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16 aprile 2013 - 6 Iyar 5773
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linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

Come per un caso i festeggiamenti di Yom Atzmaùt cadono nei giorni in cui i segni del lutto del periodo
dell’Omer sono più rigorosi. Come se laddove c’è più dolore si trovasse la gioia e viceversa: “…coloro che seminano in lacrime, mieteranno con gioia….” (Salmo 126, 5). Con quale potere i nostri Maestri, anche se non tutti,  hanno potuto  aggiungere una festa in un calendario antico? Con quale autorità hanno deciso  di interrompere un lutto consolidato da secoli autorizzando per una giornata, pur con molteplici varianti e sfumature diverse, la musica, i balli, la recitazione dell’Hallel, l’omissione del Tachanùn (le preghiere di supplica), l’aggiunta di ringraziamento per i miracoli nella penultima benedizione della Amidà come per Chanukkah e per Purìm? Dopo 65 anni dall’istituzione di questa ricorrenza gli interrogativi sulle modalità dei festeggiamenti rimangono, per qualcuno, viceversa, non si sono mai posti e non hanno intaccato più di tanto una struttura religiosa consolidata. Un dato è comunque certo. L’evento stesso della (ri)nascita di Israele come Stato costituisce una sfida per una identità ebraica, composta non solo da fede e valori comuni, ma anche da un sistema normativo - la Halakhah - che si è articolato nei secoli sulla prospettiva che vedeva il popolo ebraico come incapace di fatto di assumere funzioni socio-politiche indipendenti. L’estabilishment e i vari circoli israeliani e diasporici hanno saputo fare fronte a questa sfida, elaborando, in assenza di un pensiero politico tradizionale, modelli nuovi e funzionali? Il rapporto tra politica e “religione”, tra Stato e Halakhah, tra democrazia ed etica ebraica attraversa l’identità non solo di Israele, ma di tutto il popolo ebraico, in Eretz Israel e nella diaspora. La nascita dello Stato di Israele ha sollecitato e continua a sollecitare, tra l’altro, modifiche e innovazioni  anche nel campo della Halakhah. Quando si interpretano eventi, sia piccoli che straordinari come quello della nascita e dell’esistenza dello Stato di Israele in un’ottica sovrannaturale che ha significati che trascendono le leggi della storia anche a noi uomini non è consentito restare immobili.
 
Dario
 Calimani,
 anglista



In questi giorni ci troviamo costretti a chiederci una volta di più perché un ebreo non possa essere né fascista né vicino a ideologie della destra militante. Ci si chiede se sia perché il fascismo, e i fascisti in carne e ossa, hanno svolto teoria e prassi dell’antisemitismo in collaborazione con i nazisti, o se non sia anche perché un’ideologia conservatrice, spiccatamente utilitaristica, poco incline a occuparsi dei più deboli, e più o meno apertamente razzista e discriminazionista non si confà alla coscienza di un ebreo. Certo si è spinti a sinistra soltanto dall’ideale, e non dalla prassi di questi tempi (né dal generalizzato e spesso aprioristico antiisraelianismo), perché la sinistra non sta offrendo visione di spiagge sicure e pulite. La sinistra, di questi tempi, non dà speranza né consolazione. Ma alla coalizione della destra non si può perdonare di aver sdoganato il fascismo, e il fascismo, soprattutto per gli ebrei, rimane fascismo anche quando dice di essersi pentito. Il pentimento fascista dei nostri giorni lo riconsidereranno eventualmente i nostri posteri fra un centinaio d’anni. Lasciamo a loro il confronto con la storia. La nostra è misera cronaca, intrisa quotidianamente delle avventure fasciste di CasaPound, dei cori razzisti negli stadi, dei violenti pestaggi della dignità umana ispirati da mille pagine di internet. L’ideologia fascista non cambia e sarebbe criminale se qualcuno volesse farci credere che è giunto il momento di abbassare lo guardia.

davar
Yom HaAtzmaut - 65 anni di Israele, la grande gioia
non dimentica le ferite aperte nel mondo dall'odio
Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:

"Con Yom HaAtzmaut Israele e tutte le comunità ebraiche del mondo celebrano valori che sono un pilastro delle moderne democrazie: pace, libertà, aspirazioni di futuro. Valori continuamente messi in discussione da chi, con finalità diverse, semina terrore e distruzione tra la popolazione civile.
Il duplice attentato di Boston, a prescindere dalla matrice che lo ha ispirato, è soltanto l'ultimo capitolo dell'eterna contrapposizione tra due culture – la cultura della vita e quella della morte – che non ha possibilità di mediazione al suo interno. Un episodio orribile, che lascia attoniti e sgomenti.
In occasione del 65esimo anniversario del rinnovamento di un sogno e di un'aspirazione divenuti realtà – la nascita di uno Stato ebraico dopo oltre due millenni di Diaspora – la vicinanza e la solidarietà di tutti gli ebrei italiani al paese che più di ogni altro, a prezzo di lutti indicibili, ci ha insegnato il valore della libertà dopo un lungo periodo di buio e persecuzione".

Lo spettacolo della Storia e i valori minacciati
Lo scenario non è nuovo. Lo abbiamo già visto con la brutale montatura giornalistica attorno al discusso saggio Pasque di Sangue. E da allora ancora molte volte, fino alla forzata spettacolarizzazione dell'ultimo libro di Enzo Traverso sulla pretesa fine della modernità ebraica che arriverà nelle librerie italiane solo nel prossimo autunno, ma intanto è parso già utile per muovere, prima ancora di sottoporlo all'attenzione dei lettori italiani, le acque stantie delle pagine dei giornali. Le operazioni culturali si susseguono da qualche anno con un ritmo sempre più incalzante. Alla disperata ricerca dell'effetto nel mirino finiscono idee che non è mai un bene dare per scontate, ma, guarda caso, vengono toccati anche anche i capisaldi della società in cui viviamo. Le basi di democrazia e di convivenza su cui è stata costruita l'Italia repubblicana per alcuni non vanno di moda.
Con l'uscita in libreria questa mattina di “Partigia” (Mondadori editore), uno storico capace e scaltro come Sergio Luzzatto mette ora nel mirino Primo Levi e con lui tutto quel mondo fortemente venato di presenza ebraica che rappresentò la Resistenza al nazifascismo e alle persecuzioni. Con orchestrato sincronismo nei grandi giornali di stamane firme autorevoli e attente alla Storia e alle vicende ebraiche (Paolo Mieli sul Corriere della Sera e Gad Lerner su Repubblica) danno conto di quello che innegabilmente sarà il libro avvenimento di questa primavera. Molte voci familiari ai lettori del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche hanno esaminato il libro e si accingono a esprimere un loro giudizio, aprendo un dibattito che rischia di infiammare le prossime settimane. Proprio su Pagine Ebraiche di maggio Alberto Cavaglion, storico della Resistenza e grande esperto di Primo Levi, denuncia senza mezzi termini i grandi rischi che le operazioni a effetto possono comportare, confondendo in definitiva le acque sulla figura di Levi, sul ruolo della Resistenza e sulle vicende degli ebrei italiani in quegli anni terribili. Sempre sul prossimo Pagine Ebraiche, con una straordinaria testimonianza, rompe il silenzio uno dei protagonisti di allora a fianco di Primo Levi, di Emanuele Artom e degli altri. Qualcuno che in questi lunghi anni e fino ad oggi ha preferito tacere e ha fatto di tutto per far perdere le proprie tracce. Ovviamente la libertà di ricerca resta un valore inviolabile. Ma al di là delle operazioni commerciali sapientemente coordinate (magari servissero almeno a far leggere più libri e più giornali in Italia e non solo a soddisfare gli esibizionismi accademici), resta una domanda. Che significa, anche nel dibattito quotidiano e nel confronto politico, questo ossessivo e regressivo guardare indietro e rileggere il presente con il metro di misura delle categorie che erano praticate negli anni del fascismo? Il nostro ruolo di ebrei e di cittadini non dovrebbe essere interpretato alla luce dei problemi e dei valori presenti? Che la guerra partigiana abbia comportato lacerazioni terribili non è una novità. Né Primo Levi ha mai fatto mistero dei travagli che prima della cattura si trovò ad affrontare. Se ne parla in molti luoghi, oltre che nell'opera dello stesso autore. E se ne tratta anche in “Il lungo viaggio di Primo Levi. La scelta della resistenza, il tradimento, l'arresto. Una storia taciuta” di Frediano Sessi (Marsilio editore) di cui David Bidussa su Pagine Ebraiche di aprile ha già offerto un'importante anticipazione.Ormai siamo un passo più in là. Quello che è nuovo, a quanto pare, in un'Italia sempre più confusa e insicura e proprio alla vigilia del 25 aprile, è l'ombra che si allunga della smania di relativizzare, di banalizzare, di svilire, di macchiare oltre ogni logica misura, proprio i nomi e i valori che simboleggiano la persecuzione, il percorso degli ebrei italiani e il loro tributo per la democrazia.

gv

Qui Roma - Israele, 65 candeline 
Italia ebraica unita nei festeggiamenti per Yom HaAtzmaut. A Roma l'intervento dell'ambasciatore israeliano Naor Gilon, che ha ricordato il legame indissolubile di amicizia tra Stato di Israele e Comunità ebraiche nel mondo.
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Qui Roma - Memoria, la caduta dei tabù
“In questi ultimi mesi ho la sensazione che sia caduto un tabù, quello dell'antisemitismo. Se fino a poco tempo fa sarebbe stato difficile far accettare all'opinione pubblica un'aperta propaganda in questo senso adesso qualcosa è cambiato. Un campanello d'allarme che non possiamo ignorare”. È la riflessione della storica Anna Foa, intervenuta questa mattina a Roma a un convegno sulle Memorie d'Europa.
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Qui Torino - Un Centro per la pace
Promuovere, attraverso eventi e campagne di sensibilizzazione, la conoscenza e la condivisione degli scopi del Peres Center for Peace e raccogliere fondi da devolvere in beneficenza al Centro stesso per sostenerne le iniziative. Questa la sfida della neonata sezione italiana della Onlus ideata nel 1996 dal Capo di Stato israeliano con l'obiettivo di arrivare alla pace in Medio Oriente. Domani sera a Torino (Sala Bolaffi, ore 21) la presentazione ufficiale del progetto. Con l'ex presidente della Comunità ebraica torinese Tullio Levi, tra le anime dell'iniziativa, interverranno il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Francesco Profumo, il sindaco Piero Fassino, la giornalista Manuela Dviri, il presidente del Comitato Amici del Centro Peres Carlo Baffert e la psicologa Irene Bernardini.
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pilpul
Omer - La Torah senza tempo e senza spazio
Nelle settimane precedenti abbiamo visto che la data in cui furono donati al popolo d’Israele i Dieci Comandamenti e il resto della Torah rimane incerta. Nel Talmud si discute se fosse il 6 o il 7 di Sivan. L’incertezza deriva dal fatto che la Torah stessa non ci dice quando avvenne la promulgazione del Decalogo, limitandosi ad affermare che all’inizio del terzo mese (ossia Sivan) gli ebrei arrivarono ai piedi del Monte Sinai. La data della rivelazione è dedotta per via indiretta, sulla base di quante volte Mosè, per far da tramite fra D-o e il popolo, salì dall'accampamento al Monte Sinai e ne ridiscese. Ma a un certo punto la ricostruzione si inceppa e da lì l’incertezza nel calcolo. Ma perché la Torah non dice esplicitamente in che giorno del terzo mese i Dieci Comandamenti furono proclamati? La domanda è legittima, se si considera che la Torah fornisce la data di molti altri eventi accaduti durante i 40 anni di peregrinazioni nel deserto: eventi non tutti apparentemente così memorabili quanto, potremmo pensare, il giorno della rivelazione divina a tutto il popolo e della promulgazione del Decalogo.
La risposta a questa domanda forse si trova nel modo in cui la Torah stessa è considerata dai nostri Maestri. È scritto all'inizio del cap. 19 dell'Esodo: "In questo giorno i figli di Israele giunsero nel deserto del Sinai". Rashì, il grande commentatore della Torah, fa notare che il testo avrebbe dovuto dire "in quel giorno", non "in questo"; Rashì risponde, citando le parole dei Maestri, che la Torah deve essere nuova per noi come se oggi stesso, in questo giorno, venga rivelata. La Torah non viene data in un giorno particolare dell'anno, ma ogni giorno. Per questo non è specificato in che giorno avvenne la promulgazione del Decalogo, perché non si vuole circoscrivere in un solo giorno dell'anno il dono della Torà. Lo stesso motivo per cui, secondo i Maestri, la Torah venne data nel deserto, in una terra di nessuno: non solo la Torah non è limitata a un determinato tempo, ma neanche a un determinato luogo.

Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano

Insegnare e apparire
Dalle stelle alle stalle. La parabola di Gilles Bernheim testimonia con accenti impietosi la labilità delle umane vicende e l’imprevedibilità, nella vita, dei cambiamenti. A distanza di qualche mese l’ex gran rabbino di Francia è precipitato da ispiratore di Benedetto XVI in tema di omosessualità e società - pluricitato anche da commentatori nostrani – a mentitore pubblico, rimosso dal suo incarico perché non “dignitoso” per la comunità ebraica francese. Evidentemente ogni uomo porta con sé responsabilità individuali e non si può generalizzare partendo dalla vicenda spiacevole di un maestro che ha parzialmente copiato i suoi libri e millantato un dottorato mai conseguito. (...)

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas  twitter @tobiazevi

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Storie - La strada a Salerno intitolata a Sabato Visco
primo firmatario dell'infame Manifesto della razza
“Cancellare le tracce” s’intitola un libro di Pierluigi Battista edito nel 2007 da Rizzoli. E in effetti alcuni dei protagonisti del razzismo e dell’antisemitismo di marca fascista hanno così bene celato o corretto il loro passato, che dopo la loro scomparsa sono stati celebrati con tutti gli onori dai loro territori di origine o dalle università o accademie in cui avevano operato. 

Mario Avagliano
twitter @Marioavagliano

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notizie flash   rassegna stampa
Yom HaAtzmaut - Gli auguri
di Napolitano a Peres
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Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, il seguente messaggio: "La ricorrenza di Yom Ha'Atzmaut è una gradita occasione per formularle, a nome del popolo italiano e mio personale, i più sinceri auguri di pace e prosperità per l'amico popolo israeliano. Con Israele l'Italia condivide dal 1948 una scelta di democrazia e di costruttivo impegno nella comunità internazionale, ed ella si è speso sempre in tal senso in funzioni di guida del suo Paese. L'antica amicizia tra i nostri due popoli ha reso ancor più salde e feconde le relazioni bilaterali tra Italia e Israele. La democrazia israeliana è chiamata a sfide decisive per assicurare allo Stato ebraico la pace, la sicurezza e lo sviluppo. Insieme al popolo palestinese, di buona volontà, Israele  può compiere passi cruciali per riavviare quel processo di pace che ella da sempre sostiene con coraggio e determinazione. L'Italia non farà mancare il proprio forte sostegno a questa prospettiva. In questo spirito di profonda amicizia, formulo i migliori voti di benessere per la sua persona e per tutto il suo popolo".
 

Stati Uniti sotto choc. Torna l'incubo terrorismo con il duplice attacco alla maratona di Boston. In attesa di chiarimenti sulla matrice – terrorismo interno, attacco qaedista? –  l'America è unita nel dolore e nella preoccupazione. “Non c'è stato ieri sera un newyorkese, bostoniano, washingtoniano, un americano – scrive Vittorio Zucconi su Repubblica – che non sia rientrato a casa chiedendosi se sul treno, sul ponte, sulla strada ci fosse, come per i soldati in Afghanistan, un ordigno pronto a esplodere”. 
















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