UN LIBRO PENSATO PER GIOVANI LETTORI E ADULTI SMEMORATI
Un calcio al razzismo,
venti lezioni contro l'odio
Il calcio, il gioco più bello del mondo, subisce sempre più l’insidioso veleno del razzismo. Una minaccia che ha origine nei drammi che hanno attraversato la società europea nel secolo scorso e che ancora pulsa nel ricordo di quelle ferite. C’è infatti un filo che collega i maestri danubiani della Serie A epurati dal regime fascista in quanto ebrei agli ignobili attacchi contro campioni di oggi come il napoletano Koulibaly e il nerazzurro Lukaku.
È quello che cerca di raccontare Un calcio al razzismo. Venti lezioni contro l’odio, il nuovo saggio del giornalista UCEI Adam Smulevich, scritto assieme al collega Massimiliano Castellani, pubblicato dalla casa editrice Giuntina e da qualche ora nelle librerie. Ancora una volta lo sport, tra luci e ombre, per raccontare un pezzo del nostro passato, riflettere sul presente e immaginare un futuro all’insegna di valori oggi messi in discussione.
Il saggio, che già a poche ore dall’uscita ha ricevuto una notevole attenzione mediatica, la segnalazione da parte dell’agenzia stampa Ansa come “libro del giorno”, insieme all’apprezzamento della senatrice a vita Liliana Segre, che ai temi evocati evocati nel libro ha dedicato un’intervista al quotidiano Avvenire rilanciando l’appello per un impegno serrato contro le parole malate nelle curve degli stadi, è suddiviso in venti capitoli. Un percorso con diversi spunti inediti, adatto anche al mondo dei giovani e giovanissimi troppo spesso esposti a segnali negativi, che spazia da Giorgio Bassani giovane calciatore nella sua Ferrara nel segno del padre Enrico, che fu anche presidente della Spal, alle colte citazioni di Lilian Thuram, dal ruolo salvifico di questo sport per i reduci dai lager all’abominio di chi oggi propaga veleno sugli spalti. Fu una schedina, quella mitica del Totocalcio, il sogno di riscatto del giornalista Massimo Della Pergola quando si trovava ancora in un campo di internamento in Svizzera. E fu un pallone che rotolava nel segno di una “Stella Azzurra” a ridare ad Alberto Mieli, sopravvissuto ad Auschwitz, la forza di restare in vita. Memorie un po’ sbiadite, viene spiegato, che hanno invece molto da insegnarci. “C’è un gioco da salvare. E la cura – sottolineano gli autori – potrà essere solo una buona dose di consapevolezza”. Quella consapevolezza cui aiutano a tendere alcuni grandi nomi del calcio di oggi e di ieri che sono protagonisti in questo libro.
“Non c’è una storia nera né una storia bianca. È tutto il passato del mondo che dobbiamo recuperare per capire meglio noi stessi e preparare il futuro dei nostri figli” racconta a Smulevich e Castellani l’ex top player Thuram, che una volta appesi gli scarpini al chiodo ha scelto di dedicarsi a tempo pieno alla lotta contro il razzismo nel calcio. Temi affini a quelli condivisi sul campo da un gigante della panchina, il boemo Zdenek Zeman, che nel libro ricorda con emozione lo zio Čestmír Vycpálek, che portò in alto la Juventus ma che in anni giovanili, oppositore al regime, fu arrestato e deportato dai nazisti. Una vicenda drammatica che, rivela Zeman agli autori, ha segnato profondamente anche il nipote e tutta la sua visione del calcio, l’etica, i valori in gioco. Degli ultimi episodi di intolleranza l’ex tecnico di Roma e Lazio dice: “Gli imbecilli che fanno questi gesti o che appendono certi striscioni si vedono ovunque. Mi deprimono…”.
Primo Levi e il calcio: due partite segnano la sua esperienza di Testimone. Ne I sommersi e i salvati il racconto dell’incontro alle porte dell’inferno tra aguzzini e Sonderkommando. Mentre ne La Tregua è una sfida tra italiani e polacchi il segno della ritrovata libertà. Un occhio sorprendentemente tecnico, quello di Levi, che non perde un’azione di gioco, commenta le scelte arbitrali, si fissa sulle capacità balistiche del portiere slavo. Due incontri contrapposti che sono l’evocativa immagine con cui si apre il saggio.
Il calcio come veicolo di consenso per i totalitarismi. Ma il calcio anche come formidabile metafora della vita. Compagni di squadra affiatati che si ritrovano uno a combattere per la Repubblica sociale e uno invece per la libertà dall’oppressore. La vera “fuga per la vittoria”, che non è quella raccontata nel celebre film con Pelè campione anche sul set ma un epico incontro, con lo sfondo di combattimenti e terrore, che ha al centro un nome che appartiene alla storia di questo sport come Silvio Piola. Il calcio come ripartenza, speranza, ritorno alla vita dopo durissime prove. È la “Stella Azzurra” che nasce a Roma nel dopoguerra, mitico sodalizio che fu il segno di vitalità di una comunità colpita ma non annientata dalla Shoah. E ancora le intuizioni di un grande giornalista che vede lontano, in tempi bui. Pochi anni prima le Leggi razziste lo hanno allontanato dalla professione. Massimo Della Pergola però non è uno che si abbatte facilmente: “All’Italia, tanto bombardata, pensavo sarebbero occorsi non soltanto ponti e case ma anche stadi, palestre, piscine. Mi sentivo comunque e sempre un giornalista sportivo”. Mentre in Italia ancora si combatte è un ebreo triestino a fare al Paese un dono inatteso, che sarà decisivo per lasciarsi alle spalle gli orrori della dittatura e della guerra. È una semplice schedina, con tre segni da apporre: 1,x,2. In pochi mesi farà la Storia del costume e della società italiana.
Si apre con un servizio sull’attentato neonazista alla sinagoga di Halle la puntata di Sorgente di vita in onda domenica 13 ottobre.
L’attacco è avvenuto il giorno di Kippur per mano di Stephan Baillet, un neonazista armato fino ai denti e intenzionato a uccidere gli ebrei riuniti nella Sinagoga della cittadina della Sassonia-Anhalt.
Primo ingrediente è il disagio sociale. La Sassonia è un’area complicata. Qui non si è ancora conclusa la lunga integrazione dell’Est tedesco nel prosperoso Ovest.
Secondo ingrediente la violenza del verbo che negli ultimi anni ha fatto irruzione nella politica favorita dai social, ma cavalcata da certi esponenti del ceto politico, spregiudicati e privi di humana pietas.
Terzo ingrediente la riscoperta dei simboli del nazismo e dei suoi slogan che in un passato non lontano si sono trasformati in politica attiva.
Quarto ingrediente l’invenzione della realtà virtuale dei videogiochi di guerra, che offrono gratis una preparazione militare di base e sottraggono all’azione di morte gli elementi scomodi (lo shock, il dolore, la paura, la puzza, il rumore) annullando la distanza fra reale e virtuale.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC Leggi
Il discorso di Moshè
“Sheal avikha ve jaghedkha zekenekha ve jomerù lakh – chiedilo a tuo padre e te lo narrerà al tuo anziano e te lo dirà” (Devarim 32;7).
L’importanza del tramandare le esperienze e le tradizioni è sempre stato uno dei punti fondamentali su cui la Torà ha fondato i suoi principi. Sin dall’uscita dall’Egitto, troviamo comandato l’obbligo della narrazione ai figli e ai giovani di ciò che fu il passato.
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna Leggi
La neutralità negata
Ancora una volta veniamo colpiti nel momento più sacro dell’anno, ancora una volta constatiamo di non poter mai essere davvero tranquilli, ancora una volta ci rendiamo conto di non poter essere neutrali. Non potevamo esserlo 75 anni fa e non possiamo esserlo oggi. Certo, l’antisemitismo si annida in tutte le formazioni politiche, ma in alcune più che in altre, e non tutte le ideologie politiche fanno dell’antisemitismo un elemento costitutivo della propria identità. Non fa piacere constatarlo. Sarebbe bello se potessimo combattere il neonazismo perché è un’ideologia aberrante e non perché i neonazisti assaltano le sinagoghe.
Stephan Balliet, l’attentatore neonazista di Halle riteneva che gli ebrei fossero la “radice di tutti i mali”, i responsabili delle migrazioni di massa in Europa. Non poi così diversamente da chi crede che dietro di esse ci sia il magnate della finanza Gyorgy Soros. In contemporanea, Recep Tayyep Erdogan dava il via ai bombardamenti sulla Siria del Nord, e gli utenti sulla sua pagina Facebook, complimentandosi con lui, invocavano la protezione di Allah sull’esercito turco. Un conflitto reso possibile dall’abbandono dei curdi da parte di Donald Trump, un idolo tanto amato dai vari anti-musulmani e “anti-globalisti” di turno.
Dati l’unicità e lo speciale status halakhico di Gerusalemme ci si aspetterebbe di trovare nella tradizione di Israele un mito di fondazione della città, magari esaltato da una festa liturgica. Ma per quanto centrale sia (stato) il Tempio nella storia antica degli ebrei e mai sopiti siano la nostalgia e il desiderio di ritorno nella ‘città della santità’ – ‘ir ha-qodesh – il calendario ebraico non ha mai registrato e celebrato uno Jom Jerushalaim, un giorno di/per Gerusalemme, fino a pochi anni fa. I rabbanim hanno stabilito il 9 di Av come giorno di lutto per la perdita del Tempio e la distruzione della città, non una festa per la sua fondazione o la sua conquista militare da parte di Davide (l’osservazione è di Yeshayahu Leibowitz in materia di feste ebraiche).