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26 dicembre
2012 - 13 Tevet 5773 |
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David
Sciunnach,
rabbino
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“Egli
benedisse Yosèf dicendo …”(Bereshìt 48, 15). Ci si domanda quale possa
essere la benedizione di Yosèf quando in realtà egli non viene
benedetto bensì i suoi due figli Efraim e Menashè. Il grande kabalista
Rabbì Yeshayà Horovitz, conosciuto come Shelà ha-Kadòsh, risponde a
questa domanda dicendo che non c’è berachah - benedizione più grande
per un genitore che i suoi figli siano buoni e dotati di grandi
qualità. “Benedica i tuoi figli, e possa il mio nome essere ricordato
su di loro insieme al nome dei miei padri ...”. Questa è
automaticamente la berachah più grande che Yosèf potesse ricevere per
se stesso.
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Davide
Assael,
ricercatore
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Stupisce
quanto il periodo scolastico venga cancellato negli anni successivi. Il
programma di terza liceo, in Italia, prevede l’inizio dello studi della
filosofia, la quale, è spiegato nel manuale, nasce con Socrate, come
critica alla democrazia diretta. Un’idea partecipativa, che, di solito,
piace tanto ai ragazzi e alle ragazze ancora alle prese con i divieti
dei genitori e degli insegnanti. Poi, si fa loro l’esempio di Hitler
eletto democraticamente e si giunge insieme al principio, socratico
appunto, dell’insacrificabilità dell’idea di giustizia all’arbitrio
degli individui. Di solito, si fa tutto in due ore. Invece, come
riportato da questo notiziario e dal portale dell'ebraismo italiano moked.it, nella zona 3 di Milano la consigliera di
zona del Movimento 5 stelle Patrizia Bedori, pur essendo personalmente
favorevole, ha dovuto votare contro l’erogazione di fondi per le
celebrazioni della Giornata della Memoria dopo aver riscontrato il
parere negativo degli utenti web del Movimento. Ah, se i professori
bocciassero di più…
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Israele verso le urne |
I cittadini israeliani si recheranno alle
urne il 22 gennaio 2013.
Il numero di Pagine
Ebraiche attualmente in distribuzione ha dedicato all'appuntamento
elettorale una serie di articoli. Pubblichiamo di seguito la versione
integrale dell'intervento di Sergio Minerbi,esperto di relazioni internazionali e ambasciatore dello Stato Israele.
Colpo di scena preelettorale in Israele: il ministro degli Esteri
Avigdor Lieberman dovrà rispondere dell’accusa di abuso di potere.
Altri due capi di accusa, più gravi, sono stati archiviati per
insufficienza di prove dal consigliere giuridico del Governo. Vertevano
sull’accusa di truffa, di aver ricevuto qualcosa con la frode, in una
circostanza aggravante, di aver legalizzato capitali e disturbato un
testimone. L’accusa attuale concerne l’aver ottenuto dall’ambasciatore
d’Israele in Bielorussia dei documenti che riguardavano Lieberman
stesso e che erano destinati invece alla polizia. Lieberman è apparso
in televisione e non ha affatto dichiarato che stava per dimettersi
come alcuni prevedevano. Si vede che la notte porta consiglio, poiché
l’indomani ha annunciato invece che si sarebbe dimesso, ma sperava di
tornare presto da un procedimento veloce. Se guardiamo allo stile del
suo discorso sembra che abbia scelto un tono provocatorio. Se Lieberman
sarà condannato per un capo d’accusa minore, con gli appoggi di cui
gode potrebbe evitare che venga troncata la sua carriera politica che
negli ultimi tempi sembra traballare. Più volte il ministro aveva
attaccato l’Unione europea rispondendo alle critiche sulla costruzione
di nuovi insediamenti. “Quando verrà il momento della verità - ha detto
di fronte al corpo diplomatico - molti capi europei saranno pronti a
sacrificare Israele senza batter ciglio per calmare l’Islam estremista
ed acquistare la quiete per sé stessi. Gli impegni di sostegno che
giungono ad Israele dal mondo mi ricordano gli impegni simili dati alla
Cecoslovacchia nel 1938 e le pressioni esercitate sul presidente ceco
per i Sudeti. Dopo tutti gli impegni e le garanzie, la Germania nazista
occupò la Cecoslovacchia e pose fine alla sua esistenza. Noi non saremo
la Cecoslovacchia e non faremo compromessi sulla sicurezza di Israele”.
Parlando alla radio Lieberman ha ricordato come negli anni Quaranta gli
stessi paesi europei hanno abbandonato gli ebrei al loro triste
destino. A mio parere non è lecito paragonare la situazione
politico-militare di Israele oggi con quella del popolo ebraico durante
la Shoah. Allora gli ebrei salvo qualche rara eccezione non potevano
difendersi, mentre oggi Israele è dotato di un esercito con una
notevole capacità. Nessuno Stato attuale può essere paragonato al Reich
nazista, anche se non è d’accordo con la politica del governo
israeliano in carica. Gli israeliani odierni sono ben diversi dai loro
fratelli sotto l’occupazione nazista che non avevano nessuna
possibilità di difendersi. Paragoni del genere sono antistorici e
creano un’atmosfera falsata e pericolosa.
Nulla è comparabile ad Auschwitz.
Israele dunque vive ormai la campagna elettorale per le prossime
elezioni. Le legislative israeliane si terranno il 22 gennaio 2013 e i
preparativi sono iniziati con la presentazione delle liste dei
candidati già il 6 dicembre scorso. La lista capeggiata da Tzipi Livni
presenta al secondo posto Amram Mizna che fu presidente del partito
laburista, e al terzo Amir Peretz che fu segretario generale della
Histadrut (Confederazione del Lavoro), capolista del Partito laburista
e nel 2006 ministro della Difesa nel Governo Olmert. Peretz era al
terzo posto anche nella lista laburista. Tra le ragioni da lui addotte
per il salto, la principale è che la capolista Shelly Yachimovich non
dà abbastanza importanza al processo di pace e si concentra solo sulle
questioni sociali. Alcuni attribuiscono a Shelly il desiderio di
ricevere un portafoglio ministeriale nel prossimo Governo Netanyahu.
Nell’ipotesi, caldeggiata da molti, che questi vincerà le elezioni.
Attualmente ci sono due correnti di pensiero opposte, ognuna con molti
sostenitori. La prima ritiene che il pubblico israeliano, come ha
dimostrato nell’estate 2011, si interessi soprattutto alle questioni
economiche e sociali, al livello di vita, alle difficoltà che
incontrano i giovani nel raggiungere l’obiettivo di avere un
appartamento proprio. Per questo Shelly Yachimovich ha impostato tutta
l’azione del Partito laburista sulle questioni sociali.
L’altra corrente sostiene che il tema principale di queste elezioni
sarà invece la pace con i vicini, che Tzipi Livni ritiene possibile con
Abu Mazen. Al contrario di Avigdor Lieberman, fino a poco tempo fa
ministro degli Esteri, il quale sostiene non ci sia differenza fra Abu
Mazen e Khaled Mashal di Hamas. Intanto Amir Peretz, è passato
alla lista di Tzipi Livni.
Un candidato laburista ha detto “Centinaia di persone ci dicono che se
non innalziamo anche la bandiera politica, essi non voteranno per noi
laburisti”. L’improvviso ritorno di Tzipi Livni alla contesa elettorale
ha leso fortemente il partito laburista poiché la competizione
principale diventa quella fra Netanyahu e Livni. Netanyahu è riuscito a
spostare la discussione sulle questioni di politica internazionale,
mentre i laburisti non fanno parte di questo gioco. Come già rilevato
da Amir Peretz, Yachimovich dà scarsa importanza agli argomenti del
negoziato israelo-palestinese ossia i progetti di costruzioni nella
zona E1 fra Gerusalemme e Maalè Edumim, e al riconoscimento
dell’Autorità palestinese come Stato osservatore all’Onu. Solo Livni
può rispondere a tono. I laburisti che si sono situati al centro, hanno
lasciato parte del loro campo al Meretz a sinistra. Ma Meretz non potrà
essere un’alternativa valida a Netanyahu. Abu Mazen ha avuto un
successo personale alle Nazioni Unite a New York, ma se non trasforma
questo passo formale in una realtà, rimarrà accantonato. Nell’ipotesi
invece di una coalizione Netanyahu-Livni senza Lieberman, si potrebbe
sperare in un’intesa che sfoci, se non nella pace vera e propria,
almeno in un compromesso transitorio che poi in seguito si potrebbe
stabilizzare. Speranza lontana in questo momento mentre Netanyahu ha
bloccato i fondi palestinesi che Israele raccoglie per loro.
Le elezioni dovrebbero risolvere tutti i quesiti ma sussiste il rischio
che non diano risultati netti e chiari.
Sergio Minerbi,
diplomatico, Pagine Ebraiche, gennaio 2013
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Qui Mantova - Una sala in ricordo di
Fabio Norsa
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Mancano
pochi giorni ad una ricorrenza per noi triste: un anno dalla scomparsa
di Fabio Norsa. Nei giorni scorsi si sono ritrovati consiglieri e
collaboratori – primo fra tutti Massimo Terzi – della
Fondazione Giuseppe Franchetti per commemorare l’uomo che ha presieduto
l’Istituto per tanti anni, dal 1993 al 2012, con oculatezza e
straordinaria prospettiva, incrementando il numero di borse di studio e
di sovvenzioni alla ricerca e al sociale. L’attuale presidente, Aldo
Norsa, figlio di Fabio, e il vice presidente Emanuele Colorni, che di
Fabio ha preso il posto alla guida della Comunità ebraica, hanno
scoperto la targa che dedica la Sala consiliare del Franchetti a lui,
“il Presidente”. Alla presenza delle autorità – Comune di Mantova,
Provincia di Mantova, Prefettura – la moglie Licia Vitali ha assistito
alla cerimonia, tra l’abbraccio dei nipoti Rebecca e Alessandro Norsa.
Il sindaco di Mantova, Nicola Sodano, ha portato parole significative:
“Fabio Norsa è stato un mantovano di grande valore, un uomo che si è
sempre impegnato in prima persona, sia nell’aiuto diretto ai giovani
meritevoli, sia nella costruzione di un presidio di tutela dei diritti
e dell’antidiscriminazione”. Il presidente del Consiglio provinciale,
Simone Pistoni, ha ricordato la caparbietà di Norsa e la sua costante
presenza, che lo hanno portato a traguardi altissimi, a progetti che
hanno beneficato tutta la cittadinanza. Visibilmente emozionato,
Emanuele Colorni ha citato la definizione che il suo predecessore dava
dell’Istituto Franchetti: “Questa è la nostra creatura ebraica,
dobbiamo sempre fare in modo che questa istituzione cresca, per dare a
chi ha bisogno sempre di più e per questo il nostro impegno di ebrei
deve essere costante e convinto”. Prima di abbassare il drappo che ha
svelato la targa commemorativa, Aldo Norsa ha ringraziato il Consiglio
per aver voluto dedicare al padre questa sala, dove ogni giorno lui
lavorava ai suoi mille impegni: “Sono ogni giorno più orgoglioso di
avere avuto un papà così”.
Ricordo bene i tanti giorni di lavoro trascorsi con il presidente tra
queste mura; la prima volta che mi ha portata al Franchetti me ne ha
raccontato la storia e spiegato che, per volontà del fondatore, nel
Consiglio debbono statutariamente sedere anche componenti della
Comunità ebraica (e così è sempre stato, con l’eccezione del vile
periodo delle leggi razziste). “E la Comunità ebraica ha sempre dato al
Franchetti i suoi elementi migliori, spero di esserne degno”.
Presidente, in vita ti abbiamo ammirato in tante occasioni, in tante
battaglie; oggi, ogni giorno ci dà misura quanto tu sia stato grande.
Angelica Bertellini
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Ticketless
- Benigna Costituzione
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Ritorno sul tema della matrilinearità,
di ciò che l’ebraismo italiano deve a figure come Elsa Morante, Umberto
Saba, Enzo Forcella. L’altra sera, guardando in televisione il monologo
di Roberto Benigni sulla Costituzione, mi è venuto in mente un altro
esempio di matrilinearità feconda, Arturo Carlo Jemolo. Opera
meritoria, quella di Benigni, tuttavia viene il sospetto che tanta
enfasi possa mutarsi in boomerang. In televisione alle onnipresenti
narrazioni carismatiche (Fo, Saviano, Celentano) vorrei che ogni tanto
qualcuno impartisse lezioni di concretezza. A Jemolo il tono enfatico
della carta costituzionale piaceva poco. Le sue proposte di modifica e
integrazioni sono state da poco riedite (Donzelli). Avrebbe dato
ragione a Fornero (“Che significa il diritto al lavoro dell’art. 4, che
avrebbe un senso solo se importasse che chiunque avesse il diritto di
ottenere da un ufficio statale, da un giorno all’altro, un posto di
lavoro retribuito?”) e torto ieri a Di Pietro e oggi a Ingroia (i
costituenti avrebbero dovuto stabilire che il magistrato “non possa mai
lasciare il suo ufficio di giudice per andare a sedere ad un tavolo di
Ministero”). Non lo persuadevano le espressioni vaghe, i buoni
propositi che hanno poco di giuridico. Non oso pensare che cosa avrebbe
detto se avesse ascoltato la Benigna Costituzione? Jemolo scriveva di
preferire “la secchezza, oserei dire la serietà, dello Statuto” (e qui
la matrilinearità, il suo essere figlio liberato del ghetto e dal
ghetto, deve avere avuto il suo peso). I giovani di oggi hanno bisogno
di concretezza non di enfasi verbosa se vogliono riscoprire la
politica. Un po’ di autoironia, quando s’insegnano le cose serie ai
giovani, non guasterebbe mai. Fra le disposizione pleonastiche Jemolo
collocava l’art. 32, chiedendosi se non ci si poteva arrestare a dire
che la Repubblica tutela la salute, senza stare a spiegare “come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”,
che potrebbe dare luogo, commentava con ebraico sense of humour, a un
dubbio reale. Quando sono costipato posso dire che è violato un mio
diritto?
Alberto Cavaglion
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Eroi
nell'ombra |
Raramente, in vita mia, mi è capitato
di essere preso da una lettura come mi è successo col libro
(recentemente pubblicato in italiano dall’Editore Castelvecchi, col
titolo La casa di via Garibaldi. Come ho catturato Adolf Eichmann) in
cui Isser Harel racconta, fin nei minimi particolari, i lunghi
preparativi e la fase di attuazione del progetto dell’individuazione,
della cattura e del trasporto clandestino in Israele del famoso
ideatore e attuatore della soluzione finale (che, com’è noto,dopo la
guerra trovò rifugio in Argentina, sotto falsa identità). Nei libri di
storia si legge unicamente che Eichmann fu intercettato dai servizi
segreti israeliani, che lo custodirono per del tempo in un
nascondiglio, per poi trasferirlo di nascosto su di un aereo giunto in
Argentina per una celebrazione ufficiale. E l’immaginazione, da tale
scarna notizia, ci fa vedere in azione uomini duri, brillanti e
determinati, alla James Bond, assistiti da modernissimi mezzi
tecnologici e, magari,confortati dalla compagnia di seducenti e
misteriose ragazze di varia nazionalità. In realtà, Eichmann fu
catturato grazie alla straordinaria abnegazione, all’assoluto spirito
di sacrificio e all’incredibile abilità di un gruppo di volontari (per
lo più scampati alla Shoah, nella quale avevano perso gran parte dei
propri cari) che scelsero, affrontando altissimi pericoli personali, di
dedicare parte della propria esistenza a un compito che pareva
impossibile, ma che li chiamava all’opera con la forza di un imperativo
etico assolutamente ineludibile: il compito di trascinare, di fronte a
un legittimo tribunale del popolo ebraico, il massimo responsabile,
insieme a Hitler, della mostruosa condanna a morte decretata contro lo
stesso popolo dalla follia nazista.
Fu solo grazie a questo eccezionale senso del dovere che la missione fu
portata a compimento, e che il sottilissimo filo di fumo delle vaghe
voci su una presenza di Eichmann in Argentina fu trasformato, dopo
lunghissime ricerche – iniziate alla fine del 1957, due anni e mezzo
prima del rapimento -, indagini, appostamenti, in una individuazione
certa del criminale, nella sua cattura e custodia e poi nel suo
trasferimento. Un piano di incredibile difficoltà, nel quale anche i
più minuziosi particolari furono preparati con attenzione maniacale,
insieme ai preparativi anche di una serie di piani di riserva, nel caso
che qualcosa fosse andato storto, qualcuno del gruppo fosse stato
scoperto ecc.
Fra le prove più dure che i volontari dovettero osservare, racconta
Harel, ci fu lo sgradevolissimocompito di accudire il detenuto nel
periodo della prigionia, assicurandosi che restasse in buona salute, e
premurandosi ogni giorno di nutrirlo, lavarlo, raderlo, sorvegliarlo
anche nei momenti delle funzioni corporali. Un prigioniero che, fin dal
primo momento, si mostrò docile come un agnellino, assicurando di
essere stato sempre amico degli ebrei – pur avendo egli, dopo la
guerra, rivendicato con orgoglio tutto il proprio operato, in
un’intervista rilasciata dalla clandestinità a un giornale olandese -
recitando brani della Torah e mostrandosi addirittura preoccupato che
il piano potesse andare incontro a qualche intoppo imprevisto. Si
trattava della sua natura di schiavo che si imponeva – si chiede
l’autore -, o di un ingenuo desiderio di salvarsi la vita, grazie a un
attestato di buona condotta? Onnipotente alla guida della spaventosa
macchina distruttiva germanica, Eichmann, privato del suo giocattolo,
si palesò un uomo di incredibile meschinità, codardia, stupidità. E fu
soprattutto la convivenza forzata con un tale mostro patetico e
disgustoso a mettere a dura prova la resistenza nervosa degli agenti.
Grazie alla forza d’animo di questi uomini coraggiosi, alle ore 0,05
del 21 maggio 1960 l’aereo della El Al si alzò in volo, con il suo
carico prezioso e ripugnante, e si aprì quindi la memorabile pagina di
un processo che resterà per sempre una pietra miliare nella storia
della coscienza umana. Onore agli umili, grandi eroi che hanno permesso
l’erezione di questo monumento. Tutti tornati, a missione ultimata,
nell’anonimato, senza alcun encomio e alcuna medaglia.
Francesco
Lucrezi, storico
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notizie
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rassegna
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Dall'India
a Israele i discendenti
di una tribù perduta
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la rassegna |
Un
gruppo di ebrei appartenenti alla comunità di Bnei Menashe è arrivata
nei giorni scorsi in Israele dal villaggio del nord dell'India dove
risiedono da secoli.
Sono in molti a ritenere che i Bnei Menashe siano i discendenti di una
delle dieci tribù perdute. Oltre 1700 hanno già fatto l'Aliyah, ne
rimangono in India circa 7200.
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Anche
oggi in Italia oggi non sono in edicola i quotidiani, ma i siti web
vengono comunque aggiornati.
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delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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