se non
visualizzi correttamente questo messaggio, fai click
qui
|
4 febbraio 2013 - 24 Shevat
5773 |
|
|
|
|
|
Adolfo
Locci, rabbino capo
di Padova
|
"E
questi sono gli statuti che porrai davanti a loro" (Esodo 21:1) Cosa
vuol dire "porrai davanti a loro"? Da questo verso si ricava un grande
principio: che l'esempio posto davanti agli allievi è il modo migliore
per far imprimere nelle menti e nei cuori quello che si studia. I
Mishpatim, che comprendono tutta la vita pratica dell'individuo,
bisogna insegnarli e dimostrali nella quotidianità e non lasciarli
dentro il libro…
|
|
Anna
Foa,
storica
|
|
Ha ragione Benedetto Carucci,
le semplificazioni, in qualunque direzione vadano, non si addicono ad
un fenomeno complesso e variegato come l'ebraismo. Sempre che non si
voglia fare come gli antisemiti del primo Novecento per cui gli ebrei
erano tutti rivoluzionari e insieme tutti ricchi borghesi. Ma il mondo
che, sulla scorta anche dell'ultimo libro di Traverso, Sergio
Luzzatto propone è quello dell'ebraismo tedesco dell'Ottocento,
percorso da una straordinaria passione del nuovo e caratterizzato da
una viva partecipazione alle rivoluzioni del tempo. Il mondo ebraico
che ha mandato tanti suoi figli, e fra loro non pochi rabbini, esuli
politici in America dopo la rivoluzione fallita del 1848. E ugualmente
percorso da ideologie rivoluzionarie e da ansie appassionate di
cambiamento è la Russia zarista di fine Ottocento, culla del sionismo
ma anche del bolscevismo e del socialismo del Bund. Questi due mondi
ben poco avevano di moderato o di conservatore, a differenza del
cammino intermedio dell'ebraismo italiano, più moderato ma anch'esso
non privo di volontà di radicali cambiamenti. Senza semplificare,
conviene credo tener presente questa modalità dell'ebraismo
dell'Otto-Novecento, questa grande ricchezza della nostra storia.
Perché, come dicevano gli ebrei tedeschi del XIX secolo, gli ebrei sono
tali anche per la loro storia.
|
|
|
Qui Bologna - Le Commissioni UCEI al lavoro |
Prosegue
l'opera di decentramento e di impegno su tutto il territorio nazionale
delle istituzioni dell'ebraismo italiano. Nella giornata di ieri,
ospiti della Comunità di Bologna, quattro delle dieci commissioni
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane incaricate di svolgere
un'essenziale funzione di raccordo con la Giunta esecutiva (Bilancio e
Otto per Mille, Supporto alle Comunità, Affari Sociali, famiglia ed
ebrei lontani e Cultura) si sono riunite per mettere a fuoco problemi,
sfide e opportunità per il futuro. Molti i temi e gli orizzonti comuni
emersi durante l'incontro, tra gli snodi più significativi della prima
fase di implementazione del nuovo Statuto UCEI. Presente, tra gli
altri, il consigliere e osservatore permanente di Giunta Anselmo Calò,
cui è stato recentemente affidato il compito di coordinare l'intera
macchina operativa. Bologna, insieme ad altre città come Milano,
Firenze e Roma, ha costituito nelle ultime settimane un punto di
riferimento fondamentale nel lavoro di raccordo e collegamento tra le
diverse anime del Consiglio a cinquantadue voci rappresentativo di
tutte e 21 le Comunità ebraiche italiane. Un impegno volto a dare
attuazione agli indirizzi emersi nel dibattito assembleare nel segno
della collegialità, del confronto delle idee e della continuità nel
tempo. Primi importantissimi frutti stanno arrivando anche per quanto
riguarda le commissioni Affari legali, Scuola educazione e giovani,
Israele e Aliyah, Culto, Antisemitismo e Memoria, Minoranze e cultura.
Il lavoro svolto dalle commissioni era stato tra i punti all'ordine del
giorno dell'ultima riunione del Consiglio UCEI a Roma.
|
|
Dibattito aperto sui diritti civili alle coppie di fatto Porte aperte e impegno per garantire pieno rispetto e dignità |
Matrimonio
omosessuale, omoparentalità, adozioni. Temi di grande attualità cui il
numero di febbraio di Pagine Ebraiche in circolazione dedica quattro
pagine speciali. A confronto le voci di un rabbino e di tre
intellettuali. “Accettiamo i nostri amici, figli e fratelli per quello
che sono. Garantiamo loro la dignità e il rispetto che ogni persona
merita. All'interno della nostra Comunità – spiega rav Yosef Kanefsky,
rabbino della sinagoga ortodossa modernista B'nai David-Judea (Los
Angeles) – è l'annuncio di un mondo nuovo, migliore e coraggioso”.
La
comunità americana modern-orthodox è appena entrata in un territorio
inesplorato. Pochi giorni fa la nostra maggiore organizzazione
rabbinica, il Rabbinical Council of America (RCA) ha ufficialmente
ritirato il suo appoggio a Jonah (Jews Offering New Alternatives to
Homosexuality). Jonah è stato per lungo tempo il recapito comunitario
della terapia correzionale (reparative therapy), un processo che
intende curare le persone per il loro orientamento omosessuale e
sostituirle con quelle eterosessuali. Le azioni legali legali intentate
contro Jonah da quattro suoi precedenti pazienti, che l’accusano di
frode e pratiche abusive, apparentemente sono state l’ultima goccia.
Per essere precisi la dichiarazione del Rabbinical Council of America
non rifiuta solo l’azione di Jonah. Prosegue dicendo: “Crediamo che dei
professionisti della salute mentale adeguatamente preparati che
rispettino i valori e i principi etici della loro professione possano
fare e in effetti facciano la differenza nella vita dei loro pazienti e
clienti, e che questi professionisti debbano essere in grado di
lavorare su qualsiasi problematica i loro clienti decidano
volontariamente di sollevare durante una sessione”. Questo è,
ovviamente, indiscutibile e corretto. Ma il fatto che la dichiarazione
riconosca che “la mancanza di studi scientifici rigorosi che supportino
l’efficacia di terapie per cambiare l’orientamento sessuale”
rappresenta un cambio di paradigma. È un rifiuto della premessa stessa
su cui Jonah e tutta la terapia correzionale sono costruiti, ossia che
l’orientamento sessuale è soggetto a dei cambiamenti e che qualsiasi
persona ci si impegni abbastanza intensamente possa diventare
eterosessuale. Questo probabilmente potrebbe non essere per nulla una
rivelazione per molti lettori. Ma attraverso la dichiarazione del
Rabbinical Council of America la comunità modern-orthodox è entrata
formalmente in un mondo nuovo. Qualsiasi discussione su quali
potrebbero essere le implicazioni pratiche di questo fatto deve essere
basata sulla comprensione – anche su un apprezzamento – del contesto da
cui è emersa. Chiunque tra noi, che siamo cresciuti in una istituzione
ortodossa negli anni Ottanta, o prima, sappiamo per conoscenza diretta
che l’omosessualità, e in particolare l’omosessualità maschile, era
trattata con disgusto e repulsione e che le offese di stampo
omosessuale erano frequenti (possiamo consolarci dicendo che nel
contesto sociale più amplio non c’era molta differenza). E anche mentre
si susseguivano le campagne per i diritti e il riconoscimento degli
omosessuali, nel corso dei decenni successivi, l’ebraismo ortodosso non
ne veniva toccato e rimaneva sostanzialmente immobile al riguardo.
C’era stato un solo serio tentativo di affrontare l’argomento durante
quel periodo, e si era trattato del saggio scritto da rav Norman Lamm
nel 1974 che, pur utilizzando un linguaggio che nel contesto odierno
suona offensivo, fece un passo inaudito distinguendo tra “peccato” e
“peccatore”, sostenendo che mentre “l’atto in sé resta un abominio,
l’esistenza della malattia pone su di noi l’obbligo di compassione
pastorale, comprensione psicologica e simpatia sociale”. Nonostante le
parole di rav Lamm indubitabilmente, e con ragione, facciano reagire
con rabbia, dolore e risentimento molti lettori contemporanei, capire
perché le abbia usate è cruciale per comprendere il vero significato e
le implicazioni degli sviluppi della settimana scorsa. Il paradigma
della “malattia” per spiegare l’omosessualità (che a dire il vero era
anche il paradigma della American Psychological Association fino al
1973, solo un anno prima) era il perno legale e teologico di rav Lamm -
e dell’ebraismo ortodosso. Legale nel senso che provvedeva accesso alla
categoria legale della “trasgressione come risultato di un disturbo
compulsivo”, che porta a un giudizio più clemente. Teologica perché
provvede una risposta all’enigma secondo cui Dio, che sa tutto, è
giusto e compassionevole, non avrebbe potuto proibire ciò a cui non è
umanamente possibile resistere. Finché l’omosessualità è una malattia,
l’incapacità di una persona a resistere alle sue tentazioni non deve
essere attribuita a un fallimento divino ma a uno sfortunato cedimento
umano. Non c’è bisogno di dire che il paradigma della malattia portava
anche in maniera inesorabile all’obbligo di cercare un intervento
terapeutico. E mentre all’estremo più moderno dello spettro
dell’ortodossia si iniziava a astenersi la maggioranza continuava ad
insistere in quella direzione (si può leggere, per esempio, la
Declaration on the Torah Approach to Homosexuality del 2011 —
www.torahdec.org.) La dichiarazione del Rabbinical Council of America,
comunque, con misura, ma arditamente e con coraggio, fa un passo
avanti. Riconoscendo che non ci sono prove che la terapia correzionale
sia efficace e che, di conseguenza, non ci siano obblighi a
perseguirla, la nostra comunità conviene che l’omosessualità potrebbe
semplicemente essere una parte della condizione umana. Di conseguenza
abbiamo deciso che gli omosessuali non devono più pagare il prezzo
psicologico, emotivo e anche fisico del nostro conforto teologico.
Abbiamo strutturato la nostra domanda teologica come un teyku, uno di
quelli in cui è ancora necessario determinare la risposta. Ma questo,
nel frattempo, non ci impedisce di cercare la verità umana che sta di
fronte ai nostri occhi. Non è realistico aspettarsi che l’ortodossia
ebraica un giorno riconoscerà le relazioni omosessuali come uguali a
quelle eterosessuali, o che autorizzerà i matrimoni gay, o anche che
abbandoni l’idea che il sesso omosessuale sia una trasgressione della
legge biblica. I principi fondanti dell’ortodossia ebraica sulla
divinità della Torah e sull’autorità della halakhah (la legge ebraica)
impediscono simili sviluppi. In altre parole se la Torah dichiara che
una particolare azione è proibita non abbiamo autorità per dire
altrimenti. Ma possiamo considerare gli atti omosessuali come facciamo
con altre forme di non osservanza, come succede, per esempio, con la
non osservanza della kasherut, sia nel senso che non porta con sé una
valutazione di immoralità che nel senso che non danneggia la nostra
possibilità di avere una relazione familiare normale con qualcuno. Il
passaggio dall’atteggiamento di “simpatia” di rav Lamm al
riconoscimento del Rabbinical Council of America della realtà degli
orientamenti sessuali può e dovrebbe portarci al punto di poter
accettare i nostri amici e figli e fratelli per quello che sono,
garantire loro la dignità e il rispetto che ogni persona merita.
All’interno della nostra comunità, è l’annuncio di un mondo nuovo,
migliore e coraggioso.
rav Yosef Kanefsky, Pagine Ebraiche, febbraio 2013
|
|
Israele - Lapid e Bennett mettono Bibi alle strette
|
Una
nuova mossa irrompe sul tavolo dei negoziati per la formazione del
prossimo governo israeliano. Il partito centrista Yesh Atid di Yair
Lapid e la formazione di ultradestra Habayit Hayehudì guidata da
Naftali Bennett si sarebbero accordati per mettere alle strette il
premier Benjamin Netanyahu: entrambi non accetteranno di entrare a far
parte di un governo puntellato dai partiti religiosi haredim Shas e
United Torah Judaism. A svelarlo è stato il quotidiano Maariv, che
indica come fonte un dirigente del Likud. Capace di cementare
l’asse tra i due partiti (che si sarebbero detti decisi a offrire a
Netanyahu un aut-aut: entrambi in una coalizione formata con queste
premesse, o entrambi all’opposizione), sarebbe stato un accordo di
massima sulla questione dell’arruolamento dei giovani studenti delle
yeshivot haredim. Sul tema Lapid e Bennett condividono la stessa
posizione: è necessario che tutti contribuiscano a sopportare il peso
del “fardello”, come viene definito il servizio militare nell’Esercito
di difesa israeliano, eventualmente prevedendo un numero consistente di
eccezioni per gli studenti eccellenti, e consentendo alle ragazze di
optare per il servizio civile. Se confermate, queste notizie
potrebbero avere un peso determinante nel formare la coalizione,
considerando che insieme Yesh Atid e Habayit Hayeudi contano 31 seggi
nella nuova Knesset, esattamente lo stesso numero del blocco
Likud-Beytenu (che tuttavia si è presentato alle elezioni con un’unica
lista). Notizie che per giunta sono arrivate solo poche ore dopo che
Lapid aveva fatto trapelare come stesse seriamente prendendo in
considerazione l’ipotesi di rimanere a capo dell’opposizione con
l’obiettivo di nuove elezioni in tempi brevi per ottenere la
maggioranza relativa e dunque la carica di primo ministro (fonte il
Canale 2 della televisione israeliana). Le trattative per formare
il governo in ogni caso proseguono e le variabili sono molte. Per
esempio l’offerta di United Torah Judaism a Bennett di opporsi al
congelamento degli insediamenti (di cui il leader di Habaiyt Hayehudi è
il punto di riferimento politico) in cambio della garanzia di mantenere
il supporto economico dello Stato alle yeshivot, mentre altre fonti
riferiscono di un probabile ingresso nel governo di Tzipi Livni con il
suo Hatnua (sei seggi). Dal conferimento ufficiale
dell’incarico, avvenuto al termine dello Shabbat, Netanyahu ha 28
giorni (prolungabili) per riuscire a formare la coalizione. Si pensava
avrebbe impiegato poco tempo. Ma in queste elezioni, le previsioni
sembrano fatte per essere smentite.
Rossella Tercatin @rtercatinmoked
|
|
Pacifici al Csm su Memoria e responsabilità del fascismo
|
La
giurisdizione e le discriminazioni razziali tra storia e attualità. Di
questo si è discusso al Consiglio Superiore della Magistratura con
ospiti, tra gli altri, il ministro della Giustizia Paola Severino, il
vicepresidente del Csm Michele Vietti e il presidente della Comunità
ebraica di Roma Riccardo Pacifici. “Questa – ha esordito Pacifici – è
una giornata in cui ricordiamo non solo gli ebrei che vennero
perseguitati e morirono nei campi di sterminio ma anche tutte le altre
minoranze considerate diverse dal nazifascismo”. Soffermandosi sulla
proposta del Corriere della sera di istituire il lutto cittadino a Roma
per il 16 ottobre (“una proposta che ci riempie di orgoglio”) il leader
degli ebrei romani ha affermato: “Il Consiglio della nostra Comunità ha
raqionato a fondo su questa proposta. Molti di noi hanno espresso il
pericolo dell'assuefazione della Memoria, dando la sensazione che la
Memoria sia ad appannaggio solo degli ebrei. Così ho chiesto al sindaco
di intendere il 16 ottobre come una giornata di riflessione per tutta
la cittadinanza”. Pacifici si è successivamente chiesto se le leggi
razziste siano state l'inizio dell'aberrazione del fascismo o l'epilogo
di questo. “La verità – ha commentato – è che questo Paese non ha mai
fatto realmente i conti col fascismo. L'errore è stato non aver messo
mai sotto processo quelli che pensarono le leggi razziste e quelli che
le fecero applicare, anche se va ricordato quanti cercarono di
sottrarvisi con numerosi esempi a partire dalle forze dell'ordine.
Credo che dobbiamo concentrare le nostre forze per trovare non solo le
colpe dei carnefici, ma anche le colpe degli indifferenti, di quelli
che sapevano e che non hanno voluto vedere. Questo è il vero esercizio
di Memoria”. Una Memoria quindi indissolubilmente legata al presente e
proiettata nel futuro. “Oggi – ha proseguito – siamo indifferenti di
fronte a temi come l'immigrazione e la diversità. Il Giorno della
Memoria non serve per ricordare solo le vittime ma per far sì che ciò
non accada mai più. In questi tempi le nostre città sono protagoniste
di fatti di cronaca dove gruppi neonazisti e neofascisti protestano, si
organizzano, scendono in politica e in strada manifestando chiaramente
la loro appartenenza ideologica. Anche se molto viene fatto dalle forze
dell'ordine, manca a mio avviso un recinto legislativo per evitare che
questi gruppi si organizzano fino a presentarsi alle elezioni. Come
scongiurare il pericolo che si utilizzino gli strumenti della
democrazia per entrare a far parte delle istituzioni? Serve una norma
chiara”. Una norma chiara, che non dia ad alcun movimento la
possibilità di aggirare l'apologia del fascismo portando avanti
politiche “fasciste se non naziste”. In conclusione un caloroso
ringraziamento per il lavoro svolto sul fronte del contrasto ai nuovi
fenomeni di xenofobia e razzismo sul web. “È tempo che ci si interroghi
– ha ammonito Pacifici – se non sia il caso di applicare leggi rigide
come quelle sulla pedopornografia anche in questo ambito”.
|
|
|
In cornice - L'arte del vicino |
Chi
è un fondamentalista? Un intollerante che distrugge le opere d’arte che
non rispondono ai suoi dogmi. Definizione semplicistica e unilaterale,
mi si potrebbe dire. Probabile, rispondo, ma contiene un gran numero di
elementi, tutti ampiamente verificati. I fondamentalisti islamici
maliani che hanno dato fuoco ad alcuni testi preziosi della biblioteca
di Timbuktou (fortunatamente in numero minore di quanto si temeva), o i
talebani che hanno distrutto i Buddha di Bamyan, o i sunniti che hanno
fatto saltare una bomba dentro alle sacre moschee di Samarra e di
Najaf, o i nazisti che danno fuoco i testi scritti da noi e che mettono
all’indice i quadri di Grosz e degli espressionisti, o gli inquisitori
che bruciavano copie di Talmud, hanno molto in comune. Innanzitutto la
negazione di ogni confronto con il prossimo; e quando l’estremismo
diventa fondamentalismo non è sufficiente neanche l’eliminazione fisica
dell’avversario, ma anche della sua cultura, della sua arte. La cieca
fede nella propria ideologia fondamentalista e il totale disprezzo di
quel che è al di fuori di essa, nientifica il valore dell'arte frutto
di un sistema di valori diverso. Si può anche sopportare quell'arte per
un certo tempo (ad esempio i Buddha di Bamyan sono stati distrutti dai
talebani ben dopo aver preso il potere), ma alla prima occasione, senza
pensarci due volte, la si può distruggere con noncuranza. E' poi tipica
del fondamentalismo la volontà di creare un ordine totalmente nuovo, il
che comporta il totale disinteresse, anzi l’insofferenza, verso le
testimonianze dell’ordine vecchio, da cui scatta la molla per
distruggere le opere d’arte del passato. Potrei andare avanti, ma tengo
piuttosto a sottolineare che quella definizione di fondamentalismo può
funzionare anche al contrario: chi è davvero interessato a vivere
fianco a fianco con chi è diverso da lui, non si limita a tollerare la
sua arte e la sua cultura, ma è pronto a studiarla.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
|
|
Tea for Two - Un'amica azzurra che promette di restare |
Se
c'è una cosa che si impara seguendo un corso di bibliografia e
biblioteconomia, oltre all'esistenza di un certo Ranganathan, è
l'importanza delle biblioteche e delle loro risorse. Ora, il messaggio
è piuttosto scontato, ma forse è proprio questo che non ci fa valutare
l'enorme possibilità che abbiamo, che non ci fa bazzicare gli scaffali
aperti più di tanto. Sappiamo che loro, piccole, medie, grandi, restano
lì, che lo vogliamo oppure no. Diventando ovviamente necessarie nella
recondita ipotesi che si debba fare una tesi di laurea. Il mio incontro
con la Biblioteca nazionale centrale di Roma è stato qualcosa di
catartico. Prima mossa: munirsi di tessera, fare ovviamente una
faccia orripilante durante la foto di rito e pensare che dovrai tenerti
quello sgorbio per i prossimi cinque anni (quando ovviamente farai una
nuova foto, nella quale avrai anche le rughe). Ma quanto è bella questa
tessera? Uno degli oggetti più belli che abbia mai posseduto. Azzurra
come gli occhi di Saba e con il potere di farmi sentire la regina del
mondo, proprio come Di Caprio poco prima di scontrarsi con un iceberg.
Come la gonna di Eta Beta, un piccolo rettangolo che strisciato, fa
tirar fuori un cumulo di libri infiniti. Se solo avessi doti poetiche
ne scriverei una lode o una ballata: "O tessera, mia tessera". Ma non
divaghiamo. La prossima mossa è di gran lunga la più importante,
dobbiamo chiedere la chiave dell'armadietto (molto High school
musical) e liberarci di tutti i nostri orpelli come per un bagno
rituale. Senza borse, tocca quindi avviarsi verso l'entrata stringendo
al petto il minimo essenziale (o spendere dieci centesimi per una busta
trasparente dall'aria precaria). Ed eccoci, ci siamo, ora come un rito
di iniziazione, siamo pronti. Varco la soglia e sono lì, tutti quanti,
tutto quello che cerco è lì, su uno scaffale o dentro un magazzino a
proteggerlo dalle intemperie e dallo scorrere del tempo. Quando
entriamo dentro siamo tutti il popolo del libro, siamo un nugolo
silenzioso di lettori concentrati. Dalla mia meravigliosa scrivania
munita di presa elettrica e luce personale, alzo la testa e mi guardo
attorno compiaciuta, circondata da anime perse che hanno trovato
temporaneamente una dimora e assistenti solerti e gentili che leggono
le parodie a fumetti della Disney. Arrivati all'ora della pausa, mi
avvio verso il bar e piacevolmente sorpresa trovo gli oro ciock, la mia
madeleine davvero poco proustiana (Marcel avrebbe storto il naso, ma
poi sei li sarebbe 'pappati' in un sol boccone). Tra microfilm dalla
ingegneria spaventosa e il rumore del riscaldamento, la tesi cerca di
venire alla luce. Se e quando mi laureerò davvero non so, in compenso
ho incontrato un'amica azzurra, che promette di restare.
Rachel
Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2
|
|
notizie flash |
|
rassegna
stampa |
Le chiavi della fratellanza
|
|
Leggi
la rassegna |
Consegnate
al presidente della Comunità ebraica di Bologna Guido Ottolenghi e al
rabbino capo rav Alberto Sermoneta le chiavi di Sarmato, comune della
provincia di Piacenza. La cerimonia, officiata dal sindaco alla
presenza di una folta rappresentanza della comunità ebraica felsinea e
di numerosi cittadini di Sarmato e dintorni, è stata intesa come segno
di fratellanza e di pace per le molte azioni di eroismo portate avanti
dagli abitanti di queste terre durante il nazifascismo.
|
|
Persecuzioni
antiebraiche, azioni di salvataggio, differenze tra Italia e Germania.
Sergio Romano, nella sua rubrica quotidiana sul Corriere della Sera,
parla di “italiani brava gente” come di una espressione che, al netto
della retorica, può essere ancora “legittimamente utilizzata”.
|
|
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono
rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|