se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui

14 aprile  2013 - 4 Iyar 5773
l'Unione informa
ucei
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
carucci
Benedetto
Carucci Viterbi, rabbino


 


"Chiunque dice una cosa a nome di chi la ha detta porta al mondo la redenzione, come è detto: 'Ed Ester lo disse al re a nome di Mordechai'(Ester 2,22)" (Talmud Bavlì, Meghillah 15a).


David Bidussa, storico sociale delle idee
 



Il prossimo 19 aprile cadrà, nel calendario civile, il 70° anniversario dell’inizio della rivolta del ghetto di Varsavia. Forse qualcuno potrà ritenere che sia ridondante ripeterlo qui, ma mi sembra che questo anniversario in occasione di Yom HaShoah sia rimasto senza voce nel mondo ebraico in Italia. “Dobbiamo imparare a combattere insieme contro l’odio. E’ il minimo che dobbiamo agli eroi del Ghetto di Varsavia”, ha detto rav Sacks ai microfoni della BBC, venerdì 5 aprile. Un richiamo sobrio, civile, senza lacrime. Fermo e non urlato. Non sarebbe stato fuori luogo che qualcuno lo ricordasse, rivolgendo specificamente un pensiero a quella scena, a quei rivoltosi, alla loro solitudine, e anche alla loro durezza, per esempio riprendendo le parole talora calde e talora amare, sicuramente forti, di Marek Edelman nel suo “Il ghetto di Varsavia lotta” (Giuntina). Ma così non è stato. Non so perché. In ogni caso non si tratta di aspettare un anno. C’è ancora un’opportunità. Magari riprendendo in mano quelle pagine e provando a dire qualcosa nel giorno dell’anniversario civile.

davar
Laura Boldrini incontra i leader dell'ebraismo italiano
Democrazia, diritti, solidarietà sociale, processo di pace nel Medio Oriente, lotta al razzismo e al cybercrimine. Temi che sono stati al centro dell'incontro tra il presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini e i vertici dell'ebraismo italiano e romano. Ad accoglierla nelle sale comunitarie tra gli altri il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e il rabbino capo rav Riccardo Di Segni. Dopo un colloquio nella stanza del rabbino capo, la visita al Tempio Maggiore e al Museo ebraico. Nell'occasione il presidente Boldrini ha ribadito il proprio personale impegno nella lotta al negazionismo e alla diffusione di odio e razzismo attraverso la rete.
Leggi

Qui Roma – Nathan, il sindaco riformatore
A un secolo dalla conclusione del suo mandato come sindaco di Roma la memoria di Ernesto Nathan è ancora oggi straordinariamente viva e stimolante. Una prova questa mattina all'Auditorium al Parco della Musica con le molte centinaia di persone che hanno parte alla lezione su “Ernesto Nathan, un sindaco non solo inglese ma anche ebreo” proposta da Anna Foa, docente di Storia moderna all'Università di Roma.
Leggi

Israele, la riflessione collettiva e il Movimento Cinque Stelle

Mentre Israele si prepara a celebrare due appuntamenti molto speciali, Yom HaZikaron, Giorno del Ricordo dei soldati caduti e delle vittime del terrorismo, e Yom HaAtzmaut, giorno dell’Indipendenza, la capacità dello Stato ebraico di ricordare, riflettere e festeggiare la propria storia e identità riceve una bocciatura senza appello, insieme a tutto il resto, da parte del Cinque Stelle Salvatore Mandarà, uomo di fiducia del leader Beppe Grillo. “La Bonino è a favore di Israele, e io non sopporto lo Stato di Israele”, le sue dichiarazioni a proposito delle "Quirinarie" riportate dal Corriere della Sera, che in prima pagina a firma di Also Grasso ricorda anche le esternazioni sul “fascismo buono” del capo gruppo Lombardi, mentre Repubblica Roma riferisce le dichiarazioni negazioniste dell’attivista romano Luigi Caracciolo.

Leggi

Israele – Il premier palestinese Salam Fayyad si dimette

Il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese Salam Fayyad ha annunciato le sue dimissioni dopo mesi di tensioni con il presidente Mahmoud Abbas.
Già funzionario della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, dopo aver studiato negli Stati Uniti, Fayyad era stato nominato premier dallo stesso Abu Mazen nel 2006, dopo che Hamas aveva preso con la forza il controllo della Striscia di Gaza.

Leggi

pilpul
Stare attenti, molto attenti
Che ad Auschwitz si stesse “attenti”, molto attenti, non ne dubito. Del pari, credo che ognuno stesse “al suo posto”, contando anche i respiri che faceva, in una sorta di scala sociale rovesciata, dove la morte era collocata all’apice e la vita al gradino più basso. L’infelice espressione della professoressa romana, le reazioni che ha innescato, le parole che sono state usate dalla medesima, come da altri, per giustificare l’ingiustificabile (come si dice in questi casi, peggio la toppa del buco), sono state fatte oggetto di molti commenti. La pressoché totalità dei quali di secca presa di distanza e di condanna. Le cose sembrano così essere tornate al loro posto anche se la contestata docente si è soffermata sul fatto che “nella scuola italiana non c’è più la disciplina di una volta”. Dopo di che, ad onore del vero, verrebbe la voglia di aggiungere che la summenzionata se l’è cavata con assai poco, al di là della sanzione morale. Si tratta di una guarentigia, quella che è riconosciuta ai dipendenti della pubblica amministrazione italiana, per i quali la rimozione dall’incarico è fatto assai raro, che da tutela dell’imparzialità nell’assolvimento del ruolo pubblico svolto si è trasformata in un privilegio spesso discutibile. Ma tant’è, essendo in presenza di un caso dove di fatto ci si è trovati dinanzi ad una sorta di autosospensione di natura diplomatica. Detto questo va aggiunto che è evidente una cosa, ovvero che se la parola “Auschwitz” sta sulla bocca dei più non è assolutamente detto che le accezioni, i significati che ad essa sono attribuiti, collimino. Se essa richiama, in ognuno di noi, un toponimo che ha una funzione antonomastica, ossia indica un significato univoco, che rinvia al senso universale dell’orrore, la vicenda summenzionata ha rivelato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che c’è chi la intende anche e soprattutto come sinonimo di “ordine”, laddove il termine è qui declinato come qualcosa di addirittura positivo. Non a caso la professoressa ha tempisticamente giustificato il suo precedente dire con l’affermazione che il rimando al lager in terra polacca indicava “un posto organizzato”. Che era, per inteso, uno dei significati che i nazisti attribuivano sia alla deportazione che all’eliminazione delle proprie vittime. L’idea che si possa istituire un mondo purificato dalle presenze sgradite, quelle che per il fatto stesso di esistere minerebbero la “naturale gerarchia” intrinseca alle cose, è un’utopia salvifica tanto pericolosa quanto diffusa. Allora come oggi. La differenza è che nel passato si è rivelata nei suoi devastanti effetti, dai quali si sono poi dovute prendere pubblicamente le distanze; nel presente, invece, è come una sorta di pensiero terribile, ma serissimo, che emerge solo nei momenti in cui si allenta il regime dell’autocontrollo da parte di coloro che coltivano questi convincimenti. Il modello di Auschwitz, infatti, richiamava anche questo: la dolorosa (per i carnefici) ma necessaria azione di rimettere le “cose al loro posto”, dopo che le razze, i ceti e le classi inferiori le avevano ribaltate, prendendo per sé quello che invece sarebbe appartenuto esclusivamente, per insindacabile diritto, a chi è superiore per nascita. Vogliamo chiamare razzismo questo atteggiamento? Senz’altro è razzista ma, nel medesimo tempo, rivela di essere anche qualcosa di più (e peggio) di una convinzione altrimenti riconducibile alla mera patologia del tempo corrente. Auschwitz è per certuni il paradigma di un ordine che nel mondo civile è venuto a mancare. Tralasciamo, almeno per un momento, lo schifo che tale pre-giudizio può ingenerarci e cerchiamo invece di cogliere il filo logico di un lucido e potente delirio. Il nesso tra lo sviluppo politico del nazismo (come dei fascismi), da un lato, e richiesta di ordine, nonché di protezione, è fortissimo. Ordine inteso come prevedibilità, in quanto ritorno ad una ipotetica età dell’oro dell’uomo, dove ognuno aveva un ruolo predeterminato e nessuno poteva venire meno ad esso, pena l’espulsione dal consesso civile; protezione come azione esercitata dallo Stato, dai pubblici poteri, a difesa non della vita dei singoli bensì dei corpi sociali, cioè delle aggregazioni riconosciute tra le persone, inquadrate come parte di un organismo unitario, dal quale dipendono in tutto e per tutto, senza autonomia alcuna. Quei regimi politici si sono presentati come tra quanti, nel caos di una modernità sempre più “liquida”, dove le cose e le persone, per l’appunto, “non stanno al loro posto” e sono poco “attente” perché per nulla rispettose delle gerarchie costituite, avrebbero ristabilito la sequenza giusta, presentata come rigorosamente “naturale”, dei ruoli. Virgolettiamo più volte le parole, in un caso come questo, poiché siamo in presenza di quella che i francesi chiamano la langue de bois, il linguaggio stereotipato, quello che falsifica il senso delle cose, creando con artifici linguistici una sorta di realtà parallela, pesantemente ideologica. Riconoscere questa manomissione di significati, se per noi implica il denunciarne il carattere fittizio per altri è invece la ragione per proseguire nella sua accettazione. Il linguaggio di quel potere è infatti stato molto consolante: diceva che il male può essere estirpato, una volta per sempre, a patto di sapere essere radicalmente determinati. Da ciò veniva fatta derivare la necessità, più volte richiamata e rivendicata dai fascismi, di procedere all’espulsione degli elementi estranei, definiti una volta per sempre come parassitari, dalla comunità nazionale di popolo, così come avevano ribattezzato le società sulle quali esercitavano il loro indiscusso predominio. Non si può dare un ordine giusto (non poiché equo e neanche solidale ma perché ispirato ai principi della biogenetica che governerebbero i fatti sociali), se non si procede ad una radicale rimessa al “loro posto” di quegli elementi che, invece, stavano alterando gli “equilibri” di cui la razza era depositaria. Il potere nazista, che non ha mai tematizzato apertamente lo sterminio ma ha sempre rivendicato la necessità di quella miscela tra spietatezza e razionalità che ne era alla base, esercita su molti individui ancora oggi un’indiscussa fascinazione. Non c’è verso di esso una spinta trash o il gusto dell’orrido, due espressioni di nicchia che rinviano perlopiù a pensieri deviati. Piuttosto c’è il diffuso convincimento che quel regime, quel tipo di potere totale, sia non solo maggiormente efficace ed efficiente dei sistemi liberaldemocratici, ma costituisca la giusta risposta al loro affaticamento, soprattutto quando questo deriva dalle torsioni ingenerate da una crisi economica che ne mette a dura prova gli istituti e la loro credibilità. La giustezza e la superiorità del sistema di potere totalitario riposerebbe, per l’appunto, nell’essere non lo schermo di interessi specifici, com’era concretamente nei fatti, bensì la proiezione di qualcosa che è visto come ovvio al punto tale da essere considerato “naturale”: la gerarchia dei più forti; la spietatezza verso i deboli che, in ragione di ciò, non sono degni di vivere; la distruzione della varietà culturale e della diversità umana in quanto germi della corruzione dell’unica esistenza in diritto di darsi, quella della razza-nazione superiore. Si tratta di un pensiero molto moderno, nella sua ossessiva ripetizione. E che ha trovato nelle tristi parole di una docente di una scuola italiana la sua manifestazione. Quanti altri, in cuor proprio, coltivano queste idee? Non vorremmo proprio doverci trovare nella situazione di doverli contare.

Claudio Vercelli

Nugae - Fuorisalone
Quando a Milano arriva il Fuorisalone, l’evento parallelo al prestigioso Salone del Mobile, per una settimana la città si riempie di aperitivi gratis, fiumi di turisti curiosi e tappeti di macchine affollano le strade, i negozi si trasformano in musei, e andare all’università diventa un gioco. Perché la sede centrale della Statale, dove sta la facoltà di Lettere, è uno dei vari poli espositivi del Fuorisalone. E così i chiostri seicenteschi si riempiono di installazioni supermoderne, colori esuberanti e incredibili gadget regalati, che rendono le giornate un’allegra scoperta. Così una specie di enorme (e un po' kitsch) lingua dorata decorata con cotissi, blocchi di vetro residui dei crogioli nelle fornaci veneziane, invade il prato del cortile centrale. Due grandi archi del porticato che sormontano due lunghe scalinate si ricoprono completamente di rossetti dalle confezioni verdi, fucsia, blu elettrico e argento che formano una travolgente onda psichedelica. Studenti in pausa prendono il sole sdraiati su poltroncine dalle forme più assurde. E poi ci s’imbatte nell’imponente installazione progettata da Daniel Libeskind, un’altissima struttura in quarzo, nera con decorazioni in bianco e rosso, che ha la forma di una spirale spigolosa, formata da molti piani geometrici che s’intrecciano a formare varie figure che si sormontano e si penetrano. Ma la cosa più divertente è leggere i panelli esplicativi di tutte queste opere. Uno ad esempio illustra che la struttura architettonica in legno che si affaccia sul chiostro non è solo una semplice capanna dalla forma strana, bensì addirittura “uno spazio ibrido fra interno ed esterno”. Accanto a una specie di cabina illuminata di luce blu da cui esce continuamente del fumo bianco, la didascalia recita invece che si tratta di “un microambiente minimale e surreale di aria purificata, per un viaggio sensoriale in una dimensione antica e incontaminata”. Accidenti, chi l’avrebbe mai detto. È come se tutto fosse pervaso da un alone un po’ mistico, da una profonda ispirazione vagamente magica e trascendente. D’altra parte, meno male che Libeskind si è premurato di scrivere sul pannello della sua opera una spiegazione a tutto questo incanto spiritualistico, perfetta per una profana del design: “L’architettura è un linguaggio capace di raccontare la storia dell’anima”. 

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche - twitter @MatalonF


notizie flash   rassegna stampa
Israele - Sono otto milioni gli abitanti
  Leggi la rassegna

Come ogni anno, alla vigilia di Yom HaAtzmaut, rilasciati i dati dell'Istituto centrale di Statistica dello Stato d'Israele. Gli abitanti sono otto milioni (con un aumento di 137 mila unità), e la popolazione di religione ebraica supera per la prima volta i sei milioni.


 

Sull’approfondimento a proposito delle “Quirinarie” del Movimento Cinque Stelle, Il Corriere della Sera riferisce il commento di Salvatore Mandarà, uomo di fiducia di Grillo, che critica il nome di Emma Bonino dichiarando “La Bonino è a favore di Israele, e io non sopporto lo Stato di Israele”.
continua>>
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.