LA PRESIDENTE UCEI IN VISITA ALLA MOSTRA SUL CASO SIMONINO DA TRENTO
"Ebrei e cristiani, stagione ricca di frutti.
Dialogo una prospettiva da alimentare”
“Per secoli il culto del Simonino è stato propagatore di odio e della più bieca violenza antisemita. Non solo a Trento, non solo in Italia, ma in tutta Europa. Una vicenda assurta a simbolo di un certo tipo di antigiudaismo di matrice cattolica causa di molti lutti e sofferenze e con cui la Chiesa ha accettato, solo in tempi recenti, di confrontarsi. Questa visita vuol essere anche un riconoscimento di questo percorso, foriero oggi di una nuova stagione di incontro e reciproca comprensione che nasce anche nel segno dei principi sanciti nella dichiarazione Nostra Aetate”.
Lo afferma la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, oggi in visita alla mostra “L’invenzione del colpevole. Il ‘caso’ di Simonino da Trento, dalla propaganda alla storia” allestita presso il Museo Diocesano Tridentino di Trento. Al centro dell’allestimento la vicenda del Simonino, dichiarato vittima di un omicidio rituale ebraico e venerato per secoli come martire innocente.
Una “fake news” e una macchina da propaganda basata su pregiudizi antichi con la quale il mondo cattolico ha fatto solo da poco i conti, intraprendendo un percorso di revisione e ammissione di responsabilità. Accanto alla presidente Di Segni l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Oren David, e la presidente della Comunità ebraica di Merano Elisabetta Rossi Borenstein. La visita a Trento si è svolta su invito del presidente della sezione trentina dell’associazione Italia-Israele Marcello Malfer. A precedere l’approfondimento della mostra, curata da Domenica Primerano con Domizio Cattoi, Lorenza Liandru e Valentina Perini e la collaborazione di Emanuele Curzel e Aldo Galli, un incontro col sindaco Alessandro Andreatta e con il vescovo emerito Luigi Bressan.
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PAGINE EBRAICHE FEBBRAIO 2020 - L'ARCHIVIO DELL'ARTISTA EVA FISCHER
Lo sport a colori, tra Cagli e Levi
Lo sport è anzitutto la lotta che una persona fa con e contro se stessa. Ognuno ne esce vincitore, perché dopo ogni traguardo raggiunto ce ne è uno successivo. Incessantemente lo sportivo si mette alla prova, si conquista, si perfeziona. Così è anche il mondo della cultura.
Eva Fischer era del 1920 e i colori congeniti trasmessi poi nei suoi tanti figli, i suoi quadri, compiono quest’anno il loro primo secolo. Per questo motivo ABEF, l’archivio Baumann e Fischer che si sta creando da alcuni anni, frugando in ogni sorta di memoria presente e passata ereditata non soltanto mentalmente, festeggerà con varie iniziative “EuropEva 192020”. Questo progetto vuole ripercorrere il percorso trascorso da Eva durante la sua vita fisica, attraverso molti stati non soltanto europei. Ad ognuno, attraverso l’egida delle proprie ambasciate, verrà chiesto di esporre delle sue opere. Roma sarà il centro d’Europa attraverso i colori di Eva e il Vecchio Continente troverà la propria unità e il suo consolidamento artistico. Storia e memoria comune attraverso la pittura.
Eva è nata a Daruvar (oggi Croazia) da una famiglia ungherese, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Lione (Francia). Raggiunta la famiglia a Belgrado (oggi Serbia), è dovuta fuggire a causa dei nazisti e attraverso l’Albania ha raggiunto le truppe italiane che occupavano la parte adriatica della ex-Jugoslavia. Ottenne il permesso di lasciare il campo di detenzione dell’isola di Curzola per andare a Bologna dove far curare la madre malata. Lì si adoperò per la Resistenza. A guerra finita decise di trasferirsi a Roma, dove ha incontrato le personalità artistiche del tempo. Per continuare le lunghe conversazioni ed affermarsi come donna in un mestiere prevalentemente al maschile, si è trasferita saltuariamente in Spagna (per incontrare Dalì e Picasso) e a Parigi (per l’amicizia con Chagall). Passò un lungo periodo anche a Londra, ma Roma – dove morì nel 2015 – è rimasta il suo punto d’arrivo e di partenza. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private in tutto il mondo. In vita ha esposto in più di 130 mostre personali, ottenendo successo e premi internazionali.
Alan Davìd Baumann, Pagine Ebraiche Febbraio 2020
(Nell'immagine in alto, il ritratto di un calciatore juventino immortalato da Carlo Levi e conservato nell'archivio di Eva Fischer)
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QUI ROMA
Anne Frank, dal teatro a scuola
Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1956, Il diario di Anne Frank rivisitato per il teatro da Frances Goodrich e Albert Hackett è tornato in scena in occasione dell’ultimo Giorno della Memoria, grazie all’iniziativa della Compagnia del Teatro Belli in collaborazione con la Compagnia Mauri Sturno.
La rappresentazione, che ha la regia di Carlo Emilio Lerici e ha ottenuto i patrocini di UCEI, Fondazione Museo della Shoah di Roma, Centro Ebraico Il Pitigliani e Associazione Progetto Memoria, ha visto tra il pubblico, in due diverse occasioni per il biennio e il triennio, anche gli alunni della scuola ebraica romana.
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DAL 31 MAGGIO AL 2 GIUGNO
Limmud Italia, appuntamento a Firenze
Entra nel vivo la macchina organizzativa di Limmud Italia, il progetto di studio collettivo giunto alla sua ottava edizione. Quest’anno la sede è quella di Firenze: si svolgerà da domenica 31 maggio a martedì 2 giugno e offrirà ai partecipanti, si annuncia, “un’opportunità unica di incontrare ebrei con i più diversi background, di partecipare a sessioni sui più vari argomenti, dalla cultura alla identità ebraica, in tre giorni di attività comune ed educazione a 360 gradi”. Nell’arco di tre giorni si svolgeranno a rotazione, nelle varie fasce orarie, decine di presentazioni, lezioni, workshop, musica, un tour in un importante sito culturale, uno spettacolo, pranzi e cene kasher in compagnia.
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Rassegna stampa
“La giustizia non è vendetta
ma riconciliazione sociale”
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Dieci comandamenti
Ho imparato molte cose ascoltando un adolescente di 13 anni al suo Bar mitzvah nella mia sinagoga. Riassumo alcune delle cose che ha detto. Nella scena dei dieci comandamenti contano tre cose. La prima è l’attesa ovvero la convinzione che senza un principio fondamentale non si dà comunità di destino; la seconda è la presa in carico di un protocollo di cose da credere e di cose da fare; la terza è che occorre sapere governare i sentimenti. I sentimenti che popolano quella scena sono essenzialmente due: il primo è nei 10 comandamenti ed è l’invidia. Il secondo è la paura che può generare odio, ma anche dare luogo al rispetto. Dipende se si ha il senso del proprio limite.
David Bidussa
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Parlateci delle fobie
Il valore della memoria non è quello di unire gli opposti ma di stabilire ambiti di reciprocità, condizioni di ascolto e, possibilmente, di comprensione. Molto di più non si può né si deve fare, trattandosi peraltro di un obiettivo di per sé già molto ambizioso, inscritto dentro l’idea di cittadinanza democratica. Una prevedibilissima perversione dei risultati è invece quando le memorie vengono messe in competizione tra di loro, non perché se ne compari similitudini e si identifichino differenze (la storia è sempre il racconto dell’unicità dei fatti) ma perché si spasimi per una sorta di omologazione. Qualcosa del tipo: poiché tutti, a modo loro, sono colpevoli di qualcosa (e carnefici di qualcun altro), allora le responsabilità specifiche si stemperano nella famosa notte, dove le vacche sono nere e quindi indistinguibili.
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