Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      10 Gennaio 2020 - 13 Tevet 5780
GLI ESPERTI ISRAELIANI SULL'UCCISIONE DEL GENERALE IRANIANO

"Iran attaccherà ancora in nome di Soleimani
ma sarà cauto ed eviterà Israele"

I toni del confronto tra Stati Uniti e Iran sembrano essersi attenuati dopo una settimana ad altissima tensione. L’eliminazione ordinata dal presidente Usa Donald Trump del generale iraniano Qasem Soleimani – responsabile di attacchi contro Stati Uniti e Israele e simbolo della politica aggressiva in Medio Oriente del regime iraniano – ha generato timori e preoccupazioni in tutto il mondo per le eventuali ritorsioni di Teheran sugli americani e i loro alleati. Diversi media italiani e internazionali hanno parlato del pericolo di un nuovo conflitto mondiale. In Israele invece la notizia è stata accolta, seppur con evidente sorpresa, con meno affanno. “Noi siamo abituati alla guerra e a razionalizzare subito gli eventi. L’Iran ha perso una pedina strategica con Soleimani e ha minacciato di vendicarsi. È normale. Non credo però che, nonostante le dichiarazioni, colpirà Israele. Per loro sarebbe troppo pericoloso attaccarci. – spiega a Pagine Ebraiche Yoram Schweitzer, esperto di terrorismo internazionale e già consulente dell’ufficio del Primo ministro israeliano in materia di sicurezza – È molto difficile che si lancino in un confronto diretto e lo dimostra l’attacco contro le basi americane in Iraq pochi giorni dopo l’uccisione di Soleimani: il regime iraniano aveva bisogno di mostrare al suo popolo una reazione muscolare. C’è stata ma è sembrata simbolica: nell’attacco, di cui forse gli americani erano stati preallertati, non ci sono state vittime. Una previsione ragionata mi porta a dire che l’Iran proseguirà su questa strada”. Per Schweitzer come per altri analisti israeliani l’Iran continuerà la sua politica di espansione in Medio Oriente anche senza Soleimani e userà i suoi sodali in Iraq, Siria, Yemen per colpire gli americani. Ma in questo quadro di ritorsioni farà attenzione a evitare il confronto diretto con Israele. “Non credo che gli iraniani, in questa fase, vogliano lanciare missili contro Israele ed espandere il conflitto a livello globale”, spiegava in un’intervista alla televisione israeliana Sima Shine, già capo divisione Ricerca del Mossad e oggi analista dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale di Tel Aviv (INSS – di cui fa parte anche Schweitzer). Per Shine ogni discorso su un “inevitabile conflitto deve essere in qualche modo attenuato”, seppur l’Iran possa portare minacce a Israele attraverso il gruppo terroristico Hezbollah in Libano e le milizie sciite in Siria. A voler attenuare il piano dello scontro, almeno a livello di discorsi pubblici, anche il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il capo del governo di Gerusalemme ha pubblicamente elogiato la decisione di Trump di eliminare Soleimani ma, riferiscono i media, ha detto privatamente ai membri del suo esecutivo che l’uccisione “non è da considerare un evento israeliano, ma un evento americano”. “Noi non siamo stati coinvolti e non dovremmo essere trascinati in questa vicenda”. Considerazioni ribadite in settimana dal capo del comando meridionale dell’esercito israeliano Herzi Halevi. “L’uccisione di Soleimani ha ramificazioni anche per noi israeliani, e dobbiamo seguirlo da vicino, ma non siamo noi la storia principale qui – ed è un bene che sia successo lontano da noi”, ha affermato Halevi. Un evento lontano ma dagli effetti molto vicini: “Soleimani è da considerare come l’hub delle operazioni del regime di Teheran in tutto il Medio Oriente, dallo Yemen alla Siria. Era un uomo intelligente, feroce ed era diventato sempre più arrogante – spiega Schweitzer – Nessuno si è stupito della sua uccisione. Aveva continuamente provocato gli americani ed era responsabile della morte di migliaia di persone. Si era fatto molti nemici ed è stato eliminato”. Soleimani aveva 62 anni e dal 1998 era il capo delle forze Quds, corpo speciale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane incaricato di compiere operazioni all’estero. In un lungo articolo sul New Yorker a firma di Dexter Filkins del 2013 – quando ancora Soleimani non aveva molta visibilità mediatica – veniva definito l’uomo “che sta rimodellando il Medio Oriente”. Vicinissimo alla guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, il generale aveva costruito ramificazioni in diversi paesi mediorientali e gestito attacchi contro Israele e Stati Uniti su più fronti. “Soleimani ha preso il comando delle Forze Quds quindici anni fa, – scrive Filkins nel 2013 – e in quel periodo ha cercato di rimodellare il Medio Oriente a favore dell’Iran, lavorando come intermediario di potere e come forza militare: assassinando rivali, armando alleati e, per la maggior parte del decennio, dirigendo una rete di gruppi militanti che hanno ucciso centinaia di americani in Iraq. Il Dipartimento del Tesoro statunitense ha sanzionato Soleimani per il suo ruolo di sostegno al regime di Assad e per aver favorito il terrorismo. Eppure è rimasto per lo più invisibile al mondo esterno, anche mentre dirigeva milizie e operazioni”. Il suo potere non ha fatto che crescere negli ultimi sei anni ma anche la sua arroganza, afferma Schweitzer, e alla fine il Presidente Usa Donald Trump ha deciso per l’opzione più estrema ma giustificata, l’uccisione mirata. “La macchina iraniana, in politica estera, ora ci metterà del tempo a riassettarsi: quando elimini un elemento così centrale, tutte le operazioni hanno battute d’arresto ma questo non vuol dire che l’Iran si fermerà. Hanno perso un uomo chiave ma comunque avevano subito pronto un sostituto. Il loro obiettivo è quello di allontanare gli Stati Uniti dall’Iraq e non è detto che l’uccisione di Soleimani non venga sfruttata in questa direzione”. Per l’analista israeliano non è probabile che Teheran attacchi turisti americani in giro per il mondo ma è più probabile che colpisca basi militari Usa per avere un conflitto a bassa intensità e cercare di mantenere i rapporti con l’Europa. “Mi sento di escludere attacchi in Europa, sarebbe controproducente per l’Iran”. Sul fronte israeliano Schweitzer spiega che le dichiarazioni del Capo di Stato maggiore Aviv Kochavi di due settimane fa – “C’è la possibilità di un confronto limitato con l’Iran e ci stiamo preparando per questo” – non è allarmismo ma un messaggio alla società israeliana sul fatto che il regime degli Ayatollah costituisca un pericolo concreto. “Da noi c’è un detto: chi vuole la pace si prepari alla guerra. È questo era il messaggio di Kochavi”. “Se guardo i nostri confini – aggiunge – non vedo al momento un pericolo immediato da parte di Hezbollah o della Jihad islamica a Gaza”. Sui negoziati tra Israele e Hamas, il gruppo terroristico che controlla Gaza, l’esperto afferma che bisogna vedere quanto i palestinesi siano seri nelle loro affermazioni. “Non so a che punto siano ma di certo la visita del leader di Hamas (Hanyeh) a Teheran per i funerali di Soleimani non cambia la situazione. I negoziati non ne verranno intaccati. È una questione di pragmatismo”.

Daniel Reichel

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MEMORIA 

Firenze, 24 pietre per non dimenticare

Il progetto delle Pietre d’inciampo fortemente voluto dalla Comunità ebraica di Firenze e dal Comune prende vita dopo la delibera comunale il 9 aprile scorso. La presidente Daniela Misul, recentemente scomparsa, dichiarava: “Sono molto orgogliosa di questa iniziativa a cui come Comunità stavamo lavorando da molti anni, durante i quali abbiamo visto in molte città della Toscana comparire pietre d’inciampo in memoria di chi non è più tornato dai campi di sterminio nazisti. Per Firenze, da dove sono partite più di 300 persone che non hanno mai più fatto ritorno a casa, era un diritto-dovere fare altrettanto. Numerose sono state le famiglie che ci hanno chiesto che la città custodisse la memoria dei loro cari. L’apposizione delle pietre d’inciampo è il giusto traguardo, dopo un grande lavoro, per preservare il ricordo dei nostri concittadini”. 

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MEMORIA 

Bologna fissa il ricordo

“Sono sempre inorridito ogni volta che incido i nomi, lettera dopo lettera. Ma questo fa parte del progetto, perché così ricordo a me stesso che dietro quel nome c’è un singolo individuo. Si parla di bambini, di uomini, di donne che erano vicini di casa, compagni di scuola, amici e colleghi. E ogni nome evoca per me un’immagine. Vado nel luogo, nella strada, davanti alla casa dove la persona viveva. L’installazione di ogni Stolpersteine è un processo doloroso ma anche positivo perché rappresenta un ritorno a casa, almeno della memoria di qualcuno”. Lo ricorda Gunter Demnig, che dopo Firenze ha oggi fatto tappa a Bologna. Quindici le pietre d’inciampo installate nel capoluogo emiliano, in ricordo di altrettante vittime del nazifascismo.

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IL FESTIVAL VIKTOR ULLMANN A VENEZIA 

Arte e parole per la Memoria

Nuovo appuntamento per il Festival Viktor Ullmann ideato dall’artista triestino Davide Casali con l’obiettivo di valorizzare la musica concentrazionaria, artisti vittime di persecuzione nazifascista, note di ricordo e Memoria. La sede è quella della Sala Montefiore in ghetto vecchio, nel cuore della Venezia ebraica, dove questa domenica alle 18.30 si esibirà l’Orchestra filarmonica del Veneto diretta dallo stesso Casali. Nel programma del concerto, ad accesso libero, opere tra gli altri di Marc Lavry, Vito Levi, Karl Weigl, Hendrik Andriessen e Jerome Margolis.

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27 gennaio
Prende avvio un mese colmo di impegni legati al giorno della memoria, fissato per legge al 27 gennaio e in vigore da vent’anni. Incontri pubblici, mostre, documenti filmati, testimonianze, dibattiti. Sorge una domanda, ripetuta qua e là in forma più o meno esplicita: è proprio necessario un mese (e oltre) di manifestazioni? Non è sufficiente un giorno, come altri che sono stati fissati per portare all’attenzione dei nostri contemporanei diversi eventi storici cruciali quali la lotta al terrorismo, quella alle mafie, o le stragi delle foibe?
Gadi Luzzatto Voghera
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Senza una pausa
"E visse Giacobbe nella terra d'Egitto..." (bereshit 47;28)
Fanno notare i nostri Maestri che sul sefer Torah, la parashà di vaichì è unita alla fine della parashà che la precede, senza alcuno spazio di pausa.
Il motivo sarebbe, secondo alcune interpretazioni, che la vita di Giacobbe - Israel è stata vissuta tutta in modo affannoso, senza alcuna pausa, senza un attimo di riposo.
Rav Alberto Sermoneta
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Il tarlo utile
Politici, intellettuali, scrittori, cantautori, registi, compagni di classe, amici, amici di amici, insegnanti, colleghi. È lunghissima la lista di quelli che stimavamo, amavamo, ammiravamo, ci stavano davvero simpatici, e a un certo punto ci hanno deluso per una frase, una battuta, una presa di posizione sugli ebrei o su Israele che improvvisamente ce li ha mostrati in una luce completamente diversa. A volte il nostro amore è sfumato di colpo; altre volte abbiamo cercato di ignorare quella macchia, di dimenticarla, o abbiamo cercato argomenti (non sempre infondati) che ci aiutassero a ridimensionarla; il più delle volte si è insinuato nella nostra testa un piccolo tarlo, che lentamente ma inesorabilmente ha intaccato la nostra stima.
Anna Segre
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Medio Oriente e ignoranza
Non pochi hanno pensato in questi giorni che dietro l'uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani ci fosse non tanto Donald Trump, ma piuttosto lo Stato di Israele. Su Radio3 per esempio, durante il programma “Prima Pagina”, alcuni ascoltatori hanno accusato duramente di essere “filoisraeliana” Francesca Paci, giornalista della Stampa ed ex corrispondente da Gerusalemme, solo per aver fatto presente che non ci sarebbe alcun coinvolgimento di Israele in questa azione militare. Nella forte polarizzazione e nella comune ignoranza di molti italiani tutto ciò che accade in Medio Oriente sarebbe strettamente correlato alla presenza nella regione dello stato israeliano.
Francesco Moises Bassano
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