Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui        7 Gennaio 2020 - 10 Tevet 5780
ELÈNA MORTARA E L'INCONTRO CON LO SCRITTORE PRIMA DELLA SCOMPARSA

Philip Roth, l'ultima intervista
"Sempre consapevole della mia ebraicità"

Sono passati poco più di due anni: il 21 dicembre 2017, la studiosa italiana Elèna Mortara attraversava l’Upper West Side di Manhattan per un appuntamento unico, un’intervista con il leggendario scrittore americano Philip Roth.
Il risultato di quell’incontro speciale, frutto di quella che si rivelò essere l’ultima intervista rilasciata da Roth, deceduto poche settimane dopo, è stato pubblicato sulla rivista della Philip Roth Society, il “Philip Roth Studies”.
“Al dodicesimo piano, vicino alla soglia, appena fuori dalla sua porta aperta, c’è Philip Roth, che mi dà il benvenuto. Quando entro, sono inondata dalla luce del soggiorno luminoso e spazioso, con grandi porte-finestre che si aprono sulla parete opposta da cui si scorge la città. Roth indossa una camicia blu ardesia e pantaloni di lana marrone. Ci sediamo in questo spazio inondato di luce, con un tavolino pieno di libri accanto a noi, e iniziamo a parlare. È una conversazione amichevole, che passa dai ricordi della sua esperienza a Roma a memorie di famiglia, dai suoi incontri con altri scrittori alle riflessioni sui suoi libri. Ci sono momenti di grandi risate e talvolta sorprendenti scoperte. Roth non è solo accogliente, ma ha anche un aspetto magnifico. ‘Sono felice’, ammette con tutta semplicità, quando gli chiedo come si sente, ora che ha appena pubblicato una nuova splendida raccolta di saggi (Why Write?, 2017) negli Stati Uniti”, scrive Mortara.
Docente di Letteratura americana all’Università di Tor Vergata a Roma, Mortara è la redattrice del primo volume delle opere di Roth nella più prestigiosa serie letteraria italiana, i Meridiani Mondadori.
Al momento dell’intervista, il volume era stato pubblicato solo due mesi prima.
Tra gli argomenti trattati nel colloquio, l’influenza di Kafka sul lavoro di Roth e le sue radici ebraiche.
“La prima generazione [di immigrati ebrei] fece fatica, ma i loro figli, che avevano fatto un passo in avanti, che erano più borghesi, formarono delle associazioni familiari. Erano molto comuni tra gli ebrei. Erano delle specie di società di assistenza sociale, prestavano denaro per le sepolture, si occupavano di chi si ammalava, avevano un fondo per borse di studio destinate ai ragazzi che andavano al college e non avevano mezzi. E poi c’era una grande atmosfera familiare tra loro. Io, da piccolo, adoravo andarci!” spiega Roth a Mortara mostrandole una foto con circa 150 persone sedute a lunghi tavoli in un’elegante sala da pranzo, tutti i suoi parenti.
“Sai, i miei genitori sono stati molto importanti per me, perché erano bravissimi e hanno allevato me e mio fratello con tanto calore e amore. Ma anche la comunità in cui sono cresciuto, quel quartiere, un grande quartiere ebraico, era in un certo senso come un genitore più esteso. Questo perché erano tutti ebrei, c’erano alcune famiglie ‘gentili’, ma non molte. Una volta ne parlavo con uno dei miei vecchi amici delle superiori al telefono. Lui vive in Florida, ci sentiamo ogni tanto. Discutendo di Weequahic, il nostro quartiere, mi ha detto ‘era così sicuro’, ‘ci sentivamo così al sicuro’. E ci sentivamo davvero al sicuro,” aggiunge lo scrittore.
“Sento che per te l’ebraicità è stata molto importante, non l’ebraismo come sistema di pensiero, come religione, ma ebraicità, l’esperienza di essere ebreo”, osserva Mortara.

L'ESERCITO ISRAELIANO SULL'UCCISIONE DEL GENERALE IRANIANO

"Israele non c'entra con l'uccisione di Soleimani.
È un bene che sia successo lontano da noi" 

Sono giorni in cui la politica e le autorità israeliane misurano con cautela le parole su quanto accaduto in Iraq. L'eliminazione del generale iraniano Qassem Soleimani a Baghdad su ordine del presidente Usa Donald Trump è stata sicuramente una notizia accolta positivamente a Gerusalemme e a Tel Aviv (sede del quartier generale dell'esercito), ma le forze di sicurezza sono preoccupate che eventuali ritorsioni tocchino anche Israele. E anche per questo chiariscono che nell'uccisione di Soleimani non hanno avuto nessun ruolo. “Soleimani ha danneggiato gli interessi Usa e rappresentava un pericolo significativo per gli americani nella regione. Dobbiamo considerare questa uccisione come parte di una lotta tra Iran e Stati Uniti per il controllo dell'Iraq. Questa è la storia”, le parole del capo del comando meridionale dell'esercito, il maggiore generale Herzi Halevi. “L'uccisione di Soleimani ha ramificazioni anche per noi israeliani, e dobbiamo seguirlo da vicino, ma non siamo noi la storia principale qui - ed è un bene che sia successo lontano da noi”, ha proseguito Halevi, parlando in una conferenza a Gerusalemme organizzata dal quotidiano Yedioth Ahronoth. “Osserviamo da bordo campo. Presumo che le prossime settimane saranno molto interessanti”. L'ufficiale di Tsahal ha anche detto che l'esercito non ha finora individuato alcun tentativo da parte della Jihad islamica palestinese, gruppo terroristico di Gaza che beneficia del sostegno militare e finanziario iraniano, di compiere attacchi contro Israele in risposta all'uccisione di Soleimani.

INFORMAZIONE - INTERNATIONAL EDITION

Cacciare il razzismo fuori dagli stadi,
l'UCEI e l'impegno con il calcio italiano

”Partirà a gennaio e in previsione del Giorno della Memoria l’iniziativa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che chiama a raccolta il mondo dello sport per dire no al razzismo negli stadi, presentata al pubblico internazionale nell’ultima uscita di Pagine Ebraiche International Edition. Accanto alla presidente UCEI Noemi Di Segni, promotrice dell’evento che avrà luogo il 16 gennaio e sarà rivolto in particolare ai giovani, ci saranno tra gli altri il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori Damiano Tommasi, l’ad della Lega Calcio Serie A Luigi De Siervo e l’ad della Lega Nazionale Dilettanti Cosimo Sibilia.
Come vivevano gli ebrei nel Rinascimento? Quale è stato il loro contributo e la loro presenza nella letteratura, pittura, poesia? E cosa caratterizzava i complessi rapporti con il mondo cristiano? Saranno questi alcuni degli argomenti trattati nel convegno “Imagining the Renaissance / Defining the Jews,” (Immaginare il Rinascimento/Definire gli ebrei) che si svolgerà dal 12 al 15 gennaio a Gerusalemme, nella sede della Biblioteca nazionale di Israele. Come raccontato sul notiziario internazionale, “il convengo si muove in una prospettiva globale, partendo dal presupposto che – come ha scritto la grande storica Natalie Zemon Davis – al giorno d’oggi «sempre più continenti, popoli, idee e religioni hanno raggiunto una visibilità finora mai perseguita». All’interno di questa cornice globale, gli storici sempre più tentano di confrontarsi con rappresentazioni dei confini tra queste entità che assumono la fisionomia di realtà miste e porose".


Rassegna stampa

Teheran promette vendetta
contro Israele e Usa 

Leggi

 
Lettera aperta 
Ci si dice sempre, fra noi, che l'antisemitismo deriva dall'ignoranza, dalla mancanza di conoscenza storica. Ammettiamo che è anche, spesso, questione di mala fede. PE dovrebbe aprire una nuova rubrica quotidiana dal titolo 'Lettera aperta', e recapitarla anche, personalmente, a coloro che esprimono più o meno consapevolmente sentimenti antisemiti, per spiegare in che cosa consista il loro malsano pregiudizio.
'Lettera aperta', allora, a Eleonora De Majo, assessora a Napoli.
Non è naturalmente vero che tutti i critici del governo Netanyahu sono antisemiti; è vero, tuttavia, che chi, fra tutte le ingiustizie politiche della terra, sceglie di occuparsi soltanto della situazione israeliana, distogliendo lo sguardo da cruente dittature criminali e diritti umani violati in giro per il mondo, può facilmente essere accusato di pregiudiziale visione antisemita. Non è difficile capirlo.
Dario Calimani
L'IHRA in sala d'attesa
L'anno 2019 si è chiuso senza che la definizione IHRA di antisemitismo sia stata accolta dal governo italiano, malgrado:
- il voto del Parlamento europeo;
- il voto della Camera dei Deputati italiana;
- la congerie di Stati europei che l'hanno adottata.
Giunti al momento di pronunciarci, tendiamo a svicolare. Eppure, è una definizione non vincolante e non necessita di modifiche normative, perché estranea ad ogni 'Tatbestand'. Se adottata, si eviterebbero motivi di tensione di cui la società italiana non sente il bisogno. 
Emanuele Calò
Leggi
Anni Venti, analogie e diversità
Benvenuti nel 2020. Un’interessante intervista a Michael Waltzer comparsa il 2 gennaio su Repubblica (“Così torniamo agli anni Venti dei fascismi”, di Anna Lombardi) ci porta nel vivo di un dilemma sul nostro futuro: siamo destinati a calcare le orme del secolo passato e a trascinarci nel corso del decennio verso il baratro dei regimi autoritari, della sconfitta dei diritti democratici, di nuove guerre all’orizzonte? Il politologo ebreo americano nota analogie di fondo tra le situazioni successive al primo conflitto mondiale e quelle attuali: lo stesso populismo nazionalistico che animava il fascismo sociale, la stessa inquietudine nell’affrontare i grandi cambiamenti. Credo che sia possibile andare oltre e cogliere altre non meno visibili similitudini tra i due periodi.
David Sorani
Leggi
Twitter
Facebook
Website