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 1 febbraio 2013 - 21 Shevat 5773
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ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
 

Una delle 613 mitzvòt è ricordare il "Maamàd Har Sinai", il momento del dono della Torah. Che cosa esattamente dovremmo ricordare? Il Talmùd dice che dovremmo ricordare il timore e il sudore del popolo ebraico nel momento del Mattàn Torah. Quel timore non è paura ma timore reverenziale che si prova in presenza di qualcosa di grandioso e di straordinario. Quello stesso timore dovrebbe accompagnare il nostro rapporto con la Torah. Viviamo in un'epoca in cui tutto sembra essere alla portata di ognuno. È sicuramente positivo e anche in campo ebraico può portare a una maggiore accessibilità dello studio, a un allargamento della conoscenza. Il rischio però è di vedere il senso della grandezza.

 Gadi
Luzzatto Voghera,
storico



gadi luzzatto voghera
Fra le numerosissime iniziative a cui ho partecipato in questo “periodo della Memoria” (perché ormai è difficile chiamarlo “giorno”), mi è sembrata particolarmente significativa quella organizzata da una scuola superiore di Padova che ha voluto creare un percorso di studio e riflessione sul negazionismo. Una serie di incontri con conferenzieri, a cui seguiranno seminari interni e un convegno gestito dagli studenti stessi. È – mi pare – il segnale di una scuola che sta cambiando e maturando, che non lavora più “a traino” ma che si fa propositiva e che ha ben compreso il senso della legge istituita per il giorno della memoria. Non sterili celebrazioni, come qualcuno su Unione Informa lamenta (in parte giustamente), ma riflessioni mature che sempre meno hanno a che fare con lo studio di quel che fu (che ormai è materia che gli studenti si ritrovano anche nei libri di testo), ma che si sforzano di fare della Memoria qualcosa di utile per le loro vite oggi e nel futuro. L’impressione (ma certamente dipende dai luoghi e dagli ambienti) è che a volte siano più preparati e propositivi gli studenti di quanto non lo sono certi insegnanti, ancora legati a strumenti ormai inutilizzabili.

davar
Il Rav, i diritti civili, il dibattito
I primi entusiasmi, come è noto, sono stati suscitati dall'attenta e intelligente citazione riservata a Bernheim da Benedetto XVI nel suo discorso di Natale, cui è seguita una lunga, appassionata intervista che a questa figura di spicco dell'ebraismo europeo ha dedicato l'autorevole quotidiano cattolico francese La Croix. La grande attenzione dedicata a questa sintonia dal quotidiano vaticano Osservatore romano basta da sola per comprendere che non ci troviamo di fronte a una novità di poco conto. Fin lì niente di male, anzi, forse il segno di una nuova attenzione, perché insomma, come ha avuto modo di commentare ironicamente lo stesso Rav Bernheim, “dopo 19 secoli di malintesi e persecuzioni, un segno di ascolto non guasta”. Ma a dimostrare come le buone notizie siano destinate talvolta a viaggiare su terreni assai accidentati ci hanno pensato subito in molti. A cominciare da coloro che avrebbero voluto il rav Bernheim in piazza dalla loro parte, prima ancora di aver compreso esattamente le sue parole, e dalle cadute della stampa italiana (Ernesto Galli della Loggia in prima fila) che ha sempre preferito un frettoloso sensazionalismo al reale di desiderio di comprensione. Non si sono accorti che uno dei libri più belli del rav Bernheim porta il titolo di “Un rabbin dans la cité” (Un rabbino immerso nella società, nei suoi problemi, nelle sue sofferenze)? No, non tutti almeno, è così è stata necessaria un'ulteriore uscita pubblica del rav. Di fronte ai microfoni di Jean-Pierre Elkabbach (Europe1), in un nuovo, serratissimo confronto, il rav Bernheim ha chiarito che a scendere in piazza e confondersi con un fronte che, dietro alla bandiera dei valori della famiglia, dimostra di voler coltivare tutt'altri interessi, lui non ci pensa nemmeno. Noi – ha detto il rav – abbiamo il dovere di affermare i nostri principi, ma anche di rispettare prima di tutto l'ordine repubblicano, non certo di costituire una coalizione di religioni per intralciarne la strada. E riguardo alle sue chiare opinioni sulla necessità di riservare alle coppie eterosessuali e ai bambini in adozione diritti specifici che non possono essere assimilati a diritti generici e al dibattito che ne è seguito, gli è stato chiesto, le sue opinioni non hanno fatto l'unanimità neanche in campo ebraico. “Se c'è un dibattito – ha tagliato corto il rav per far comprendere come l'ultima delle sue intenzioni sia giocare a fare il papa – bisognerà pure che ci siano opinioni differenti”. Parole chiare sul pluralismo. E parole chiare anche a chi specula, giocando anche con irresponsabili sensazionalismi, sull'inquietante intensificarsi di atti di antisemitismo, quando il rav ha ammonito che “l'antisemitismo in Francia non è un problema degli ebrei francesi, è un problema per l'insieme della società francese”. Ma chi ha cercato di tirarlo per la giacca non si è accorto che le maggiori voci dell'ebraismo francese hanno accolto con rispetto, ma con dissenso lo studio del rav? Che il filosofo Bernard-Henry Lévy abbia tagliato corto spiegando come in una società evoluta “il matrimonio è un contratto e non un sacramento”? Che il rav Bernheim, invece che inviargli una scomunica gli ha fatto avere l'invito a partecipare a un sereno confronto comune che si è poi svolto nelle ore a seguire? Non hanno preso nota che, secondo l'ultimo studio del Public Religion Research Institute, l'81 per cento degli ebrei americani è chiaramente favorevole al riconoscimento di tutti i diritti civili alle coppie dello stesso sesso? Non sanno che la Corte Suprema di Israele ha posto regole di base fra le più avanzate al mondo nel riconoscimento delle minoranze sociali e sessuali e che in Israele si è addirittura celebrato recentemente il primo divorzio di una coppia dello stesso sesso che aveva contratto matrimonio altrove? Non si rendono conto che il mondo ebraico non può essere un coro di chierichetti, ma è una società complessa, aperta, nell'ambito della quale il rabbinato svolge un indispensabile ruolo di guida spirituale e deve contemporaneamente interagire con la libertà di scelta delle persone? Pare di no. Tanto che con l’autorevole firma di un pensatore come Ernesto Galli della Loggia, il Corriere della Sera ha archiviato in prima pagina il 2012 sui toni di una riflessione dedicata al ruolo dell’ebraismo nel dibattito fra politica e religioni. Dal testo si apprende che l’autore ha ascoltato con attenzione il discorso di Natale di Benedetto XVI ed è rimasto colpito dalla inconsueta lode che il papa riserva al documento del rav Bernheim. A Galli della Loggia piace unire la propria voce, lasciando intendere che il documento del rabbinato francese costituisca una rara e coraggiosa novità nel quadro di un ebraismo solitamente silente, soprattutto in Italia, sulle grandi questioni civili. Un ebraismo inquinato inoltre da un gran numero di ebrei ansiosi di gettare alle ortiche la religione dei padri e di intraprendere un percorso di radicale emancipazione- secolarizzazione per “integrarsi in pieno con le élite laico liberali sulla via di prendere dovunque il potere”. Di che stupirsi. E’ ben noto, e non da oggi, come la brama di potere induca spesso gli ebrei ai comportamenti più scostumati. Ma al di là di questi triti, penosi stereotipi di ritorno, l’editoriale del Corriere sembra destinato a lasciare il segno. Da un lato, infatti, si basa su presupposti del tutto immaginari e alquanto infondati. L’ebraismo italiano, e con esso il suo rabbinato, è stato silente solo per chi non ha voluto ascoltarlo. Solo per citare pochi esempi, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni usò oltre cinque anni fa argomenti solidi e parole ben chiare, per alcuni anche troppo chiare, per dire le stesse cose che oggi ci ripete il rav Bernheim. Chi volesse rinfrescarsi la memoria farebbe bene a rileggerselo. Il rabbino romano Gianfranco Di Segni è intervenuto più e più volte, anche su queste pagine, dimostrando come la ricerca sui temi di bioetica sia al centro della riflessione rabbinica contemporanea. Il rabbino di Torino Alberto Moshe Somekh usò parole molto chiare ai tempi del referendum sulla fecondazione assistita del 2005 per marcare una posizione ebraica ben diversa da quella della Chiesa cattolica. E da quelle parole non si deduceva solo una differenza di posizioni. Ma anche che nella stagione in cui il mondo cattolico andava predicando il disimpegno civile e il dovere del cittadino religioso di far fallire il referendum (ciò che puntualmente avvenne con i tragici risultati di emarginazione dal mondo progredito che punta sulla ricerca scientifica), per contro il dovere religioso degli ebrei italiani era quello di andare a votare. L’ebraismo è complesso, spesso contraddittorio, ma commette un grossolano errore chi per assecondare il proprio ragionamento confonde la libertà di pensiero e di ricerca, il rispetto per la pluralità delle sensibilità che va di pari passo con l’esigenza di rispetto della Legge ebraica, come una latitanza. L’intervento del Corriere risulta quindi viziato da una ruvida superficialità che non può giovare al progresso di un dialogo fra le grandi religioni. E in quanto tale dovrebbe essere rispedito al mittente. D’altro canto, nonostante muova da una forzatura inaccettabile, l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia finisce per sollevare interrogativi pressanti e anche fosse solo per questo motivo possiede meriti di non poco conto. Come mai, se è vero come è vero che il rabbinato e il mondo ebraico italiano pensano e discutono, la società percepisce allora così debolmente questo segnale? Manca la volontà di ascoltare? O manca piuttosto la volontà di usare parole chiare, di farsi capire? O ancora non dovremmo forse anche noi, tutti noi, a cominciare dagli ebrei che lavorano sul fronte dell’informazione, ripensare il nostro lavoro e l’efficacia del nostro impegno? Se un dibattito serio sulla funzione degli ebrei italiani nella società e sulla maniera di presentare, di comunicare questo ruolo, prenderà effettivamente l’avvio, l’editoriale del Corriere, pur reggendosi su presupposti del tutto sballati, avrà comunque un grande merito. Da una stortura, come il Talmud insegna in pagine memorabili, possono in definitiva scaturire molte meraviglie.

gv

Pagine Ebraiche, febbraio 2013



Quello che spesso si dimentica di dire

Il documento del rav Bernheim è a disposizione dei lettori nella versione italiana curata da Ada Treves. Dedicato alle tematiche sollevate dal Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim è anche l'istant book pubblicato dalle Edizioni Belforte col titolo Quello che spesso si dimentica di dire. Oltre alla traduzione integrale del testo di rav Bernheim il volume propone alcune riflessioni sia di parte cattolica che ebraica con interventi di monsignor Luigi Negri, del rav Alberto Moshe Somekh e di Giorgio Israel. “Lungi dal preferire il silenzio – scrive rav Somekh – ogni ebreo deve impegnarsi con ogni mezzo possibile per far conoscere gli insegnamenti della Torah al mondo che lo circonda senza distinzioni di religione o cultura, in modo da essere d’aiuto anzitutto a coloro che si confrontano con l’omosessualità in modo onesto”. Ben venga dunque, prosegue il rav, “la collaborazione con i vertici della Chiesa Cattolica, con la quale per molti versi il mondo ebraico può sviluppare un’adeguata azione comune per la difesa della dignità, della stabilità e della sacralità della famiglia, richiamandosi agli insegnamenti della tradizione biblica fin dai primordi”. L'opera sarà consegnata lunedì da monsignor Negri nelle mani di papa Benedetto XVI.


 

Israele - Nuovo governo, a Netanyahu l’incarico
Concluse le consultazioni del presidente israeliano Shimon Peres con i capi dei 12 partiti che hanno trovato posto nella diciannovesima Knesset: a formare il nuovo governo sarà, come anticipato da giornali e analisti, Bibi Netanyahu. Il leader del blocco Likud-Beytenu, che ha ottenuto 31 seggi, riceverà ufficialmente l’incarico da Peres al termine dello Shabbat, riferisce il quotidiano Haaretz. A indicare il nome di Netanyahu come capo del governo, sono stati i rappresentanti di Likud-Beyteinu, Yesh Atid, Habayit Hayehudi, Shas, United Torah Judaism e Kadima (per un totale di 82 deputati). Gli altri hanno scelto di non indicare alcun nome. Uno dei temi più discussi durante i colloqui con il presidente è stato l’arruolamento dei giovani haredim nell’esercito. Un tema condiviso tanto dal partito centrista Yesh Atid di Yair Lapid, quanto da Habayit Hayehudì, punto di riferimento politico degli insediamenti guidato da Naftali Bennett. Sulla questione dell’arruolamento negli scorsi giorni sembrava essere emersa un’apertura al compromesso anche da parte dello Shas, la formazione religiosa sefardita che ha come punto di riferimento spirituale il rabbino Ovadia Yosef. Anche se, nell’incontro con Peres, uno dei leader dello Shas, Aryeh Deri, ha consegnato al presidente una lettera del rabbino che esprime la preoccupazione secondo cui “una mossa del genere causerebbe una spaccatura nel paese”.

(nell’immagine il presidente Peres a colloquio con i rappresentanti di Likud-Beytenu)

Qui Roma - Israel Now, reinventare il futuro
Le radici nel passato, lo sguardo proiettato verso il futuro. La mostra Israel Now – Reinventing the future, dopo la visita speciale per la stampa di cui abbiamo  riferito ieri, è adesso aperta anche al pubblico fino al prossimo 17 marzo. Ventiquattro gli artisti proposti per un ventaglio di stimoli, emozioni e sorprese che gettano luce sull'arte contemporanea israeliana e sul filtro interpretativo adottato da alcuni dei sui migliori intepreti. Curata da Micol Di Veroli e con allestimento di Joram Orvieto, Israel Now – ospitata al Museo Macro Testaccio di Roma – è la prima iniziativa congiunta della Fondazione Italia-Israele per la Cultura e per le Arti da poco costituita con accordo intergovernativo. Rafforzata nel suo impegno dall'alta medaglia di rappresentanza del presidente della Repubblica ha, tra i vari patrocini, il sostegno dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, della Comunità ebraica di Roma e del Centro ebraico italiano. Ad arricchire l'offerta un elegante catalogo realizzato dalla casa editrice Drago. Questo pomeriggio intanto, a margine dell'evento inaugurale, uno degli artisti coinvolti – Nahum Tevet, già protagonista nel 2008 al Macro alcuni con una personale – terrà una lectio magistralis nella Sala della Adunanze dell'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze nel corso della quale affronterà il rapporto tra disegno e scultura. L'evento è organizzato dall'architetto David Palterer, componente del Consiglio della Fondazione Italia-Israele per la Cultura e per le Arti, e ha il supporto dell'ambasciata d'Israele a Roma e dell'associazione Italia-Israele di Firenze.

Qui Firenze - Un viaggio che è anche nostro
Il presidente della Comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli ha inviato il seguente messaggio agli iscritti:

"Carissimi, sono appena tornata da Auschwitz. Partita piena di paura e di dubbi con il treno della memoria organizzato dalla Regione Toscana, sono tornata convinta di aver fatto la cosa giusta. Se non mi fosse stato chiesto di partecipare perché presidente della Comunità ebraica di Firenze, non sarei mai andata. Non mi sentivo di affrontare il viaggio nel mondo dell'orrore, là dove ho perso, prima di conoscerli, tanti parenti. Sono partita spinta dal pensiero del senso di colpa che mi avrebbe accompagnato negli anni a venire, se non avessi accettato. Il Giorno della Memoria non è per noi, è per la società civile che deve interrogarsi, riflettere, ricordare e conoscere. Sono andata, il mio compito "ufficiale" era "solo" di esserci, di leggere, durante la cerimonia al monumento, la traduzione di El malè rachamim. Eppure la memoria che per noi è costante, scorre nel nostro sangue, ha assunto uno spessore diverso, lì ad Auschwitz con la neve, la teoria di ragazzi che uno dopo l'altro scandivano il nome di un giovane deportato, le lacrime versate, i sassi che mi ero portata dal giardino del Tempio, deposti sulla lapide che ricorda gli ebrei italiani, Il silenzio che avrei voluto perfetto, il desiderio di solitudine e il bisogno di un abbraccio.
Questo viaggio in cui i luoghi immaginati o visti nelle foto di libri, nei documentari, hanno assunto una diversa concretezza, questo viaggio in un qualche momento della nostra vita, improvvisamente, lo avverto come una necessità anche per noi ebrei.
Questa è una lettera pubblica, ma anche molto personale, datemi il tempo poi seguirà la riflessione, seguiranno gli articoli ufficiali. Shalom a tutti voi".
 
Sara Cividalli, presidente della Comunità ebraica di Firenze

Qui Roma - Genitori e figli, il difficile passaggio
Genitori e figli, il difficile passaggio generazionale, valori da trasmettere, mentalità che a volte si scontrano e a far da sfondo una società in continuo cambiamento e, in questo momento, la crisi economica che mette alla prova la possibilità di trasmettere punti di riferimento. Questi i temi affrontati al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nella conferenza "Di Generazione in generazione": Come affrontare il passaggio? primo appuntamento della nuova stagione del ciclo di incontri, a cura di Ilana Bahbout e Sira Fatucci "Quale identità ebraica - Generazioni a confronto". A parlarne il rav Roberto Colombo, direttore delle materie ebraiche alle scuole ebraiche di Roma, Saul Meghnagi, presidente dell'Istituto Superiore di Formazione e direttore scientifico dell'associazione Hans Jonas e Barbara Zarfati, antropologa. A moderare Hamos Guetta.
Che tipo di rapporto possiamo costruire con il mondo giovanile? Si domanda subito il rav Colombo. Spesso si parla di “rottamazione” per identificare il naturale scambio generazionale fra le vecchie e le nuove generazioni. Nell’ambiente ebraico invece sta accadendo il contrario perché i giovani cercano il rabbino della vecchia generazione, sottolinea il rav passando subito a suggerire le soluzioni: è il Maestro che deve farsi capire dall’allievo e non viceversa, è l’insegnante che deve trovare gli strumenti per sollecitare gli allievi, non deve mai smettere di crescere culturalmente e soprattutto non deve insegnare ciò che egli stesso non metta in pratica. Secondo Saul Meghnagi “non è vero che prima era più facile e ora più difficile. La generazione attuale non sta peggio di noi, ma questa è l’epoca in cui manca la speranza” osserva passando a delineare alcune caratteristiche che contraddistinguono i giovani ebrei rispetto ai loro coetanei, viaggiano molto, spesso in grandi città dove ci sia una comunità ebraica, privilegiano il rapporto con gli altri, il sentimento di accoglienza. A portare il proprio contributo da parte delle nuove generazioni, l’antropologa Barbara Zarfati che condivide sia le idee espresse dal rav Colombo che da Meghnagi e si domanda come sia aumentato il distacco fra padre e figlio. E’ vero che la tecnologia ha contribuito all’allontanamento? Secondo la Zarfati a Roma i giovani ebrei hanno la fortuna di essere accolti dalla famiglia e dalla comunità “la nostra fortuna di ebrei è che abbiamo uno spazio entro cui confrontarci”.
I prossimi incontri si terranno giovedì 14 febbraio sul tema "Israele e noi" e il 28 febbraio "Appena ieri. La letteratura ebraica nelle generazioni".

Lucilla Efrati twitter @lefratimoked

pilpul
Cattivi esempi
Anna SegreLe infelicissime frasi pronunciate domenica scorsa dal nostro ex premier somigliano molto a quegli atteggiamenti degli allievi nelle interrogazioni che hanno una particolare capacità di urtare noi insegnanti: esposizione confusa, con termini imprecisi, tipica di chi si tiene sul vago perché non ha studiato; frasi volutamente poco chiare che consentono a chi le pronuncia di affermare che non è stato capito e che intendeva dire tutt’altra cosa; polemiche che si trascinano nei giorni successivi centrate appunto sul supposto malevolo fraintendimento; e ancora, per quanto riguarda più specificamente il Giorno della Memoria, la tendenza a fare confusioni e a mescolare tutto insieme in un caos indistinto: Italia, Germania e resto d’Europa, anni ’30 e ’40, fascismo e nazismo, leggi razziali e Shoah; senza dimenticare infine la tendenza a infilare a sproposito Israele in discorsi in cui non dovrebbe entrare per nulla. Confusioni, a dire il vero, più che comprensibili se consideriamo che i ragazzi nei giorni intorno al 27 gennaio sono sottoposti a un bombardamento di eventi, spettacoli, film, ecc. alla rinfusa e presumibilmente dovranno attendere il loro tredicesimo anno di studio (l’ultimo delle superiori) per avere un inquadramento storico sufficientemente chiaro. Tuttavia i giovani non sempre hanno l’umiltà di riconoscere i propri limiti e a volte credono di sapere tutto su temi di cui hanno sentito parlare fin da quando erano piccoli ma mai in modo preciso e sistematico. E non sempre i ragazzi si sanno assumere la responsabilità di una risposta chiara, giusta o sbagliata che sia, senza cadere nella tentazione di smentirla successivamente.
Il nostro ex premier non è un mio allievo e non spetta a me il penoso compito di assegnargli un voto; quanto agli studenti, in effetti non ci si può stupire troppo se qualche volta imitano cattivi modelli dal mondo degli adulti.

Anna Segre, insegnante

"Mi riconosco in tutti i miei nemici"
Mi presento ai lettori con le parole del grande scrittore ebreo russo-polacco-francese Romain Gary, parole in cui mi rispecchio: “Non posso essere un animale politico, nella maniera più assoluta, dal momento che mi riconosco continuamente in tutti i miei nemici”.
(da La promessa dell’alba).

Laura Salmon, slavista

notizie flash   rassegna stampa
Cassuto, "notabile di Gerusalemme"   Leggi la rassegna

La radio israeliana ha diffuso questa mattina la notizia che il professor David Cassuto, è stato nominato  HaYakir Jerushalaim “Notabile di Gerusalemme”, per il suo operato  a favore della città di Gerusalemme, ove è anche stato per alcuni anni vice sindaco. Nato a Firenze nel 1937 e trasferitosi in Israele nel 1944, Cassuto è stato insignito in passato anche dell’onorificenza di Commendatore della Repubblica italiana ed è docente del Centro Universitario Ariel. Per diversi anni è stato Presidente della associazione che gestisce il Tempio italiano di Gerusalemme e il Museo d’Arte Ebraica U. Nahon. Dal 2004 è membro attivo del Comites d’Israele.
 

I ventiquattro artisti israeliani esposti al Macro a Roma fino al 17 marzo sono protagonisti di un articolo di Danilo Maestosi sull’edizione romana del Messaggero, che racconta come in Israele il senso del tempo sia costruito su un continuo accavallarsi di passato e presente e come il paese sia un fertile serbatoio di proposte creative.




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