Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui       5 Aprile 2019 - 29 Adar II 5779
Bergoglio su Gerusalemme e i luoghi sacri
"Attacco a Israele". "No, parole importanti"
“Visto che Gerusalemme è di tutti, allora anche il Vaticano sia di tutti. Aspettiamo quindi con impazienza l’apertura di una sinagoga e di una moschea all’interno del suo territorio, così da assicurare libertà di culto a tutti i fedeli delle religioni abramitiche”. È la riflessione “un po’ goliardica, ma è il primo pensiero che ho avuto” di Sergio Della Pergola, illustre demografo e figura di riferimento degli Italkim, la comunità degli italiani residenti in Israele, dopo aver appreso dell’appello congiunto su Gerusalemme lanciato dal papa in Marocco assieme al re Mohammed VI.
Così l’appello: “Noi riteniamo importante preservare la Città santa di Gerusalemme / Al Qods Acharif come patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo. A tale scopo devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale di Gerusalemme / Al Qods Acharif. Auspichiamo, di conseguenza, che nella Città santa siano garantiti la piena libertà di accesso ai fedeli delle tre religioni monoteiste e il diritto di ciascuna di esercitarvi il proprio culto, così che a Gerusalemme / Al Qods Acharif si elevi, da parte dei loro fedeli, la preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità sulla terra”.
“Quella del papa – dice Della Pergola – è una iniziativa che non ho davvero capito. Quando uno parla di solito ha un obiettivo in testa, sa dove vuole andare a parare. In questo caso non è invece chiaro quale fosse il suo ordine del giorno”. Per il demografo si tratta di una dichiarazione “sconcertante e al tempo stesso demagogica, che rimanda a un’epoca in cui il Dialogo tra ebrei e cristiani era a un livello assai meno sviluppato”. Sono parole, insiste, “di un’altra fase storica della Chiesa, parole che avrebbe potuto pronunciare un papa come Montini”. L’iniziativa, sostiene tuttavia, non avrà ripercussioni particolarmente significative. “Son cose che lasciano il tempo che trovano” dice Della Pergola. Che chiude con questo interrogativo: “Gerusalemme è di tutti, va bene. E allora la mia domanda analitica è: guardandoci attorno, quale altro sito ha questa prerogativa? Esiste nel mondo un altro luogo dove anche gli ebrei possano dire ‘sì, anche questo è mio’?”.
Sulla questione è intervenuto anche Valentino Baldacci, presidente dell’Associazione Italia-Israele di Firenze. Nel suo pensiero settimanale sul nostro notiziario quotidiano pubblicato ieri la sua posizione è stata invece di grande considerazione per l’azione intrapresa da Bergoglio. Secondo Baldacci “è bene troncare sul nascere ogni maliziosa interpretazione dell’appello del papa e del re del Marocco, lasciandolo nel suo ambito proprio, cioè quello esclusivamente religioso”. Una interpretazione che, sostiene, “favorirà la continuazione e l’approfondimento dei rapporti politici, economici e culturali tra Israele e i Paesi arabi moderati, tra i quali il Marocco svolge un ruolo rilevante; senza dimenticare che il Marocco è l’unico Paese islamico nel quale esiste ancora una consistente presenza ebraica”.
Davide Assael, ricercatore e curatore di un recente approfondimento di Limes dedicato alla realtà di Israele, vede nell’appello congiunto una risposta “di segno diametralmente opposto” all’asse Netanyahu-Trump su Gerusalemme. “Il recente spostamento dell’ambasciata americana è stato non solo un favore politico a Netanyahu, che ha potuto rivendicare questo successo, ma anche un segno di attenzione alla comunità evangelica che, come noto, è influenzata da una certa visione apocalittica di Israele e del ruolo della sua presenza ebraica. La mossa del papa – sostiene Assael – ha come primo bersaglio proprio questa assetto e la creazione di un asse alternativo”. Un tentativo, prosegue, “di chiara matrice politica, ma con una reale capacità di influenzare le vicende mediorientali tutta da valutare”. E questo perché “già altre iniziative non hanno inciso, come ad esempio la preghiera congiunta in Vaticano con Peres e Abu Mazen tenutasi, con molte aspettative, nel giugno del 2014”. Assael riconosce però a Bergoglio una capacità diplomatica speciale, che in altri contesti si è rivelata determinante. “È in corso, evidentemente, un tentativo di avvicinamento al mondo arabo e all’Islam con l’obiettivo di favorire un clima più disteso in Medio Oriente. Se questo porterà a qualcosa di tangibile adesso è difficile dirlo, anche perché almeno in Europa la voce della Chiesa su un’altra questione spinosa come quella dei migranti non pare troppo ascoltata. È però possibile che Bergoglio abbia già davanti a sé una strategia articolata nei dettagli, e se oggi non la cogliamo non è da escludere che in futuro possa portare a risultati insperati. Da un politico abile come il papa è lecito aspettarselo”.
Deluso il rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e membro di Giunta UCEI. “Israele è l’unico Paese che, in Medio Oriente, tutela i suoi cittadini cristiani. E in questi anni, nei confronti di ogni comunità religiosa, ha assicurato la massima disponibilità e collaborazione. Eppure – si lamenta il rav – tutto questo nella dichiarazione non traspare”. Dichiarazione che, aggiunge, “ha un sapore più politico che religioso”. Ma che lascerà comunque qualche scoria anche per quanto concerne l’ambito del Dialogo e i progetti per favorire la reciproca comprensione cui lo stesso rav da tempo partecipa. “La Chiesa non ha fiducia nell’autorevolezza dello Stato di Israele in quanto garante delle libertà religiose di tutti. Questa iniziativa lo certifica in modo chiaro e quindi qualche ripercussione per forza di cose ci sarà. Sul piano dei rapporti interreligiosi – spiega rav Momigliano – assunzioni del genere alimentano infatti un clima di freddezza. È inevitabile”.
Critico con il papa anche il rav Elia Richetti, già presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana come pure rav Momigliano, secondo cui Bergoglio negherebbe l’origine stessa del cristianesimo. “Ponendo l’identità ebraica di Gerusalemme in una posizione non preminente rispetto a quella delle altre tradizioni religiose e negando di conseguenza il diritto che Gerusalemme sia riconosciuta come capitale di uno Stato ebraico – sottolinea il rav – il papa sembra dimenticare chi era Gesù e in quali luoghi ha agito”. Anche rav Richetti ritiene che la dichiarazione su Gerusalemme non avrà conseguenze concrete sul piano politico. Ma qualche scotto da pagare ci sarà comunque. “Parole e iniziative di tal fatta – afferma – indirizzano le coscienze delle persone meno preparate e contribuiscono a rafforzare pregiudizi nei confronti di Israele e della sua ebraicità”. Rav Richetti, che già duramente attaccò Ratzinger quando la spinosa questione della preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei tornò d’attualità, dice di seguire con attenzione l’operato del suo successore. “Per certi aspetti – riflette – Bergoglio sembra genuinamente interessato al Dialogo interreligioso, anche se la preminenza viene data in assoluto al mondo islamico. E questo purtroppo è un fatto problematico, anche tenendo conto della derivazione diretta del cristianesimo rispetto all’ebraismo”.
Lettura diversa per Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma. “Bergoglio, con questo appello, sta riconoscendo che Israele è l’unico Paese ad avere la capacità di tutelare i luoghi sacri di Gerusalemme. Una politica che attua costantemente dal 1967, da quando cioè ne ha avuto la possibilità”. Altre interpretazioni, secondo Della Rocca, non sarebbero possibili. “Chi vede in queste parole una minaccia alla sovranità di uno Stato indipendente sbaglia o non conosce la realtà di Israele. Non conosce appunto quel che accadeva prima del ’67”. Positivo, aggiunge, che questo segnale sia stato lanciato in Marocco. E cioè “una realtà amica, che ha una interlocuzione aperta con lo Stato ebraico”. Nessuna sottrazione di sovranità, quindi. “Ribadisco: è una interpretazione che comprendo alcuni possano istintivamente fare, ma che è smentita dai fatti. E i fatti sono che per un cristiano oggi è possibile accedere liberamente al Santo Sepolcro, per un ebreo andare al Muro Occidentale, per un musulmano pregare alla Spianata delle Moschee. E che Israele, sia nel caso dei luoghi cristiani che nel caso di quelli islamici, delega a organizzazioni riconducibili a tali comunità religiose la tutela di questi spazi di culto e preghiera”.
Gerusalemme: città del Dialogo e della convivenza possibile, a prescindere dalle appartenenze nazionali, culturali, religiose. A ricordarlo è anche una suggestiva mostra fotografica che si inaugurerà domenica 14 aprile al Museo della Padova Ebraica: “Gerusalemme punto di incontro”, di Maria Grazia Cavallo. Un titolo che è anche un richiamo alle complesse ma ineludibili prove che la Capitale di Israele è chiamata ad affrontare ogni giorno.

Adam Smulevich
L'uso esplicito del razzismo
Non è più tempo di restare alla finestra. La nostra società non può permettere, nel nome sacrosanto della libertà di parola, l’uso esplicito del razzismo nella politica di strada per coprire le disfunzioni delle amministrazioni locali e dello stato. Lo sgombero forzato di famiglie rom da case popolari di un quartiere degradato di Roma nel nome della pulizia etnica e con ampio uso di slogan e simbologie fasciste non è tollerabile. Quel quartiere, come tanti altri nelle metropoli italiane, vive problemi sociali devastanti perché le tante amministrazioni locali che si sono succedute – di destra e di sinistra – non hanno fatto il loro dovere. E se lo Stato si fa vivo solo per gestire l’emergenza di uno sfollamento forzato, c’è veramente qualcosa che non funziona. 
Gadi Luzzatto Voghera, Direzione Fondazione CDEC
 
Cosa imparare dagli animali
La settimana scorsa abbiamo letto nella Torà un lungo elenco di animali permessi e proibiti nella alimentazione kasher, definiti tehorim – puri o temeim – impuri.
Nella nostra parashà, la Torà si occupa di esseri umani e della loro vita, considerando alcuni momenti di essa tehorim e altri temeim.
I nostri Maestri spiegano questo dicendo che la Torà segue cronologicamente ciò che accadde al tempo della Creazione.
Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna
 
Torino e Atene
Per la prima volta in vita mia non potrò recarmi al seggio elettorale per le elezioni della Comunità dato che mi trovo in gita scolastica in Grecia. Per fortuna il regolamento comunitario mi ha permesso di esprimere comunque il mio voto per posta. La singolare circostanza di trovarmi proprio in quella che è considerata la culla della democrazia mi ha offerto lo spunto per un confronto. Inutile dire che la Comunità di Torino è più democratica dell’Atene del V secolo aev dato che estende il voto alle donne, non contempla la schiavitù e permette agli stranieri di iscriversi anche se non hanno entrambi i genitori torinesi. Il confronto vale la pena solo per ricordare che la democratica Atene non era poi così democratica.
Stando al racconto biblico (o sbaglio?), invece, gli ebrei che accettarono la Torah erano proprio tutti, uomini e donne, senza limitazioni per gli stranieri che avessero voluto entrare a far parte del popolo ebraico.
Anna Segre, insegnante
L'etica della minoranza
“Non seguire la maggioranza per fare il male; né far testimonianza in una causa appoggiandoti alla maggioranza che secondo te pronunzia giudizio ingiusto, in modo da torcere il diritto.” (Shemot 23:2)
Non solo il presente, ma ogni tempo dovrebbe aver già dimostrato che la maggioranza non è la voce della verità, non rappresenta inequivocabilmente il bene e la giustizia. Quando si parla continuamente di “governi democraticamente eletti” o di “sovranità popolare” come delle entità assolute e quindi incontestabili, si confonde la dittatura con la democrazia che invece sempre dovrebbe offrire terreno di discussione.
Francesco Moises Bassano
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