È
determinato ed esplicito riguardo alle responsabilità italiane per
quanto avvenne durante le persecuzioni e la Shoah nell'Italia fascista,
il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel celebrare il suo
ultimo Giorno della Memoria al Quirinale e nel ripercorrere in questa
circostanza – a fianco del presidente dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e del ministro dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca Francesco Profumo – le iniziative
svolte negli ultimi anni per “una sempre più larga, partecipata e
creativa consapevolezza dell'aberrazione introdotta anche in Italia dal
fascismo con l'antisemitismo”. Forte e inequivocabile anche il richiamo
a vigilare “contro i revisionismi” pronunciato in una sala colma di
giovanissimi, rappresentanti istituzionali, del mondo della cultura e
della società civile oltre ai ragazzi che hanno preso parte al concorso
I giovani ricordano la Shoah. Ad ascoltarlo, tra gli altri, il
presidente del Consiglio Mario Monti, il presidente del Senato Renato
Schifani, il presidente della Camera Gianfranco Fini, il ministro della
Giustizia Paola Severino e quello degli Esteri Giulio terzi di
Sant'Agata, il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni
Maria Flick, l'ambasciatore d'Israele in Italia Naor Gilon. Folta la
rappresentanza delle comunità ebraiche: per il Consiglio dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane il vicepresidente Giulio Disegni, e i
Consiglieri Noemi Di Segni, Giorgio Sacerdoti e Riccardo Pacifici,
presidente della Comunità ebraica di Roma; il rabbino capo rav Riccardo
Di Segni, il presidente dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia Susanna
Calimani, il presidente del Museo della Shoah di Roma Leone Paserman, i
parlamentari Fiamma Nirenstein e Alessandro Ruben. Nel suo
intervento, pronunciato in un'atmosfera di grande commozione, il
Presidente della Repubblica ha spiegato come, nella coscienza
democratica del paese “si siano consolidati alcuni punti fermi come il
rifiuto intransigente e totale dell'antisemitismo in ogni suo
travestimento ideologico come l'antisionismo”. Perché, ha evidenziato,
“in gioco non è solo il rispetto della religione, della tradizione
storica, della cultura ebraica, ma insieme con esso inscindibilmente il
riconoscimento delle ragioni spirituali e storiche della nascita dello
Stato di Israele e quindi del suo diritto all'esistenza e alla
sicurezza”. Rivolto al presidente Gattegna, intervenuto poco prima
con una testimonianza di stima e gratitudine a nome di tutti gli ebrei
italiani, Napolitano ha voluto condividere l'emozione
“nell'accomiatarci dopo sette anni, per quel che mi riguarda almeno
nelle funzioni di presidente della Repubblica”. È stato, ha
sottolineato a proposito del comune lavoro finalizzato a una Memoria
viva e proiettata al futuro, “tra gli impegni ricorrenti con cui mi
sono maggiormente identificato, dal punto di vista non solo
istituzionale ma personale, in senso intellettuale e morale”.
Scuola,
Memoria, consapevolezza. Parole chiave che hanno costituito il
baricentro delle riflessioni non solo del ministro Profumo e del
presidente Gattegna ma anche di Ferrucio De Bortoli, direttore del
Corriere della sera e presidente della Fondazione Memoriale della Shoah
di Milano, che ha condotto la cerimonia. Il messaggio di Gattegna,
rivolto alle nuove generazioni affinché siano ambasciatrici "di libertà
e di speranza", ha toccato i punti salienti di quale sia oggi l'impegno
e il patto per la Memoria con i più giovani – un processo che trae
nuova linfa dalle due importanti intese firmate pochi giorni fa a
Cracovia con i ministri Profumo e Severino – e si è soffermato sulle
specificità del tema sviluppato per questo 27 gennaio: il coraggio di
resistere declinato da un punto di vista ebraico nelle molte rivolte e
insurrezioni contro gli aguzzini che ebbero luogo in Italia e in tutta
Europa sfatando il cliché dell'ebreo vittima della storia e delle sue
pieghe più atroci. Ad essere citata, tra le altre, l'eroica esperienza
di quanti presero parte alla rivolta del Ghetto di Varsavia nella
struggente narrazione di Marek Edelman, di cui sono risuonate le parole
racchiuse in "Il ghetto di Varsavia lotta". Il passato, il suo ricordo
e la sua comprensione affinché determinate situazioni non abbiano a
ripetersi: una lezione drammaticamente attuale. “Ancora oggi – ha
proseguito Gattegna – ci giungono notizie di episodi di razzismo, di
intolleranza, di pregiudizio, di antisemitismo sia nella nostra Italia
che in Europa. Sappiamo che stanno rinascendo gruppi, movimenti e
partiti, che hanno il neofascismo e il negazionismo come parte
integrante del loro programma. Pensiamo con preoccupazione all’Ungheria
e alla Grecia, dove questi gruppi stanno conquistando consensi e
riconoscimenti. A voi ragazzi raccomando di non ignorare anche i più
piccoli segnali. Non volgete lo sguardo dall'altra parte se vi capita
di assistere a soprusi e ingiustizie”. “La Shoah – ha affermato il
ministro Profumo – rappresenta uno spartiacque nelle vicende umane,
segnando per sempre un prima e un dopo. Un tarlo insinuato nelle
coscienze, ingannate da folli ideologie che, anziché guardare alla
vita, progettavano lo sterminio dell’uomo contro l’uomo. Vegliare
affinché quel tarlo non si diffonda mai più non è solo un dovere verso
il popolo ebraico, della cui sofferenza purtroppo fu responsabile anche
una parte fondamentale del nostro Paese, ma è un imperativo morale per
l’intera umanità”. Valori che sono stati proiettati con numerose
iniziative in tutte le scuole italiane. Il suo bilancio, in conclusione
di mandato, è a tinte estremamente positive: “In questo anno e mezzo –
ha spiegato – abbiamo incontrato insieme centinaia di studenti,
raccogliendo le loro riflessioni, parole e aspirazioni. Da ministro,
con l’aiuto delle tante professionalità del ministero che ringrazio
personalmente, abbiamo visitato molte scuole, da Nord a Sud, viaggiato
all’estero. E personalmente porterò sempre con me gli sguardi, le
domande, la voglia di futuro e speranza dei nostri ragazzi”. Il
ministro ha quindi parlato di scuola come terreno “in grado di far
fruttare le competenze acquisite” ma anche come luogo dove dare
concretezza “ai valori e alla consapevolezza”. Il male commesso ai
danni del popolo ebraico non potrà essere pertanto sanato dalla
celebrazione annuale del 27 gennaio: “Giorno per giorno – ha infatti
concluso – sarà necessario il nostro impegno affinché la testimonianza
diventi azione concreta in difesa delle vittime dell'intolleranza e
della barbarie. 'Mai più' è il monito che tutti dobbiamo levare a
tutela di ogni forma di violenza e discriminazione”.
Adam Smulevich
(Nelle immagini il Presidente Napolitano assieme al Presidente Ucei gattegna al Quirinale e un momento della cerimonia)
Gattegna: "Contro ogni forma di razzismo"
Illustre e caro Presidente Napolitano, illustri autorità, cari amici, carissimi ragazzi,
è
sempre emozionante prendere la parola qui, nel Palazzo del Quirinale,
per la cerimonia ufficiale del Giorno della Memoria, che è ormai un
appuntamento pubblico molto significativo per le Istituzioni, per i
cittadini, per tutto il Paese. Quest’anno, caro Presidente Napolitano,
c’è una ragione in più per essere emozionati, sapendo che si sta
avvicinando la conclusione del Suo settennato. Voglio, pertanto,
esprimerLe la stima e l’apprezzamento di tutte le comunità ebraiche
italiane per aver dato solennità e ufficialità a questo momento, per
aver voluto rinsaldare la consuetudine di ricordare il Giorno della
Memoria in questo Palazzo, nella casa di tutti gli italiani. Sono
segnali importanti, dai quali sono derivate indicazioni chiare sulla
sensibilità con cui applicare la legge istitutiva, per trasmettere ai
giovani la Memoria della Shoah e gli insegnamenti di storia e di vita
che si possono trarre dallo studio e dall’approfondimento delle
tragiche vicende di quegli anni. Come sempre, abbiamo messo al
centro del nostro impegno i giovani, il mondo della scuola,
l’educazione, il loro futuro: quindi il futuro del nostro Paese. Alcune
delle iniziative promosse cominciano a dare i primi frutti. Pochi
giorni fa ero ad Auschwitz-Birkenau, con il Ministro Francesco Profumo
e con il Ministro Paola Severino, due rappresentanti delle istituzioni
e due persone con le quali abbiamo stabilito un rapporto di
collaborazione, di stima e di amicizia che ha reso più efficace la
pianificazione e la realizzazione del lavoro in comune. Con noi erano
presenti alcuni testimoni, e 130 ragazzi in viaggio di studio nei
luoghi dello sterminio nazista. Alcuni di quei ragazzi sono qui oggi
tra noi e ascolteremo le loro riflessioni. Quest’anno ricorre il
settantesimo anniversario della rivolta nel ghetto di Varsavia,
l’eroico tentativo di resistenza messo in atto da gruppi di giovani
ebrei, asserragliati in poche vie chiuse da un muro di cinta, che nel
1940 erano arrivate a contenere, in condizioni disumane, mezzo milione
di persone. Nell’aprile del 1943, quando la popolazione del
ghetto, decimata dalle deportazioni, dalle malattie e dalla mancanza di
mezzi di sussistenza era ridotta a 70.000 persone, di fronte ad un
nuovo tentativo di compiere un’ultima e definitiva deportazione di
massa, i combattenti insorsero eroicamente contro un nemico cinico,
brutale e dotato di una schiacciante superiorità di uomini e di mezzi,
al quale opposero per oltre un mese una tenace resistenza. Gli
ebrei, privati di ogni diritto, anche di quello di vivere, vittime
predestinate della “Soluzione finale”, tentarono, quando fu possibile,
di combattere, anche senza alcuna speranza di salvezza. La loro scelta
fu di morire in modo diverso da quello che era stato pianificato dai
carnefici, combattendo. Ha scritto Marek Edelman, uno dei capi
della rivolta del ghetto di Varsavia e fra i pochissimi sopravvissuti:
“Il 10 maggio 1943 finisce la storia drammatica degli ebrei di
Varsavia. Il luogo in cui sorgeva il ghetto è ridotto ad una montagna
di macerie alta due piani. Coloro che sono caduti hanno compiuto il
loro dovere fino in fondo, fino all’ultima goccia di sangue. Sangue che
è stato assorbito dalla terra stessa del ghetto di Varsavia. Noi, che
siamo sopravvissuti, lasciamo a voi il compito di non far morire la
loro memoria”. Rivolte ebraiche avvennero perfino nei campi di
sterminio, portate avanti da prigionieri stremati, privati di tutto, ma
non della volontà di resistere. Un’altra vicenda che pienamente si
intreccia con i destini della nostra identità, e che smentisce il luogo
comune che gli ebrei abbiano subito passivamente le persecuzioni e lo
sterminio, è quella della Brigata Ebraica, che si rese protagonista di
uno dei momenti più significativi dell'azione di affrancamento
dell'Italia dal giogo fascista e nazista. Questo corpo
straordinario, formato da oltre settemila volontari provenienti da
molti Paesi, si rivelò decisivo per la liberazione di vaste aree, in
particolare dell'Emilia e della Romagna, nei dintorni di Imola e di
Ravenna. Attraversando il fiume Serio, realizzarono il primo
sfondamento della Linea Gotica, che costrinse i fascisti e i nazisti
alla ritirata; molti di loro furono poi artefici dell'indipendenza
dello Stato di Israele. I caduti della Brigata Ebraica sono tumulati
nel cimitero di Piangipane nei pressi di Ravenna. Ancora oggi ci
giungono notizie di episodi di razzismo, di intolleranza, di
pregiudizio, di antisemitismo sia nella nostra Italia che in Europa.
Sappiamo che stanno rinascendo gruppi, movimenti e partiti, che hanno
il neofascismo e il negazionismo come parte integrante del loro
programma. Pensiamo con preoccupazione all’Ungheria e alla Grecia, dove
questi gruppi stanno conquistando consensi e riconoscimenti. E’ la prova che bisogna restare in guardia. A
voi, ragazzi, raccomando: non ignorate anche i più piccoli segnali, non
volgete lo sguardo dall’altra parte, se vi capita di assistere a
soprusi e ingiustizie. Per concludere vorrei ricordare che la
Resistenza non si fa soltanto con le armi, ma anche con la cultura e
con la corretta conoscenza dei fatti storici. Cosa significa
“resistere” ce lo dimostra anche la tenacia di Rita Levi Montalcini che
ci ha lasciati da poco. All'epoca della legislazione antiebraica non
rinunciò a portare avanti i suoi esperimenti nel laboratorio
clandestino allestito in un paese dell'Astigiano dove aveva trovato
rifugio. Rita ci lascia in eredità un bene prezioso: il coraggio delle
idee, la forza di saperle portare avanti nel tempo, oltre qualsiasi
ostacolo. Cari ragazzi, siate sempre ambasciatori di libertà e di speranza. A
Lei, Presidente, rivolgo un affettuoso saluto e un sincero
ringraziamento per quanto ha fatto e continuerà a fare per la Memoria,
e per il futuro del nostro Paese.
Napolitano: “Fascismo regime infame”
Ecco il testo dell’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il Giorno della Memoria 2013
Rendo
ancora omaggio agli ex internati e deportati, vittime e testimoni
dell’orrore dei campi in Germania, cui abbiamo appena conferito la
Medaglia d’onore. A conclusione di questa cerimonia, ancora una
volta così significativa e coinvolgente per l’intensità della
riflessione e per la ricchezza di voci cui ogni anno dà spazio qui in
Quirinale, vorrei dire brevi parole, anche – in qualche modo – di
bilancio. Caro Presidente Gattegna, può immaginare come io condivida la
sua emozione nell’accomiatarci dopo sette anni, per quel che mi
riguarda almeno nelle funzioni di Presidente della Repubblica. Con lei,
d’altronde, abbiamo condiviso sempre sentimenti e pensieri celebrando
il Giorno della Memoria. E’ stato questo tra gli impegni ricorrenti con
cui mi sono maggiormente identificato, dal punto di vista non solo
istituzionale ma personale, in senso storico e morale. Ringrazio anche
il ministro Profumo per aver sottolineato il contributo di impulso e
sostegno che è stato da me rivolto in particolare al mondo della
scuola. Vedete, credo che possiamo, tutti insieme, esprimere
soddisfazione per il cammino percorso e i risultati raggiunti in questi
anni nel coltivare la memoria della Shoah, nel diffonderne l’esercizio
attivo e consapevole, nel farne sprigionare – in tutta la loro
straordinaria molteplicità e ricchezza – insegnamenti e messaggi
essenziali non solo per la comprensione della storia ma per la
costruzione del futuro. L’esempio più eloquente ce l’offre la scuola.
Abbiamo ascoltato dal ministro cifre e fatti che testimoniano quale
estensione e quali diverse concrete espressioni abbia assunto un
impegno di conoscenza e di partecipazione sui temi della Shoah, ormai
divenuto parte integrante del percorso scolastico e di formazione
civile degli studenti in ogni parte d’Italia. Ma meritano egualmente di
essere valorizzate tutte le iniziative che hanno rispecchiato
un’accresciuta sensibilità delle istituzioni, della società civile, dei
cittadini. Ringrazio il dottor De Bortoli per averci presentato
l’appena aperto Memoriale della Shoah presso quel Binario 21 della
stazione di Milano centrale la cui visita, qualche anno fa, mi è
rimasta fortemente impressa. Egli ha avuto ragione di richiamarci nello
stesso tempo alla necessità di tenere alta la guardia, di vigilare e
reagire contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e
revisionismo magari canalizzate attraverso la Rete. E anche di evocare
un fenomeno che rischiamo di sottovalutare, e che invece si lega, come
grave fattore inquinante, a vicende e processi politici in atto non
solo nel Medio Oriente: il fenomeno cioè dell’antisemitismo come
dimensione del fondamentalismo islamico. Da noi, in Italia,
propagande aberranti si traducono in diverse città in fatti di violenza
e contestazione eversiva da parte di gruppi organizzati : come quelli
su cui è intervenuta, nei giorni scorsi, con provvedimenti motivati, la
Procura della Repubblica di Napoli. C’è da interrogarsi con sgomento
sia sul circolare, tra giovani e giovanissimi, di una miserabile
paccottiglia ideologica apertamente neonazista, sia sul fondersi di
violenze di diversa matrice, da quella del fanatismo calcistico a
quella del razzismo ancora una volta innanzitutto antiebraico. Abbiamo
letto perfino di progetti che a Napoli si sarebbero ventilati di
distruzione di un negozio ebreo, o di aggressione e stupro di una
studentessa ebrea. Mostruosità anche se solo enunciate, che sollecitano
la più dura risposta dello Stato e la più forte mobilitazione di
energie nelle scuole, nella politica, nell’informazione, a sostegno
degli ideali democratici. C’è da fare della memoria della Shoah
l’asse di una chiarificazione costante e diffusa e di una battaglia
ideale e politica non di parte, che vadano al di là degli stessi
confini storici della persecuzione, fino allo sterminio, contro gli
ebrei (e anche, non dimentichiamolo, contro i Rom e i Sinti). E non
solo perché razzismo e xenofobia hanno molteplici bersagli, che fanno
tutt’uno con quello posto al centro del criminale disegno hitleriano.
Ma perché sono in giuoco valori supremi, che nei ghetti di Cracovia,
Lodz o Varsavia, e nei lager di Auschwitz-Birkenau o Dachau, sono stati
calpestati come in nessuna costruzione di pensiero si era prima
immaginato potesse catastroficamente accadere : valori di civiltà e
umanità senza frontiere di luogo e di tempo, che si chiamano rispetto
della dignità della persona, ridotta invece a brandello umano, a
sopravvivenza nel terrore fino alla soppressione più brutale. Ma
torno alle mie parole iniziali di bilancio per mettere ancora in luce
quel che nel concreto siamo riusciti nel nostro paese a realizzare in
questi anni di sempre più larga, partecipata e creativa consapevolezza
dell’aberrazione introdotta anche in Italia dal fascismo con
l’antisemitismo. Attraverso, ad esempio, la scoperta, per tanti delle
generazioni più giovani, e quindi la denuncia dell’infamia delle leggi
razziali del 1938, di cui Benedetto Croce – che abbiamo di recente
commemorato a 60 anni dalla scomparsa – scrisse allora, collocandole
tra “gli atroci delitti” che il fascismo stava perpetrando : “la fredda
spoliazione e persecuzione”, furono le sue parole, “degli ebrei nostri
concittadini, che per l’Italia lavoravano e l’Italia amavano né più né
meno di ogni altro di noi”. Di quelle leggi, di quel clima fu vittima,
in quanto stroncata nelle sue possibilità di lavoro scientifico e
quindi costretta a lasciare l’Italia, la nostra grande Rita Levi
Montalcini, cui rivolgo anch’io un pensiero triste e commosso a breve
distanza di tempo dalla sua scomparsa. Ma non è solo per le
infamie del fascismo che l’Italia è presente nella ricostruzione
storica cui ci sollecita la memoria della Shoah nel Giorno della
Memoria. E’ presente in senso positivo e in piena luce per tutte le
forme di solidarietà che vennero dagli italiani verso gli ebrei
perseguitati e braccati dai nazisti durante l’occupazione tedesca da
Roma in su. E’ presente con gli italiani che hanno meritato il
riconoscimento di Israele col titolo di “Giusti tra le Nazioni”. E’
presente con storie straordinarie, assai poco note, come quella –
raccontata in un libro biografico apparso in italiano, con grande
ritardo, solo l’anno scorso – della vita di pensiero e di azione di
Enzo Sereni, trasferitosi poco più che ventenne in Eretz Israel,
fattosi pioniere e messaggero nel mondo del futuro Stato di Israele,
partito nel marzo 1944 per Bari nell’Italia già liberata e di lì
fattosi paracadutare al Nord, dove fu catturato dai tedeschi e dopo
mesi di terribili ed eroiche prove deportato e ucciso a Dachau. Ma
chiudo ora questa lunga digressione di carattere storico, che rimanda
all’impegno sviluppato e da sviluppare per comprendere i termini di
quei decenni “di ferro e di fuoco” del secolo che conobbe la barbarie
della persecuzione antiebraica e della Shoah ; e vengo a più brevi
parole di bilancio in senso più strettamente politico dell’impegno che
ho condiviso con voi. Ritengo di poter dire che si sono in questi anni
consolidati – nella coscienza democratica del nostro paese – alcuni
fondamentali punti fermi. Innanzitutto, rifiuto intransigente e totale
dell’antisemitismo in ogni suo travestimento ideologico come
l’antisionismo : perché in giuoco non è solo il rispetto della
religione, della tradizione storica, della cultura ebraica, ma insieme
con esso, inscindibilmente, il riconoscimento delle ragioni spirituali
e storiche della nascita dello Stato di Israele, e quindi del suo
diritto all’esistenza e alla sicurezza. Se questo è il punto fermo
da non mettere mai in forse, ne discende l’altro, della distinzione da
non annebbiare, tra solidarietà – da un lato – con la causa dello Stato
di Israele contro ogni propaganda e minaccia di distruzione, comprese
quelle che vengono dalla dirigenza iraniana, e – dall’altro lato –
libertà di giudizio su linee di condotta e concrete evoluzioni delle
forze politiche che sono chiamate via via a governare Israele. Giudizi
critici che d’altronde si esprimono liberamente nel dibattito politico
e di opinione in seno a Israele, non possono essere considerati ostili
purché formulati con il rispetto dovuto a ogni governo legittimo di
qualsiasi paese amico. L’essenziale è che essi non sfocino in posizioni
equivoche circa la natura e il futuro di Israele come Stato, circa il
suo ruolo indipendente nella regione mediorientale e nella comunità
internazionale. E’ alla luce di questa distinzione che l’Italia e
l’Europa possono e debbono fare la loro parte perché si apra la strada
della pace in Medioriente, con la soluzione del conflitto
israelo-palestinese sulla base della collaborazione tra due popoli e
due Stati. “Israele” – ha detto di recente Shimon Peres – “non ha
un’opzione migliore, diversa dalla soluzione dei due Stati” …. I
negoziati con i palestinesi [dopo il voto all'ONU] si sono fatti “forse
non più complicati, in ogni caso più necessari”. Voglio qui condividere
più in generale, ancora una volta, la visione che ha ispirato e
continua a ispirare il mio collega Presidente israeliano, uomo che da
decenni conosco da vicino, stimo e considero un autentico amico. La sua
visione e la sua fiducia. A tutti gli amici israeliani desidero
dire : i “punti fermi” che ho ritenuto di poter ricordare come ormai
consolidati nell’opinione e nella consapevolezza politica del paese,
non conosceranno alcun affievolimento nel prossimo futuro; la loro
continuità è garantita, anche nel naturale succedersi, come in ogni
paese democratico, delle maggioranze parlamentari e dei governi. Infine,
rinnovo un caloroso apprezzamento alle ragazze e ai ragazzi, e nel loro
insieme agli Istituti Scolastici, che si sono distinti nel concorso “I
giovani ricordano la Shoah”. Negli interventi degli studenti qui
abbiamo sentito vibrare le corde dell’emozione più sentita e profonda.
E in generale per quel che, come ho detto, siamo riusciti a costruire
sul terreno di una più ampia e partecipata presa di coscienza del
significato della Shoah, e della lezione da trarne, dobbiamo molto a
voi, dobbiamo molto alle generazioni più giovani, per come si sono
venute impegnando con mente aperta, sensibilità e confortante maturità.
E dunque, grazie. E arrivederci.
Profumo: “Una testimonianza per il futuro”
Ecco il testo dell’intervento del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo per il Giorno della Memoria 2013
Signor Presidente della Repubblica, Gentili autorità, Cari docenti e studenti, Cari amici della comunità ebraica, ogni
anno il “Giorno della Memoria” è, per tutti noi e per Voi ragazzi in
particolare, un incontro con la Storia, ma soprattutto uno strumento di
testimonianza per il futuro. La Shoah rappresenta uno spartiacque
nelle vicende umane, segnando per sempre un “prima” e un “dopo”. Un
tarlo insinuato nelle coscienze, ingannate da folli ideologie che,
anziché guardare alla vita, progettavano lo sterminio dell’uomo contro
l’uomo. Vegliare affinché quel tarlo non si diffonda mai più non è solo
un dovere verso il popolo ebraico, della cui sofferenza purtroppo fu
responsabile anche una parte fondamentale del nostro Paese, ma è un
imperativo morale per l’intera l’umanità. Da qui, dalle
celebrazioni che si tengono ogni 27 gennaio nel Palazzo del Quirinale –
e tutti noi La ringraziamo, Signor Presidente, per la partecipazione e
l’affetto dimostrati in questi anni nell’ospitarle – il mondo della
scuola, gli studenti, gli insegnanti, i genitori, si incamminano
insieme nel percorso di costruzione di un’etica civile rinnovata. Nella
maturazione di un concetto di Bene Comune che resta il fondamento di
una società più giusta che, nel Terzo millennio, si declina attraverso
la promozione del rispetto dell’altro, la valorizzazione della dignità
umana, e ovviamente la presa di posizione chiara contro ogni
negazionismo o, peggio, indifferenza. Presenziare in qualità di
Ministro dell’Istruzione alla giornata di oggi ha per me un significato
storico e personale di ancora maggiore rilievo e partecipazione.
Capita, infatti, a conclusione di un impegno di governo di grande
intensità emotiva, che coincide anche col termine dello splendido
settennato del Presidente della Repubblica. In questo anno e mezzo
abbiamo incontrato insieme centinaia di studenti, raccogliendo le loro
riflessioni, parole e aspirazioni. Da ministro, con l’aiuto delle tante
professionalità del ministero che ringrazio personalmente, abbiamo
visitato molte scuole, da Nord a Sud, viaggiato all’estero. E
personalmente porterò sempre con me gli sguardi, le domande, la voglia
di futuro e speranza dei nostri ragazzi. Le esperienze vissute
insieme durante i viaggi al ghetto di Cracovia e al campo di sterminio
di Auschwitz-Birkenau, nel 2012 e pochi giorni fa, come la visita al
museo della Shoah Yad Vashem lo scorso settembre, rimarranno nella
nostra mente e nel nostro cuore per il valore e la forza delle
testimonianze. Tredici anni fa la didattica della Shoah entrava
nelle scuole, e da allora un crescendo di iniziative permette di
coinvolgere ogni anno oltre mille scuole e decine di migliaia di
studenti. Un seme della conoscenza e del rispetto che da allora è stato
sparso da più di 100.000 ragazzi. Con questi numeri, l’Italia si
segnala tra i Paesi più attivi in Europa nei progetti didattici che
coinvolgono scuole e studenti, oltre ad essere tra i pochi Paesi al
mondo a vantare un master universitario in didattica della Shoah. Quest’anno,
con il protocollo d’intesa firmato con l’Ucei e con il Presidente Renzo
Gattegna – che ringrazio personalmente per il proficuo lavoro portato
avanti insieme – il “Viaggio della Memoria” diventa parte del percorso
formativo e scolastico di ciascuno studente, così come lo sono già il
concorso “I giovani ricordano la Shoah”, il “viaggio allo “Yad Vashem”
organizzato con lo Stato d’Israele. Non c’è luogo più idoneo della
scuola per trasmettere alle nuove generazioni l’importanza della
Memoria, e per curare l’infezione dell’odio, dell’indifferenza e della
viltà, che non sono scomparsi neppure nella nostra Europa. Siamo
chiamati a vigilare costantemente, perché – come scriveva Primo Levi –
Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si
è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo”. Ne è
stata drammatica testimonianza il massacro alla scuola ebraica di
Tolosa, nella vicina Francia, che lo scorso anno ci ha riportato alla
mente l’attentato alla sinagoga di Roma del 1982. E altre
manifestazioni di violenza in molte parti del Continente. Se i
nostri ragazzi e le nostre ragazze diventeranno ottimi professionisti,
ma scadenti cittadini, avremo fallito la nostra missione di educatori.
La crescita della consapevolezza negli studenti passa inevitabilmente
attraverso la formazione costante degli insegnanti, che al pari delle
famiglie compartecipano allo sviluppo delle qualità intellettuali,
culturali e umane dei nostri giovani. Per questo agli insegnanti, al
personale scolastico e ai genitori voglio esprimere la mia più sincera
gratitudine per il coinvolgimento entusiastico alle iniziative che
riguardano la Shoah. Si tratta di tanti piccoli tasselli che si
uniscono ogni giorno aiutandoci a costruire un’etica civile più forte,
e una cittadinanza inclusiva e matura per il futuro. Perché, come
diceva Italo Calvino “la storia è fatta di piccoli gesti anonimi…e
tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di
domani, sulla storia di domani del genere umano”. Care ragazze e
ragazzi e cari insegnanti, la scuola deve essere il terreno in grado di
far fruttare le competenze acquisite. Ma deve anche dare concretezza ai
valori e alla consapevolezza che, come popolo, ci intrecciano al
caleidoscopio di vicende umane che uniscono italiani, europei e gli
altri cittadini del mondo. Il male commesso ai danni del popolo ebraico
non potrà essere sanato dalla celebrazione annuale del 27 gennaio.
Giorno per giorno sarà necessario il nostro impegno, affinché la
testimonianza diventi azione concreta in difesa delle vittime
dell’intolleranza e della barbarie. “Mai più” è il monito che tutti
dobbiamo levare a tutela di ogni forma di violenza e discriminazione. Signor
Presidente, desidero cogliere questa occasione così solenne per
ringraziarLa, personalmente e a nome delle scuole d’Italia, per la
vicinanza, il sostengo e la guida che ci ha offerto in questi anni
difficili, richiamandoci costantemente alla realizzazione di un domani
migliore e alla conoscenza vitale della Storia e della memoria. Beni di
tutti, da conoscere, da difendere, da amare. Ma soprattutto da vivere
in prima persona. Grazie.
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