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3 marzo 2013 - 23 Adar 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

In molti dei gruppi di studio in tutta l’Italia ebraica ci si prepara in questi giorni al Yom Ha Torah di domenica prossima che ha come tema il divieto della premonizione e della magia. La magia, scrive Emmanuel Lévinas nel suo libro Du Sacré au Saint, sarebbe la parente un po’ decaduta del Sacro che approfitta di questa parentela per costituirsi come maestra dell’apparenza. Lo studio della Torah aiuta nel difficile e impegnativo riconoscimento della sottile distinzione esistente fra ciò che è autentico e ciò che è falso, fasullo. E forse non è un caso che fasullo derivi dall’ebraico pasùl, “improprio”, “difettoso”, “inadatto”, che con pesel, la scultura, l’idolo, altri fratelli gemelli della magia, ha un legame etimologico e semantico inscindibile. Ma l’impresa più difficile resta quella di distinguere il vero da quell’apparenza essenzialmente commista al vero.
Dario
 Calimani,
 anglista



La Cina ha posto il segreto di stato sui livelli di smog nel paese. Risultato: in Cina lo smog non c’è più. In modo non troppo diverso, in seguito all’inatteso e clamoroso disconoscimento degli atti di un tribunale rabbinico italiano, l’ebraismo italiano più ufficiale si scontra guardandosi il dito senza riconoscere la propria crisi. Lo smog offusca la realtà e se stesso insieme. Non vi è dubbio che sia in atto fra le maggiori rappresentanze del rabbinato italiano un confronto aspro e aperto. Ma ciò che il disconoscimento israeliano evidenzia con chiarezza è che il rabbinato italiano, tutto il rabbinato italiano, è sotto tutela, soggetto com’è a riconoscimenti e a disconoscimenti. Ci si chiede allora se non ci sia da vergognarsi almeno un po’ di quanto sta accadendo. I rabbini dibattono le forme del problema e ne sfuggono la sostanza, come se non cogliessero la gravità dell’accaduto. A rimetterci è l’ebraismo italiano ­– lo abbiamo detto e scritto più volte. Sembra che i rabbini siano preoccupati più dei propri rispettivi ruoli e prerogative piuttosto che della buona salute della nostra vita comunitaria. Ma che succederà adesso? Verranno disconosciuti tutti gli atti di un tribunale – conversioni, divorzi? E se qualcuno da quel tribunale ha ottenuto il divorzio e si è poi risposato si ritrova bigamo? Dove stanno i limiti dell’halakhah? Più volte, anche da queste pagine, è stato chiesto da chi scrive perché l’assemblea rabbinica non abbia mai dato risposta a una mozione congressuale che chiedeva di considerare la possibilità e l’utilità di un dayan (giudice) unico per tutto l’ebraismo italiano, un dayan di alta e indiscussa statura morale e di grande esperienza, autonomo e al di sopra delle parti, che sia garante di percorsi di halakhah (normativa) e in particolare di ghiur (conversione); con criteri chiari, indiscussi, garantiti e unificati. Una figura del genere, in Italia, non esiste. Ma l’assemblea dei rabbini italiani, disattendendo da anni la richiesta del Congresso UCEI, non ha mai preso in alcuna considerazione la cosa. Indifferenza o tracotante presunzione? Non è evidentemente nell’interesse di NESSUN rabbino italiano perdere autonomia, libertà decisionale, controllo totale sui singoli e sulla comunità tutta. E ciò varrebbe anche se si dovesse ammettere che, in Italia, non ci fosse un solo rabbino realmente riconosciuto a livello internazionale come indiscusso esperto di halakhah. E che le controversie non siano mancate, anche di fronte a delibere prese da tribunali rabbinici italiani ‘riconosciuti’ da Israele, non riesce a negarlo nessuno. Nel frattempo, l’Assemblea rabbinica e il suo presidente tacciono: neppure le provocazioni servono più a nulla. Si finge che il problema non esista, salvo cimentarsi in sfuggenti comunicati di difesa e di attacco. La disorganizzata impotenza del nostro rabbinato, tutto, la si evince già da questo incomprensibile silenzio, materiale e intellettuale. E l’UCEI dove sta? E, a questo specifico proposito, che tipo di dialogo ha instaurato con l’Assemblea dei rabbini? Domande tutte disperatamente retoriche. Ma è proprio dalla forza della disperazione che potrebbe uscire una qualche intuizione salvifica. Se solo ci fosse la volontà di concepirla e di perseguirla.
davar
Yom Ha Torah - Studiare per essere noi stessi
Torna l'appuntamento con Yom HaTorah, la giornata dedicata allo studio dei testi della Tradizione organizzata dal Dipartimento educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il prossimo 10 marzo. Tema di questa seconda edizione, che rende omaggio alla figura del rav Raffaele Grassini (1952-1992), è l'interrogativo Si può indovinare il futuro? Tra gli ospiti rav Michael Monheit, rav Yosef Carmel e Haim Baharier, studioso del pensiero ebraico.

Dopo i positivi riscontri dello scorso anno il dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rinnova, il 10 marzo/28 di Adar, l’organizzazione di una giornata interamente dedicata allo studio della Torah. L’obiettivo di Yom HaTorah è che nelle sinagoghe, nei gruppi di studio, negli enti e nelle associazioni ebraiche sparse su tutto il territorio nazionale, si studi e si sviluppi uno specifico argomento. Tema di questa seconda edizione, che rende omaggio alla figura del rav Raffaele Grassini (1952-1992), è l'interrogativo Si può indovinare il futuro? inteso come approfondimento dei divieti e delle eventuali aperture legate alla proibizione della Torah. “Non cercate di indovinare il futuro e non fate magia” (Vaykrà 19,26). “I nostri Maestri – spiega Settimio Pavoncello, assessore al culto UCEI – ci insegnano che il futuro non si indovina ma costruisce. Che solamente attraverso lo studio siamo in grado di fare domande, capire, confrontarci con gli altri per arrivare a una visione a 360 gradi che permetta di valutare tutti gli aspetti di una problematica. Lo studio è la nostra risposta a chi si illude di trovare scorciatoie rivolgendosi a lestofanti che promettono vane illusioni”. Yom HaTorah è soprattutto un momento gioioso. L'opportunità per affermare la centralità dello studio come attività quotidiana appannaggio di tutti, senza cerchie ristrette di beneficiari. L'occasione, attraverso una giornata a porte aperte, “di festeggiare nel modo migliore i nostri Maestri”. Accanto alla rabbanut italiana ospiti di prestigio internazionale. Rav Michael Monheit, lo studioso di pensiero ebraico Haim Baharier e ancora rav Yosef Carmel, rosh yeshivah di Eretz Chemdà, protagonista al Collegio rabbinico. Da segnalare anche le attività organizzate in collaborazione con l'Unione Giovani Ebrei d'Italia come la cena tra studio e convivialità RashiSushi, esperienza già proposta con successo a Roma e a Milano e adesso allargata a un numero ancora più significativo di Comunità. Una giornata declinata nel segno della “havrutah”, l’usanza di studiare e confrontarsi con uno o più compagni di pari livello, e che avrà nelle lezioni genitori-figlio, grande momento di arricchimento reciproco, uno dei suoi pilastri narrativi. L'immagine evocata da Pavoncello prende spunto dallo Zohar: uno studioso di Torah come un albero in mezzo al campo che dà frutti rigogliosi. Gli stessi frutti di cui ci si aspetta possa beneficiare tutta la comunità ebraica italiana con Yom HaTorah. L'attesa intanto cresce e si arricchisce il calendario di eventi distribuiti nelle varie kehillot (per maggiori informazioni www.yomhatorah. it). “Affrontiamo questa seconda edizione – commenta il maskil Gadi Piperno, coordinatore del Dec UCEI – con l’auspicio che sia un momento di accrescimento collettivo per tutto l’ebraismo italiano".

Pagine Ebraiche, marzo 2013

Israele - Vicini alla svolta i colloqui per la coalizione
Sembrano vicini alla svolta i colloqui per dare vita al nuovo governo israeliano. Dopo il prolungamento del mandato di 14 giorni concesso dal presidente Shimon Peres all’attuale primo ministro Netanyahu al termine dello Shabbat, il leader di Likud-Beytenu (31 seggi) ha condotto una serie di incontri con i potenziali alleati che sembrano preludere a un esito positivo. Il giornale Haaretz riporta che il colloquio con Habayit Hayehudi, il partito di ultradestra nazional-religiosa guidato da Naftali Bennett (12 seggi) è stato definito dalle parti interessate “buono e pratico”. Habayit Hayehudì ha comunque ribadito la sua alleanza con il partito centrista Yesh Atid (19 seggi) fondato dall’ex giornalista Yair Lapid, alleanza che nelle scorse settimane ha impedito a Netanyahu di portare nella sua coalizione solo una delle due forze. A unire le compagini, la volontà di risolvere in modo risoluto il tema dell’arruolamento nell’esercito dei giovani haredim, che ha portato a porre come condizione irrinunciabile a Bibi per entrare nel suo governo l’esclusione dei partiti haredi Shas (11 seggi) e Yahadut HaTorah (7 seggi). Fonti del Likud hanno riferito che Netanyahu si sarebbe convinto dell’impossibilità di formare una maggioranza senza Bennett e Lapid. Una notizia che troverebbe conferma nell’incontro che il premier ha avuto con i leader di Shas la scorsa domenica, in cui avrebbe comunicato loro che per colpa di Habayit Hayehudi non potrà far entrare Shas nella coalizione. Nel frattempo la stampa israeliana riporta le voci a proposito delle poltrone ministeriali che Lapid e Bennett sembrano pronti achiedere a Netanyahu per garantire il proprio appoggio. Questione spinosa sembra essere costituita soprattutto dal posto di ministro degli Esteri, che Lapid vorrebbe per sé, ma che Likud-Beytenu ha sempre pensato di riservare al leader di Beytenu Avigdor Lieberman: dimessosi alcuni mesi fa in seguito a vicende giudiziarie, Lieberman ha sempre dichiarato la sua intenzione di riprendere l’incarico non appena risolti i problemi in tribunale.
 
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Milano - A confronto su bioetica e circoncisione 
Confronto fra voci diverse e diverse esperienze di conoscenza, a Milano, su Bioetica medica, la circoncisione inserita nel contesto attuale. Il rav Roberto Della rocca, direttore del dipartimento Educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha presentato al pubblico fra gli altri il rav Riccardo Di Segni (medico e rabbino capo della Comunità ebraica di Roma), Daniela Ovadia (giornalista scientifica e esperta di bioetica), Daniela Dawan (avvocato penalista) e rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano. Primo a prendere la parola è stato Giorgio Mortara, medico, mohel e presidente dell’AME, l’Associazione Medica Ebraica. “Non dimentichiamoci il motivo per il quale siamo riuniti: il brit milà è il patto tra l’uomo e D-o ed è responsabilità dell’istituzione comunitaria far sì che questa pratica sia mantenuta nel rispetto della nostra tradizione, garantendo la salute del neonato, prevenendo complicazioni o errori integrando le figure del mohel e del medico, e prevenendo anche, in questo modo, gli attacchi che ci vengono portati da alcune parti della società civile”. Dopo aver raccontato come la sua esperienza di mohel lo abbia portato ad operare in condizioni anche molto differenti fra loro, ha precisato che la posizione dell’AME tiene conto della legislazione italiana, secondo il principio dina de malkuta dina, e sostiene che la milà deve essere praticata da medici abilitati all’esercizio della professione, o da esperti circoncisori dopo una adeguata formazione – eventualmente si potrebbe costituire un albo – assistiti da un medico chirurgo, pronto a intervenire se ci fossero delle complicazioni. Fra le responsabilità del medico presente, inoltre, rientrano anche la responsabilità di fare una visita preparatoria al neonato e di ottenere il consenso informato da parte di entrambi i genitori. Il rav Riccardo Di Segni, che oltre ad essere medico e rabbino della comunità romana è anche vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, istituito nel 1990, che “svolge sia funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni, sia funzioni di informazione nei confronti dell’opinione pubblica sui problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute”, ha ricordato come per la legislazione si definisca un atto medico quello che è diretto a prevenire, diagnosticare o curare una malattia, o a lenire il dolore, per cui la milà è un atto religioso, prospettiva inversa alla visione ebraica, per la quale invece serve a correggere un errore congenito. Parlar di milà significa toccare aspetti halakhici, medici e giuridici ed è importante e delicato, soprattutto in un momento in cui è una tradizione soggetta ad attacchi anche molto violenti, prima negli Stati Uniti, poi in Germania. Anche in Israele ci sono alcuni gruppi contrari alla circoncisione, e tutti i basano principalmente su un supposto diritto del bambino a scegliere. Infatti il Comitato Nazionale di Bioetica ha dichiarato nel 1998 che la circoncisione rituale maschile è compatibile con l’articolo 19 della Costituzione italiana, che riconosce completa libertà di espressione cultuale e rituale sia a livello individuale sia collettivo. Allo stesso tempo la circoncisione rituale deve essere considerata alla luce di altri valori costituzionalmente protetti come la tutela dei minori o quello della loro salute. Dopo un'analisi dei brani della Torah dove se ne parla e una disamina dei casi in cui va praticata la circoncisione – ossia non solo al figlio nato in casa – che ha portato a vederla come una affermazione di libertà, rav Di Segni è passato ad un grande excursus storico, a partire dall’editto di Adriano, che estendeva alla circoncisione le misure penali previste dalla Lex Cornelia per la castrazione, fino a problemi più recenti e alla spiegazione della pratica medica. Daniela Ovadia ha affrontato l’argomento da tutt’altra prospettiva, invece, partendo dal presupposto che esistano delle buone ragioni anche nella controparte e iniziando da una carrellata di casi controversi, tra cui per esempio il progetto norvegese di legge che abolirebbe la circoncisione per i minori, o la situazione australiana che nel Queensland limita fortemente la circoncisione non medica e potrebbe arrivare a vietarla per i minori, al referendum del 2011 per l’abolizione della circoncisione infantile nell’area di San Francisco.
La bioetica però segue un complesso di normative storicamente ben determinate, a partire dal 1947 con il Codice di Norimberga, che riguarda la sperimentazione ma stabilisce la necessità di un consenso per qualsiasi atto effettuato sul corpo, il divieto di praticare atti medici non necessari e il diritto all’integrità corporea. Nel 1975 si entra in maggiori dettagli pratici e si parla per la prima volta di diritto di surroga del minore e nel 1997 con la convenzione di Oviedo si arriva alla protezione di diritti e dignità. In sostanza per chi si occupa di bioetica i problemi posti dalla circoncisione sono tanti e rilevanti, ha continuato, a partire al fatto che la milà non è motivata da una ragione terapeutica, e che è un atto irreversibile, deciso dai genitori, non dal diretto interessato.
Ma vanno chiariti i margini legali entro cui può essere considerata una pratica accettabile, proprio perché “fare chiarezza significa anche fare prevenzione nei confronti dell’antisemitismo”.
L’intervento di Daniela Dawan, di taglio prettamente legale, è stato tutto incentrato sulla difficoltà di definire cosa sia la milà, che non è un atto medico, che non è una mutilazione – e non va associata in alcun modo alle mutilazioni genitali femminili, nonostante spesso ci sia chi cade in questa tentazione – e non è una lesione. Non è quindi reato, ma implica una complessità che si riduce in campo ebraico, rispetto alla circoncisione praticata dai musulmani, principalmente a causa del momento in cui viene praticata: operare su un neonato implica che si tratta di un intervento considerato semplicissimo e che quindi crea minori problemi, e può, per esempio, essere praticato anche da un mohel. Addirittura l’avocato Dawan – in contraddizione con le posizioni di Daniela Ovadia - si è spinta a ipotizzare che arrivare ad una normativa così specifica potrebbe non essere la cosa migliore, in quanto in sua assenza ci sarebbero più ambiti di libertà. Rav Arbib poi, a cui è stata affidata la conclusione della serata, ha voluto offrire al pubblico un midrash che affronta alcuni problemi connessi con la prima milà, per poi raccontare come il Maharal di Praga sostenesse che è il numero 8, come gli otto giorni della milà, ad essere il numero ebraico per eccellenza, non il sette. Perché il numero sette  - i sette giorni della creazione - riporta alla fenomenologia del creato, della natura, mentre l’8, che è dato da sette più uno, porta a un passo oltre, alla metafisica. Ossia la milà, il passaggio che porta a entrare nel mondo delle mitzvot, è l’accesso ad un mondo metafisico.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

Qui Milano - Mantenere viva la voce dei testimoni
Costituita nel 1998, l’Associazione Figli della Shoah riunisce sopravvissuti alla Shoah, i loro familiari e volontari che si impegnano su tanti fronti, con molteplici iniziative, perché non sia dimenticato l’orrore. Dall’allestimento di mostre che hanno avuto più di 300mila visitatori – soprattutto studenti di scuole di ogni ordine e grado - agli incontri con i sopravvissuti, dai dibattiti ai seminari, fino alla creazione di kit didattici multimediali, tutto punta ai giovani, con grande tenacia, impegnandosi per una Memoria consapevole e diffusa, contro ogni barbarie totalitaria e a favore della democrazia e della pace. In questo quadro si pone il seminario internazionale di aggiornamento per docenti intitolato Mantenere viva la voce dei testimoni, che - grazie allo straordinario lavoro delle volontarie che sono l’anima dell’associazione e sono riuscite a mettere in piedi una macchina organizzativa impeccabile - ha accolto oltre duecento insegnanti da tutta Italia, convenuti a Palazzo Reale a Milano per una giornata di studio organizzata in collaborazione con gli esperti pedagogisti dell’Istituto Yad Vashem. Dopo un saluto di Francesco Cappelli, nuovo assessore all’istruzione del comune di Milano ha preso la parola Ferruccio De Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, che dopo aver parlato del Memoriale recentemente inaugurato ha rivolto parole di benvenuto ai tantissimi presenti, seguito dal presidente del consiglio provinciale di Milano Bruno Dapei che ha posto l’accento sul dovere della Memoria e sulla necessità di arrivare ai giovani, con il linguaggio a loro più congeniale. Anche da Annamaria Rossignolo, dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia è arrivato un messaggio di saluto in cui, oltre a ringraziare l'Associazione Figli della Shoah e l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme augurando anche “che progetti ed iniziative di questo genere, volti alla conoscenza e alla riflessione sulla Shoah, possano impedire che il ricordo di quanto avvenuto svanisca nel tempo.” La parola è poi passata a Goti Bauer e Liliana Segre, che hanno raccontato come sarebbe stato semplice rimanere due delle tante persone che hanno deciso di non parlare, di non raccontare la propria esperienza di sopravvissute. “Poi, man mano che ho iniziato a parlare, a raccontare, mi è sembrato di trovare i modi e le parole per farlo.” E ancora: “Quella immagine del vecchio con il bastone, che sta sull’invito a questa splendida giornata, al primo sguardo mi era sembrata fuori luogo, poi invece ho capito che è giusto, che il bastone siete voi. Perché noi stiamo sparendo, e abbiamo bisogno di voi.” Perché “nonostante spesso gli insegnanti e i ragazzi ci idealizzino, proponendoci domande a cui proviamo a rispondere solo per la nostra esperienza, più da nonne che da sopravvissute, siamo persone normali, solo con un fardello un poco più pesante da portare. E si è entrati nel vivo dei lavori, per una giornata veramente densa di idee, spunti, proposte, letteralmente rovesciate sui convenuti da Yiftach Ashkenazy e Shlomit Dunkelblum-Steiner, dell’Istituto Internazionale di Studi Yad Vashem che con la loro foga e la loro passione sono riusciti a mettere sotto pressione i pur bravissimi traduttori, che hanno permesso a tutti di seguire i lavori. Dopo una prima presentazione generale dell’organizzazione del seminario la mattinata si è svolta con tutti i docenti riuniti per le prime quattro interessantissime sessioni: in Le nuove sfide della didattica della Shoah Ashkenazy ha insistito sulla necessità di sapere, veramente, perché se no non è possibile insegnare: la Shoah deve diventare un a sorta di testo di base, sono le fondamenta. Non basta conoscere i fatti e i dati ma bisogna cercare di avere chiaro cosa è importante, perché è importante. Partendo magari da un tentativo di definizione univoca. Anche per chiarire subito che ogni vittima è una vittima, che ogni sofferenza è sofferenza, che non ci sono gare, non ci sono confronti possibili, e non si tratta di ragionare su chi ha sofferto di più, ma Shoah è un nome specifico, che non è generico per olocausto ma si riferisce alla eliminazione metodica di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti e dei loro alleati. Testo e contesto sono importanti, sono importanti i fatti, la conoscenza storica, e anche il loro valore morale. Shlomit Steiner ha rincarato subito la dose, sottolineando come ci siano intere biblioteche sull’argomento ma, comunque, sapere cosa è successo non basta, bisogna lavorare anche sul perché. E ha guidato la seconda sessione, Mantenere viva la voce dei testimoni, e la terza intitolata Tommy, un bambino di Terezin, con un piglio e una energia davvero trascinanti. Precisando alcuni concetti irrinunciabili: “I bambini non devono essere traumatizzati, devono poter capire senza essere spaventati. Abbiamo il dovere di farli sentire sicuri, portandoli dentro questa storia e poi di nuovo fuori senza che abbiamo paura”. E la metodologia è stata analizzata a fondo, sempre centrando l’attenzione sull’importanza di evidenziare le storie umane, dando a ogni vittima un volto, un passato, per lottare contro la disumanizzazione e non permettere di appiattire le vittime. Anche dal punto di vista didattico e pedagogico una pila di corpi non ha nessun senso: bisogna tornare indietro e trovare una traccia, il senso di una cultura, di una storia, di una vita. Sempre sottolineando come si tratti della nostra storia, non di qualcosa di lontano, che non ci riguarda. La Shoah non è stato solo l’attacco determinato contro le persone e i corpi ma anche contro cultura, civilizzazione, storia.
È stata poi la volta di Tommy: un bambino di Terezin, emozionante sessione in cui Shlomit Steiner ha mostrato come lavorare con bambini di età anche molto differenti sull’album dei disegni fatti da Bedrich Fritta, illustratore e fumettista deportato a Terezin nel ’41, per il figlio di pochi mesi. Un regalo arrivato per i suoi tre anni, e fatto per mostrargli una realtà diversa da quella che vivevano quotidianamente nel ghetto. L’album è ora una delle unità educative di Yad Vashem, e da esso si possono ricavare storie differenti, adatte a tre diversi livelli educativi. Sono disegni fatti da un uomo che pur dentro il ghetto di Theresienstadt, è stato leale alla vita: ha voluto mostrare a suo figlio che la vita può essere bella, che fuori da lì c’era un mondo, ancora pieno di possibilità e di sogni.
 Perché perdere l’umanità non era affatto impossibile. C’è chi ha resistito, chi ha scelto, perché anche nelle situazioni più estreme sono presenti dei dilemmi morali, e la possibilità di scegliere c’era. Mai essere indifferenti, distanti, distaccati, Le persone che dicono “non potevo fare nulla, non c’era altra scelta” stanno mentendo. Non è vero, era possibile fare qualcosa: delle persone lo hanno fatto, hanno fatto una scelta differente, spesso anche a costo della loro stessa vita.
Prima e dopo la pausa due sessioni, la prima ancora a gruppi congiunti e la seconda invece dopo aver diviso i partecipanti a seconda dell’ordine scolastico, hanno fatto ragionare i presenti sull’Istituzione dei ghetti e su come si svolgeva la vita quotidiana all'interno di quello di Varsavia. L’ultima parte del seminario è stata invece dedicata a un lavoro specifico, condotto da Yftach Ashkenazi con i docenti delle scuole secondarie superiori, con Shlomit Steiner che ha affrontato le difficoltà della narrazione ai bambini della scuola primaria, e Rita Chiappini rappresentante dello Yad Vashem Italia che ha mostrato l’utilizzo di una testimonianza filmata, commuovendo fino alle lacrime molti partecipanti, dedicato alla scuola secondaria di primo grado. E i docenti, lasciate le prime timidezze, a fine giornata si lanciavano nella discussione, aiutati in questo anche dalla grande disponibilità degli esperti di Yad Vashem che hanno invitato tutti a farsi vivi, a scrivere, a raccontare le proprie sensazioni, la propria esperienza. Sono stati capaci di coinvolgere e guidare gli oltre duecento convenuti in un percorso non facile, a volte duro, ma sempre appassionante. E giusto.  

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pilpul
I rabbini e noi
Condivido (stranamente?) l'articolo a firma Gadi Polacco di un paio di giorni fa. A proposito della querelle tra rabbini italiani - da quanto sembra, non accenna a placarsi - Polacco rileva tre aspetti fondamentali: l'Ucei non si è ancora espressa e invece dovrebbe farlo; la polemica è deflagrata sui social network che ormai sono a tutti gli effetti il terreno di gioco, pur tra i loro mille difetti; la posizione israeliana, che in questa vicenda appare granitica e monolitica, non rispecchia le profonde contraddizioni che sul tema dei ghiurim attraversano la società israeliana già da alcuni anni senza che si sia approdati a una soluzione definitiva e soddisfacente. Lascio da parte l'ultima questione, su cui mi sono già espresso la settimana scorsa in modo, mi auguro, chiaro: non tutto ció che viene da Israele è oro colato. Mi interessa invece provare a formulare una proposta concreta sui primi due aspetti: perché l'Ucei, insieme con le altre istituzioni ebraiche, non organizza da subito un'assemblea di discussione e confronto sul tema dei Batté Din, delle conversioni, dei figli di matrimonio misto e sul futuro dell'ebraismo italiano? Un momento di riflessione che coinvolga rabbini, attivisti, iscritti, presidenti, un po' sul modello delle assemblee comunitarie, che infatti vengono convocate quando sul piatto ci sono le grandi questioni. Ci dobbiamo parlare, senza lo spettro di chissà quale votazione, ma senza paure o infingimenti. Ci saranno posizioni diverse ma é bene che emergano invece di far finta di niente nascosti dietro un unanimismo fasullo. Se non si può sfruttare il prossimo appuntamento del Moked, si convochi un'altra sessione del parlamentino Ucei aperta a tutti, preceduta magari da un confronto in rete che sia gestito per evitare le solite insopportabili tifoserie e i toni aggressivi.
Le responsabilità che si confrontano sono diverse ed è chiaro che i rabbini su queste questioni hanno l'ultima parola. Ma - anche in virtù delle loro divergenze - un confronto aperto, che abbia l'obiettivo di arrivare a procedure trasparenti e condivise, non può che far bene anche a loro. L'errore che non possiamo permetterci è quello di arroccarci ognuno nel proprio fortino di certezze.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas  twitter @tobiazevi

Storie - Cotignola, un altro paese di Giusti
Ci fu un altro “caso” Nonantola nel tragico periodo della Repubblica di Salò e dell’occupazione tedesca dell’Italia centro-settentrionale. Anche a Cotignola, piccolo centro della bassa Romagna, in provincia di Ravenna, tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’45, l’intero paese di seimila persone si mobilitò per salvare 41 ebrei italiani dalla caccia all’uomo scatenata dai nazifascisti. A dare protezione ai perseguitati, provenienti per lo più da Bologna e dal modenese, fu tutta la popolazione: le famiglie di Cotignola, il commissario prefettizio Vittorio Zanzi, gli impiegati dell’anagrafe comunale, la Curia, i partigiani e il locale comitato di liberazione nazionale. Zanzi, sfruttando il suo incarico, si occupò della logistica e degli spostamenti degli ebrei in varie abitazioni del centro e nelle campagne circostanti e riuscì a fornire falsi documenti d’identità ai perseguitati, facendole stampare da un dipendente della tipografia e poi compilare da funzionari dell’anagrafe. In questa opera di salvataggio, fu aiutato dalla moglie Serafina, da Luigi Varoli con la moglie Anna, dall'arciprete Giovanni Argnani e dai partigiani. Un esempio straordinario di impegno collettivo contro la barbarie e il terrore nazifascista. Ogni anno Cotignola celebra la memoria di quella generosa rete di accoglienza, che viene ora raccontata anche in un documentario, «Cotignola, il paese dei Giusti», realizzato da Nevio Casadio, giornalista vincitore del Premio Ilaria Alpi. Il documentario è stato presentato ieri in anteprima nazionale a Cotignola, presso l’Istituto Comprensivo “Don Stefano Casadio”, e andrà in onda domani su Rai 3 alle ore 10, nella puntata de "La storia siamo noi" di Gianni Minoli, in occasione della “Giornata dei Giusti” istituita dal Parlamento europeo nel 2012.
Con l’ausilio di interviste, di immagini di repertorio e di ricostruzioni storiche, vengono ripercorsi gli eventi di quei giorni e la storia dei quattro Giusti tra le Nazioni di Cotignola. Due coppie di italiani del 1943 che sentirono il dovere di agire, mettendo a rischio la propria vita, per salvare i connazionali ebrei dalla deportazione: il commissario prefettizio Vittorio Zanzi e la moglie Serafina e il pittore e insegnante Luigi Varoli e la moglie Anna.

Mario Avagliano
twitter @Marioavagliano

notizie flash   rassegna stampa
Ucraina - Attentato fallito
contro Vadim Rabinovich
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Un ordigno esplosivo è stato lanciato nel centro di Kiev contro l'automobile di Vadim Rabinovich. L'uomo d'affari, fortunatamente illeso, è proprietario della televisione satellitare Jewish News One e copresidente dello European Jewish Parliament. Alla polizia ha rivelato di aver ricevuto alcune minacce.

 

Tornano alla ribalta, sulla stampa israeliana, le infelici esternazioni di Silvio Berlusconi sulle responsabilità italiane negli anni del fascismo e della guerra. Estreme e sorprendenti le dichiarazioni rilasciate all'autorevole periodico Jerusalem Report dal giornalista romano Fabio Perugia, che interviene in quanto nuovo portavoce della Comunità ebraica di Roma e insiste, in una stagione politica delicatissima, su una condanna senza appello nei confronti del leader del Pdl Silvio Berlusconi che va ben al di là ogni altra perplessità riguardo all'uomo politico mai espressa prima da qualunque altro esponente ebraico italiano.  
















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