Un articolo/recensione apparso sulle pagine di Famiglia Cristiana di questa settimana ripropone la questione di Pio XII amico degli ebrei, nella prospettiva dichiarata di una conclusione positiva della causa di canonizzazione. Non è nostro compito addentrarci in quel contesto, come è ovvio, ma è comunque il caso di guardare in maniera allarmata alla modalità con cui un settimanale così diffuso e influente affronta la questione. Il testo dichiara di voler presentare un “esclusivo” documento storico che riabiliterebbe la figura di Eugenio Pacelli, del quale si scrive sia “ancora perseguitato dal sospetto di non aver contrastato i misfatti del regime fascista”. Offrire spunti di riflessione storica al grande pubblico con intento divulgativo è sempre un’iniziativa lodevole e da premiare. Manipolare i documenti contestualizzandoli in maniera errata è invece un’azione sbagliata.
Uno dei detti che Bil'am, lo stregone chiamato da Balak per annientare Israele, pronuncia nei confronti del popolo ebraico suona con le parole: "Come sono belle le tue tende oh Giacobbe, i tuoi santuari oh Israel".
Rabbì Ovadià Sforno, rabbino cesenate, vissuto a Bologna, nel suo commento spiega: "Le tue tende" , sono i baté ha midrash - le scuole dove si studia la Torà, mentre i "tuoi santuari" sono i baté ha knesset - le sinagoghe.
Mi fa piacere che Giorgio Berruto sia tornato su un episodio di circa due mesi fa che mi pare non abbia avuto l’attenzione mediatica che ci si poteva aspettare data la sua gravità: i fischi indirizzati al papa durante un comizio. Mi permetto dunque di seguire le sue orme e tornare a ragionare un po’ su quell’episodio davvero sconcertante.
Come può un politico che si dichiara orgogliosamente cattolico mancare di rispetto al papa, o accettare che in sua presenza gli si manchi di rispetto? Addirittura tollerare che il papa, supremo leader spirituale di tutti i cattolici del mondo, venga fischiato? Per quanto possa essere in disaccordo con lui, non dovrebbe credere per fede che la sua elezione sia frutto della volontà divina?
Livorno agli inizi dell’Ottocento pare avesse una popolazione ebraica di oltre cinquemila anime. Con il declino dei traffici marittimi dal porto toscano, la Shoah, e la lenta ripresa nel dopoguerra la popolazione si è drasticamente ridotta, spostandosi in altri centri della penisola o in Israele. In realtà, oltre alle migrazioni, anche l’assimilazione ha fortemente influito sul tessuto ebraico locale. Nella mia città capita continuamente di incontrare persone con un genitore, un nonno, una nonna, un bisnonno o un trisavolo ebreo. Oserei dire che è quasi più raro trovare un livornese senza. Ciò naturalmente è irrilevante dal punto di vista halakhico: una città con molte persone con qualche antenato ebreo o con ebrei che non frequentano più, non fa sì che questa sia una città “ebraica” o con una comunità florida come fu in tempi lontani. Una volta un amico avanzò la tesi che a Livorno, a differenza di altre città, gli ebrei con un grado d’istruzione maggiore abbiano conservato più vividamente le tradizioni, rispetto a quelli appartenenti al “popolino” più destinati a perderle perché maggiormente assimilati.
Il 18 luglio del 1994, a Buenos Aires, un furgoncino carico di tritolo devastò l’edificio sede dell’AMIA e della DAIA, le più importanti organizzazioni ebraiche argentine, causando 85 morti e centinaia di feriti. A questa strage rimasta impunita è dedicata l’apertura della puntata di Sorgente di vita di domenica 21 luglio con un’intervista a Victor Nahum, che allora aveva 15 anni. Oggi vive in Italia ma allora fu tra i volontari che nei giorni successivi scavarono tra le macerie. Oltre alle vite umane andò perduta, con la distruzione dell’archivio storico, anche la storia della comunità ebraica argentina. A 25 anni di distanza, tra depistaggi e intrighi internazionali, quella tragedia è ancora impunita.