiglie, non certo per solide convinzioni religiose ma nel solo intento di sfuggire alle persecuzioni. Un’illusione, perché l’antisemitismo aveva radici biologiche più che fideistiche o spirituali. E tanti ebrei convertiti finirono ugualmente ad Auschwitz.
Una di queste storie, come scrive Luigi Accattoli nel suo blog, è raccontata da Bruno Bartoloni, vaticanista di lungo corso per il Corriere della Sera, nel libro «Le orecchie del Vaticano» (Mauro Pagliai editore, pp. 252). Figlio di un giornalista italo-argentino (anche lui corrispondente dalla Santa Sede) e di un’ebrea tedesca, Bartoloni narra che il «nonno Fritz divenne un “marrano” insieme a mia nonna Hilde nella speranza di salvarsi. Avevano seguito l’esempio di mia madre Marianne che per potersi sposare con mio padre si era fatta battezzare dal cardinale Eugenio Pacelli (…). Si fecero battezzare ma so per certezza che fu per necessità. Fui battezzato anch’io per la stessa necessità e non certo per mia scelta.
Dopo l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi, il nonno Fritz per intercessione del Vaticano si nascose presso i collegi pontifici, nelle vicinanze di Santa Maria Maggiore. Lì fu catturato dalla banda Koch nel corso della retata del dicembre 1943, che portò al fermo di alcuni oppositori politici e di alcuni ebrei, poi deportati dai nazisti in Polonia. Bartoloni riassume così il suo dramma: «Lo sfortunato Fritz Warschauer dovette fuggire da Berlino perché ebreo, si dovette nascondere a Roma perché ebreo, trovò un rifugio perché cattolico ma fu preso come “politico” e morì ad Auschwitz bollato due volte con il duplice marchio di ebreo e di oppositore politico». Un dramma individuale che ha spinto il nipote a «recuperare con orgoglio il nobile titolo di marrano», facendo coincidere con il 7 luglio 1944 il giorno della sua integrazione «in questa sospetta categoria». Infatti fu proprio in quel giorno, «voglio credere al tramonto», che il nonno materno di Bruno, il tedesco Fritz Warschauer, morì di stenti nel blocco 19 di Auschwitz. «Da quel 7 luglio dunque sono tornato a essere un ebreo, anche se marrano come mio nonno. Recuperare l’identità ebraica mi è sembrato un piccolo contributo di riparazione ideale all’intreccio di violenze e di ingiustizie delle quali mio nonno è stato vittima, compresa la mortificazione di farsi battezzare, spinto dal ricatto di una possibile sopravvivenza».
 
Mario Avagliano
twitter @marioavagliano 

notizie flash   rassegna stampa
A confronto sull'informazione

  Leggi la rassegna

Appuntamento dedicato all'informazione questa sera al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Un'occasione di incontro, organizzata dalla lista Binah e dal titolo “Redazione aperta...anche di notte!”, per confrontarsi sui media UCEI
direttamente con il coordinatore del dipartimento Informazione e Cultura Guido Vitale e con i componenti della redazione di Pagine Ebraiche e del portale dell'ebraismo italiano. I lavori avranno inizio alle 19.30.
 

 “Caro Sindaco non servono slogan ma iniziative concrete per la pace”. È questo l’appello che lancia, dalle pagine del Mattino, il rabbino capo di Napoli Scialom Bahbout al sindaco Luigi De Magistris che ha invitato il presidente palestinese Abu Mazen nella città partenopea per conferirgli la cittadinanza onoraria.
















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