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7 aprile  2013 - 27 Nisan 5773
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Benedetto
Carucci Viterbi, rabbino


 

Domani sarà Yom haShoah. Più precisamente Yom haShoah ve haGevurah, il giorno della Shoah e dell'eroismo. L'eroismo, certo, dei ribelli del Ghetto di Varsavia. E l'eroismo, ancor più, di coloro che hanno vissuto l'annientamento: morti nei campi o tornati alla vita.


David Bidussa, storico sociale delle idee
 



“Morituri è il termine più indicato per descrivere il nostro stato d’animo. La maggioranza della popolazione è orientata verso la resistenza: Ho l’impressione che la gente non andrà più allo sterminio come una massa di pecore. Vuol vendere la pelle a caro prezzo. Si scaglierà contro di Loro armata di coltelli, di assi, di gas di carbone. Non tollererà più gli sbarramenti. Non si lascerà più rastrellare per le strade, perché ormai sa che campo di lavoro significa campo di morte. Naturalmente resistenza ci sarà se ci sarà organizzazione...”. Sono le ultime parole che scrive Emanuel Ringelblum nei suoi diari (e ora leggibili in un libro dal titolo “Sepolti a Varsavia”, Castelvecchi, p.268) o almeno solo tra le ultime che sono arrivate fino a noi. Mi piacerebbe che qualcuno oggi trovasse il modo di ricordarle e di ripeterle perché oggi a me pare che in mezzo a un ricordo del lutto debba trovare anche spazio il riconoscimento e la consapevolezza della dignità di chi allora morì.

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Da Gerusalemme a Roma, da Roma a Gerusalemme
Oggi il nuovo papa prenderà possesso, con una cerimonia ufficiale, della cattedra di vescovo di Roma, che ha sede fisica non in Vaticano ma nella basilica di s. Giovanni in Laterano. Sembra strano che se ne debba parlare in questa sede, tanto più a firma di un rabbino. Ma questa opposizione Laterano - Vaticano è collegata anche a una forte simbologia ebraica che merita qualche spiegazione. E' un dato storico che alcuni oggetti del Secondo Tempio di Gerusalemme distrutto, come la Menorà, furono portati a Roma ed esibiti come trofeo. Che cosa ne sia rimasto è oggetto di ipotesi e di leggende. In moltissimi pensano ancora che la Menorà sia nascosta da qualche parte nei sotterranei varicani. Se gli ebrei la pensano così è perchè considerano la Chiesa come l'erede dell'impero romano. Gli oggetti del Secondo Tempio stanno a Roma come quelli del Primo stavano alla corte di Assuero re di Persia, erede dell'impero babilonese distruttore di Gerusalemme. I cristiani del medioevo condividevano queste leggende con una differenza: il possesso degli oggetti ebraici era il segno che la Chiesa è la continuatrice e ha preso il posto dell'antico Israele. Nel medioevo la convinzione era che gli oggetti non stessero in Vaticano ma in Laterano. Le reliquie danno sacralità al luogo e attirano fedeli. In Vaticano c'è la tomba di Pietro (ebreo), in Laterano gli oggetti sacri del Tempio, e non solo del Secondo, ma persino del Primo: dentro l'altare sarebbe nascosta l'arca dell'alleanza, quella che teneva le Tavole della Legge e che nel Secondo Tempio non c'era. Questo i cristiani; gli ebrei, come Beniamin da Tudela non erano da meno, parlando di una colonna del Secondo Tempio, presente in Laterano, che "piange" bagnandosi il 9 di Av. Si aggiunga che l'intero complesso del Laterano fa parte di un assetto urbano promosso dall'imperatore Costantino e la madre Elena, neofiti cristiani, che portando a Roma reliquie cristiane da Gerusalemme (la scala del processo, il legno della croce) vollero spostare il centro della cristianità a Roma, al Laterano, divenuta nuova Gerusalemme. E' questa tradizione sostituzionista che sta dietro al rito di insediamento di oggi, anche se probabilmente a tutt'altro si pensa; è di questa nuova Gerusalemme che il papa vescovo di Roma prende possesso. Magari ci lasciassero la Gerusalemme originale.

Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Yom HaShoah - "I libri, il nostro presente, il nostro futuro"
Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:

"Con Yom HaShoah il mondo ebraico ricorda l'orrore della Shoah in un filo di emozioni, più intimo, più raccolto rispetto ad altre manifestazione pubbliche dedicate alla Memoria, che congiunge in modo indissolubile lo Stato di Israele e le Comunità nel mondo.
Una data particolarmente significativa, che rende omaggio agli eroi del Ghetto di Varsavia e che l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha scelto di vivere rivolgendosi in particolare alle nuove generazioni. Nelle prossime ore infatti, su impulso dell'assessore al culto Settimio Pavoncello, migliaia di libri saranno distribuiti ai nostri giovani a voler testimoniare la centralità dello studio nella vita ebraica come risposta ai roghi dei libri 'proibiti' che nei secoli hanno attraversato l'Europa fino alla barbarie nazifascista.
Un invito che è rivolto ad ognuno di voi. Regalate un libro ai vostri cari, ai vostri figli, ai vostri amici. Ricordare consapevolmente, tramandare il grande patrimonio di valori di cui siamo custodi affinché sia sempre vivo nelle generazioni, passa dall'impegno di ognuno di noi".


Maestri a confronto sulla figura di rav Soloveitchik

Tra i massimi rabbini e pensatori del Novecento, rav Joseph Soloveitchik sarà ricordato, nel ventennale della scomparsa, con un grande convegno in due giornate (9-10 aprile) organizzato dall'Assemblea Assemblea Rabbinica Italiana e dal Collegio Rabbinico in collaborazione con l’Istituto Eretz Hemdah di Gerusalemme.

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Obbrobrio e seduzione
Mi permetto qualche riflessione in occasione di Yom HaZikaron laShoah ve-laG'vurah 5773. In questo periodo mi capita con una certa frequenza di essere chiamato a parlare del volume sul negazionismo che ho pubblicato da poco presso un editore nazionale. Lo faccio spesso con grande piacere, qualche volta, invece, un po’ controvoglia. Non mi sottraggo alla discussione ma laddove immagino di sapere che questa si svolgerà secondo canali prevedibili e rituali mi sento leggermente demotivato. Il pubblico è quasi sempre numeroso: i libri che trattano, a vario titolo, ed anche nei più svariati modi, la storia del nazismo e delle sue malefatte (nel caso del mio testo il fuoco della riflessione è centrato su chi dà corpo ad una vera e propria controstoria, ossia un ribaltamento concettuale e anche materiale dei fatti medesimi, per cui quello che successe non sarebbe mai avvenuto), riescono ancora a raccogliere una buona attenzione. Naturalmente le motivazioni dei partecipanti sono tra di loro diverse per non dire assortite. C’è chi è appassionato di storia contemporanea, c’è chi è moralmente partecipe delle vicende che sconvolsero l’Europa e con esse dello sterminio sistematico delle comunità ebraiche, c’è chi sente di dovere assolvere a una sorta di debito civile, c’è chi viene a curiosare e poi ci sono quelli che, a vario titolo, potremmo definire pubblico professionale, che segue certi percorsi di lettura e di studio per formazione propria, a partire dagli studenti e dai docenti.
Il tema del negazionismo suscita in genere una forte polarizzazione: la stragrande maggioranza esprime un netto rifiuto, una piccola minoranza, a volte silente, tende invece a sentirsi non solo incuriosita ma anche attratta da ciò che si presenta con i caratteri del sensazionalistico, del ribaltamento del giudizio di senso condiviso, dell’aggressione spudorata (e falsamente ribelle) nei confronti di ciò che è invece assodato. Si tratta, in questi casi, di eccezioni. Pur tuttavia anche queste sussistono. Ma non è tanto su tale aspetto che vale la pena di soffermarsi quanto sull’effetto di trascinamento, per così dire, che il tema del negazionismo, che altrimenti parrebbe per molti di rilievo secondario (quando in realtà non lo è), esercita su tutta una serie di questioni che in ogni incontro, puntualmente, si ripropongono. La più importante di esse è quella della “pensabilità” della Shoah.
Così posta, tra il grande pubblico, la questione non ha nessun carattere strettamente filosofico. Rinvia semmai al problema, in sé irrisolto, di come razionalizzare e concettualizzare, del pari a qualsiasi evento storico, qualcosa che pur essendo un fatto concreto, cioè realizzato dagli esseri umani sulla base di una lucida volontà, sembra invece sfuggire alle abituali categorie che si usano per capire e giudicare le scelte collettive. È raro che qualcuno chieda del come si è consumato l’omicidio di massa, quand’anche in fondo non sa bene come le cose si siano effettivamente svolte, mentre è diffusissima la domanda sul perché. Quesito a tratti imbarazzante poiché è il punto di contatto tra ciò che è razionale, prevedibile e quindi commensurabile con quanto, invece, sfugge a tali categorie, che sono e rimangono comunque l’unico orizzonte del nostro modo di pensare e di pensarci.
I negazionisti, a ben vedere, risolvono sbrigativamente la matassa, il viluppo creato da questi interrogativi usando la spada, così come si fa con il nodo di Gordio: la Shoah non è pensabile perché non è mai avvenuta. Il vero scandalo non è il fatto che sia stata realizzata su questa terra da degli uomini contro altri uomini ma che ci sia ancora chi si ostina a perpetuare quella che loro chiamano la «menzogna di Auschwitz». In questo modo le inquietudini che ognuno di noi serba rispetto al nesso tra modernità e barbarie si sciolgono d’incanto, come per effetto di una potente magia. Per i negazionisti, che rinnovano l’antica tradizione antisemitica, il mondo in sé sarebbe buono e giusto se non fosse abitato da quegli individui menzogneri, gli ebrei, che nella loro incessante opera di mistificazione delle cose e della vita altrui sono arrivati a commettere un crimine intollerabile, quello di essersi inventati il ruolo di vittime (quando in realtà semmai sono solo dei carnefici).
La seconda questione che emerge continuamente è la riflessione sul ruolo del nazismo e dei fascismi e, come si dice tra gli storici, su come essi debbano essere “storicizzati”, ovvero contestualizzati con le loro specificità nell’epoca in cui si manifestarono e di cui furono, che ci piaccia o meno, espressione compiuta. Poiché, e qui il rimando ad alcuni aspetti del presente si fa pressante, un po’ tutti gli interlocutori colgono come l’affaticamento delle democrazie liberali negli anni venti, il vicolo cielo costituito dalle crisi economiche, le incongruenze dei sistemi politici così come l’assenza di democrazia economica e sociale costituiscano, allora come anche oggi, una miscela micidiale nella crescita e poi nell’affermazione di movimenti populistici, a base carismatica, che nel nome di un rinnovamento totale di società altrimenti ripiegate su di sé disintegrano le libertà, i diritti e, a volte, la vita stessa. Paralleli immediati tra quel che stato e quel che è oggi la nostra realtà quotidiana sono fuori luogo o comunque gratuiti, se non ponderati con la massima circospezione.
Tuttavia vi è il ripetersi, in certe situazioni, di alcune condizioni strutturali che non possono non fare riflettere. Soprattutto su un aspetto: se le società vengono abbandonate a sé, se le loro classi dirigenti deflettono al ruolo che gli compete, se viene meno la protezione e la tutela della collettività dinanzi a quei grandi problemi contro i quali i singoli, così come le famiglie, possono poco o nulla, allora si apre una voragine dentro la quale rischia di passare molto se non di tutto. A fronte del severissimo giudizio morale sul nazismo e sui fascismi, condiviso da tanti, non c’è altrettanta consapevolezza della sfida politica e culturale che quei sistemi ideologici continuano a rappresentare. Non basta contrapporre ad essi gli effetti disastrosi che produssero con le loro scelte scellerate, peraltro sottoscritte da una parte della popolazione. Non è un monito sufficiente. Ancor meglio: non è con un monito che si neutralizzi la potenza seduttiva di proposte politiche che hanno un vero punto di forza nel banalizzare la realtà, offrendo all’angoscia dei tanti percorsi di soluzione che, pur essendo nei fatti pericolosissime scorciatoie, sollevano dal peso della sofferenza personale tramutandola nell’insofferenza verso un capro espiatorio terzo. Quanto le democrazie si inceppano, cosa che avviene quasi sempre nel momento in cui i meccanismi che garantiscono la redistribuzione della ricchezza prodotta e la coesione sociale vanno in frantumi, nulla è più certo. Illusorio è poi il cullarsi nel pensiero che si tratti di un fatto di mera “educazione”. Il cliché del nazista cattivo e incolto ha funzionato assai poco nello spiegare il perché della compromissione del fior fiore della gioventù tedesca, cresciuta negli anni della Repubblica di Weimar, volenterosamente fattasi assoldare da un partito, divenuto infine regime, che ha garantito a parte di essa una mobilità sociale che nessun sistema liberale era stato capace di offrire. Per questo, e per molto altro, la partita rimane aperta, che ci piaccia o meno. Il nazifascismo, da questo punto di vista, non è mai del tutto morto. Neanche noi, tuttavia.

Claudio Vercelli

Nugae - Minnie veste Lavin
Che bello quando la moda, quella snob e costosa fatta di couturiers ispirati, abiti immettibili e modelle imbronciate, decide per una volta di far finta di prendersi un po' meno sul serio e compie una piccola incursione nel mondo del pop, quello delle cose che tutti conoscono e generalmente amano. Questo è successo la settimana scorsa a Parigi, o meglio nell'universo parallelo di Disneyland, che fra le varie celebrazioni per festeggiare i suoi primi 20 anni, ha ospitato una sfilata di vari stilisti, con una top model d'eccezione, l'intramontabile Minnie. Alber Elbaz, direttore artistico di Lanvin, israeliano di origine marocchina, ha creato una mise apposta per lei. Uno splendido abito da sera blu elettrico con applicazioni di pietre nere e intricate passamanerie argentate e floreali nello stile tipico della maison, con un meraviglioso diadema e naturalmente scarpe col tacco. Elegantissima. Solo Vanity fair ha avuto l'onore di incontrare Minnie insieme a Elbaz dopo l'esclusivissimo défilé, per un'intervista decisamente nonsense in cui lei ha parlato del suo innato amore per la moda ma anche della propria vita privata, raccontando del suo rapporto con Topolino. Mentre Elbaz l'ha definita addirittura "un'icona della moda". Sul sito di Lanvin c'è anche un video che mostra la visita di Minnie all'atelier e la creazione del suo abito. "Quello che c'è di speciale nella Disney è il fatto che tutto è possibile", spiega Elbaz. "Questa sorta di universo di fantasy e di reality che si mescolano è quello che mi attira di più (ovviamente anche se parla in francese usa le proprio i termini inglesi - nel mondo dell'haute couture funziona così, è più fashion dire qualche parola in un'altra lingua). E' un pochino il modo in cui inizio le collezioni: comincio sempre con una storia, con un sogno, poi trovo le soluzioni, in seguito arrivo alla tecnica, e poi devo concludere con il sogno, di nuovo. Comincio e finisco sempre con un sogno". Perché in fondo, sicuramente Elbaz lo sa, i sogni son desideri di felicità. Anzi, magari gliel'ha suggerito Cenerentola in persona.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche - twitter @MatalonF


notizie flash   rassegna stampa
Sorgente di vita - Alla scoperta
delle radici nel cuore del Salento
  Leggi la rassegna

Un viaggio in Salento alla ricerca delle radici apre la puntata di Sorgente di vita di domenica 7 aprile: tre donne israeliane alla scoperta dei luoghi della loro nascita, tra il ’45 e il ’47, nei campi profughi dove vissero i loro genitori, sopravvissuti alla Shoah. Storie di guerra e di accoglienza, in attesa dell’imbarco per la terra d’Israele.
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Cade oggi l’appuntamento di Yom haShoah, posticipato di 24 ore per via della concomitanza sul calendario ebraico con il giorno di riposo dello Shabbat. Molteplici iniziative in tutta Italia. A Roma, tra le altre, la proiezione di una versione digitale di Schindler’s list che il Messaggero annuncia assieme al progetto UCEI di distribuire migliaia di libri ai giovani delle Comunità come impulso di vita alle pagine bruciate dal nazifascismo.
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