Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui       18 Settembre 2019 - 18 Elul 5779
ELEZIONI IN ISRAELE, PROSEGUE LO SPOGLIO - TESTA A TESTA NETANYAHU-GANTZ 

Una nuova Knesset senza maggioranze

Continua lo spoglio in queste ore delle schede elettorali in Israele. Nelle ultime ore c'è stato un piccolo sorpasso da parte di Kachol Lavan, il partito di centro guidato da Benny Gantz, ai danni del Likud del Premier Benjamin Netanyahu: 32 seggi a 31. Nella sostanza cambia però poco: nessuno dei due partiti ha, guardando le due coalizioni, i numeri per governare (nell'immagine la proiezione dell'emittente televisiva Kan). Come riportato nel notiziario speciale di Pagine Ebraiche dedicato alle elezioni israeliane, gli analisti considerano un governo di unità nazionale come la strada più plausibile. Ma la trattativa per raggiungerlo sarà molto complicata: il Likud ha chiarito che ogni trattativa deve prevedere la presenza di Benjamin Netanyahu nel futuro esecutivo mentre Kachol Lavan ha basato la sua campagna proprio sulla sostituzione del Premier uscente. Non è chiaro come si schiererà sul punto Avigdor Lieberman, i cui 9 seggi (del suo partito Yisrael Beitenu) sono fondamentali per gli equilibri all'interno della Knesset. Lui ha ribadito di volere un governo di unità nazionale, affermando di non essere interessato a entrarvi ma auspicando che nasca e che abbia un'agenda laica.

Davanti a Lieberman per seggi alla Knesset, la Lista araba che ne ha ottenuti 13. Il risultato per loro è positivo e sono oggi la terza forza all'interno del parlamento israeliano. L'affluenza alle urne nelle comunità arabe è salita al 60 per cento in questa elezione rispetto al 50 di aprile. A completare l'arco parlamentare, i partiti religiosi Shas (9) e Yahadut HaTorah (8), l'alleanza di destra Yamina (7), il centro-sinistra Laburisti-Gesher (6) e il Campo democratico di sinistra (5). Fuori il partito di estrema destra Otzmah Yehudit.

UCEI - IL PROGETTO SOTTO L'EGIDA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO 

Lotta alla violenza contro le donne,
l’impegno comune delle religioni

Ebrei, cattolici e musulmani. Insieme, per rafforzare un impegno comune in opposizione a pregiudizio, discriminazione e violenza di genere, in particolare quella rivolta contro giovani adolescenti, riconoscendo il ruolo che le attende in futuro nella società. 
È la sfida del progetto “Not in my name. Ebrei, Cattolici e Musulmani in campo contro la violenza sulle Donne”, frutto della collaborazione tra l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Comunità Religiosa Islamica Italiana e l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sotto l’egida del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ne ha finanziato la realizzazione. 
L’iniziativa, caratterizzata da un piano concreto di interventi rivolto alle nuove generazioni, attraverso il coinvolgimento delle scuole, sarà presentata martedì 24 settembre alle 15 nella sede del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Viale Trastevere, 76/A). A introdurre i lavori l’assessore a Scuola, Formazione e Giovani Ucei Livia Ottolenghi, con a seguire i saluti istituzionali della Presidente dell’Unione Noemi Di Segni e dei rappresentanti di Ministero e Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
Tre i momenti in cui sarà divisa la presentazione. A rispondere alla domanda “Perché le religioni scendono in campo?” saranno rav Roberto Della Rocca, direttore dell’Area Formazione e Cultura Ucei; Marta Rodriguez dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum; Aisha Lazzerini, coordinatrice del comitato scientifico della Coreis; Chiara Ferrero, presidente dell’Accademia ISA.
A illustrare la proposta formativa per l’anno scolastico 2019/20 saranno poi Raffaella Di Castro (Ucei), Marta Rodriguez (Apra), Martino Roma (Coreis) e Betti Guetta (Cdec).
Concluderà la presentazione una tavola rotonda su “Pregiudizio, discriminazione e violenza di genere: riflessioni e sfide aperte”, introdotta e moderata dalla giornalista esperta di diritti umani Luisa Betti Dakli. Porteranno un contributo anche Paola Cavallari, responsabile dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne; Teresa Dattilo, psicoterapeuta e presidente dell’associazione Donna e Politiche Familiari; Maddalena Del Re, avvocata; Claudia Villante, ricercatrice Istat. 
Per partecipare è necessario accreditarsi (entro venerdì 20 settembre) scrivendo una mail all’indirizzo notinmyname@ucei.it.

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LO STORICO ALBERTO CAVAGLION SUL LIBRO 'UN POPOLO COME GLI ALTRI'

Sergio Luzzatto e la ricerca del caso giornalistico,
una deriva che mette tristezza

Anche lo studioso Alberto Cavaglion (nell’immagine) interviene sul libro Un popolo come gli altri. Gli ebrei, l’eccezione, la storia, dello storico Sergio Luzzatto, già al centro di numerosi interventi pubblicati negli scorsi giorni su questi notiziari.

Sbagliano questa volta gli amici di Pagine Ebraiche, li esorto a non insistere. Fra l’altro questa volta i bersagli principali di Sergio Luzzatto per fortuna sono, senza nominarli, Marco Belpoliti, il suo sito web doppiozero e un non meglio identificato studioso di cose ebraiche, reo di aver fatto cadere la mannaia sulla versione italiana della postfazione alla traduzione francese di Partigia, il libro sul “terribile segreto” di Levi.
Sergio Luzzatto collabora ai principali quotidiani nazionali, insegna in università straniere prestigiose, è di casa da Einaudi, Mondadori e Gallimard, vende migliaia di copie, appare in televisione, però continua ad atteggiarsi a vittima. La cosa fa davvero sorridere. D’accordo, in un libro di storia, insinuare accuse senza fare nomi è una cosa tristissima, ma tanta mania di persecuzione mette il buonumore addosso. Già che ci sono ne approfitto per tranquillizzare i miei pochi lettori. Non sono io l’innominato censore reclutato da Belpoliti per bocciare la prefazione francese di Luzzatto. Avevo già dato, a viso aperto. Quando uscì Partigia, gli avevo indicato una fonte pensando non la conoscesse: il diario di un curato di montagna che racconta di vessazioni da parte di giovani partigiani contro un’anziana signora ebrea. La mia fonte, edita e disponibile in molte biblioteche, non chiariva «il terribile segreto», ma faceva luce sul contesto. Con mio stupore Luzzatto mi dedicò una pagina e mezza de «La Stampa», dimostrando che di quella sventurata donna e della sua vicenda sapeva tutto. Come mai non avesse pensato di dedicarle nemmeno una noticina a pié di pagina di Partigia non lo spiegò allora, non lo ha spiegato nella postfazione per Gallimard bocciata da Belpoliti e vedo che continua a non spiegarlo adesso nella premessa di questo nuovo libro. Invece continua, ieri come oggi, a lamentarsi e a dirsi perseguitato.
La verità è che Luzzatto ha la pessima abitudine di lavorare solo sulle fonti che gli vengono utili per abbattere i tabù che gli piacciono. Ribelle, ma part time. Volendo togliere le «stimmate» a Primo Levi (l’orribile paragone con padre Pio è in una intervista a Glodkorn, «L’Espresso», 2 maggio 2013), infrangeva i tabù dei «guardiani del faro» della Resistenza. Giusto, anche a me piace infrangere i tabù. Peccato che si sia fermato a metà. Non infranse la parte più scabrosa degli eventi, per denunciare la quale sarebbe stato necessario tirare fuori il coraggio che non ha: nella zona dove si svolgono i fatti narrati in Partigia, si muovevano anche sedicenti partigiani che avevano l’abitudine di vessare anziane donne ebree rimaste sole, al fine di derubarle o segnalarne la presenza ai repubblichini, inducendole infine alla resa o al suicidio. In Partigia non una riga per Helène Rudnitzki, la cui terribile morte mi impedisce oggi di salire ad Amay: quel silenzio su di lei mi tormenta più del pensiero che lì sia stato arrestato Primo Levi.

Alberto Cavaglion, storico

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Sarah e Paolo, mazal tov!

Un grande mazal tov a Sarah Momigliano e Paolo Sciunnach per la nascita del loro terzo figlio. Le più sentite felicitazioni per la nascita del nipotino anche al nonno, rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e assessore al Culto dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.


Rassegna stampa

Israele al voto
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L’UCEI che vorrei
Prima riflettere, poi discutere, infine decidere. Le ovvie regole qui sopra sono confinate, nell’archivio del Tempo, nelle crudeli ramanzine delle maestre malvagie, quelle di una volta, quando le berciavano ai penitenti e sbalorditi scolari, immobili, a capo chino e orecchio assordato.
Ancora rintronato, rifletterò sulla base della lettura quotidiana dei giornaloni e delle rassegne-stampa dei giornali, giornalini e giornalacci. Chiacchiere da caffèsport? Non del tutto, perché molta importanza avrà la stampa, su carta e in rete, di bimestrali come Hakeillah e dei periodici dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Liberi e cognitivi.
Con grande modestia mi riferirò a: me stesso, la mia famiglia, la Comunità ebraica di Roma, quella di Torino che conosco bene, l’UCEI, gli ebrei europei e quelli del mondo. Modestia a parte, a Israele ho già dedicato un capitoletto pubblicato su Pagine Ebraiche del numero di settembre.
Aldo Zargani
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Il bipolarismo in crisi
Lo stallo, ampiamente annunciato, emerso dalle elezioni israeliane di ieri conferma un male già ampiamente diagnosticato, che riguarda le democrazie avanzate: è sempre più difficile che le elezioni consentano di formare un governo. Il vecchio bipolarismo su cui si è retto il sistema democratico dal dopoguerra in avanti è stato scardinato dalla nascita di nuovi soggetti capaci di fare massa critica. La Spagna, che proprio ieri ha annunciato il ritorno al voto per impossibilità di trovare una maggioranza in Parlamento è solo l’ultimo esempio. Cosa succederà in Israele è ancora presto per dirlo, dato che la soluzione già proposta da Liberman di un governo di unità nazionale troverà la strenua resistenza di Netanyahu. 
Davide Assael
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Periscopio - Tre esiti, nessuno positivo
Pur con non poca riluttanza, credo di non potermi esimere dal dedicare qualche commento al rapido, imprevedibile e sorprendente capovolgimento del quadro politico a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane. Si è davvero trattato di qualcosa di particolare, che non trova analogie o precedenti nella storia delle moderne democrazie. La riluttanza deriva dal fatto che non mi piace niente. Non mi piaceva il governo che c’era ieri (lo chiamavano il governo di svolta, anche se non si capiva verso dove), non mi piace il governo che c’è ora (quello della svolta bis, direzione ancora più oscura) e non mi sarebbe neanche piaciuto il nuovo governo (quello “sovranista puro” e dei “pieni poteri”) che sembrava lì lì per nascere, e che invece non ha visto la luce.
Francesco Lucrezi
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