EMERGENZA CORONAVIRUS - LA RIFLESSIONE
Le brutte esperienze e gli insegnamenti positivi
Ripartiamo nel segno dello Shabbat

Da sempre la nostra Tradizione ci insegna che anche nei momenti più drammatici della nostra vita dovremmo cogliere delle opportunità sforzandoci di tirar fuori insegnamenti positivi anche dalle brutte esperienze. Questo Shabàt di reclusione nelle nostre case leggiamo nella Parasha di Ki Tissà come lo Shabàt costituisce per noi ebrei il più forte antidoto contro la perdita dell’identità. Lo si evince chiaramente dalla battuta d’arresto con cui la Torah (Shemòt, 31; 13-17) interrompe l’elencazione di tutti gli oggetti necessari al funzionamento del Santuario per ricordarci, ancora una volta, la “costruzione” dello Shabàt.
Proprio nel mezzo del progetto più entusiasmante e laborioso, quello dell’edificazione del Tempio, e immediatamente prima del fattaccio del vitello d’oro, la Torah ritiene necessario ricordarci che la costruzione del Santuario, dello Spazio, deve interrompersi quando inizia lo Shabàt, il Santuario del Tempo. La sospensione di ogni attività durante lo Shabàt serve ad insegnarci come nell’etica ebraica il fine non giustifica i mezzi, mai, e che persino nell’edificazione del Santuario, la Comunità non deve perdere il senso della propria direzione lasciandosi sopraffare dall’impeto e dalla smania di costruire. In un’epoca in cui tutto è monetizzatile e nella quale ci sembra di non riuscire più a interrompere perché ci sentiamo sempre in ritardo, il tempo manca, il tempo non c’è.
Non si riesce a raggiunge mai la propria mèta, che si rivela spesso fine a se stessa, come una forza che non si lascia più manovrare. Fare e costruire lo Shabàt non vuol dire solo trattenersi dal lavoro, ma anche trattenersi in sé, tornando a se stessi. Significa raccogliersi per lasciare spazio intorno a sé, prendendo quella distanza, dal consueto e dal quotidiano, che fa sì che tutto appaia in una nuova luce.
Affanno, ansia, desiderio di captazione, caratterizzano i rapporti con le persone e con i progetti e finiscono spesso per coprirli, per renderli inaccessibili e per farsi divorare da questi. Lo Shabàt è la pausa momentanea per ascoltare la nostra voce interiore, un’interruzione, per chiederci chi siamo e dove stiamo andando, nel timore che l’agitazione, le energie profuse, i conflitti intrapresi (che la maggior parte delle volte non hanno neppure un perché) non ci facciano dimenticare i valori che giustificano l’esistenza stessa di una Comunità ebraica e delle persone che la compongono.
Dicono i nostri saggi che se tutti gli ebrei osservassero interamente uno Shabat arriverebbe subito il Messia…Cerchiamo di cogliere questa grande opportunità!
Shabàt Shalòm
Rav Roberto Della Rocca, Direttore Area Formazione e Cultura
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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EMERGENZA CORONAVIRUS - L'INDAGINE SWG
"Paese favorevole a misure restrittive,
ma serve l'offerta di nuovi contenuti"

“Il paese è pronto e favorevole a misure più drastiche ma, una volta adottate, servirà implementare nuove soluzioni per chi rimane a casa. Altrimenti il sentimento più diffuso rischia di essere la rabbia”. È la lettura del direttore di ricerca di SWG Riccardo Grassi rispetto all’ultima indagine dell'autorevole istituto triestino che fotografa i sentimenti degli italiani di fronte all’emergenza coronavirus. All’ultimo decreto governativo, che blinda di fatto tutto il paese, la maggior parte degli italiani è arrivato con la sensazione che si stesse facendo abbastanza, anzi molti chiedevano misure ancor più restrittive. Il 39% degli intervistati da Swg tra il 4 e il 6 marzo alla domanda “Secondo lei, l’Italia sta prendendo tutte le misure necessarie per affrontare la diffusione dell’epidemia?”, ha risposto: “sì, ma si potrebbe fare di più”. La settimana precedente si era al 29%, il che fa capire come il paese si sia sempre più reso conto della gravità della situazione. Non è un caso se nello stesso rilevamento la percentuale di chi considerava le misure eccessive si sia considerevolmente ridotto, passando dal 22% al 14% (il 31 considerava le misure adottate sufficienti e il 16 non abbastanza). L’Italia dunque era in larga parte pronta all’inasprimento arrivato con il decreto annunciato ieri dal Presidente Conte (successivo al rilevamento di Swg). E ci arrivava con un’emozione prevalente: l’attesa. “Contrariamente a quanto si possa pensare non è la paura l’emozione predominante seppur sia cresciuta. Non è la rabbia, ferma sui dati medi. Ma c’è un tema importante di attesa e questo si riflette anche sui dati delle intenzioni di voto, fermi da settimane. Dopo la fase del grande spavento, dopo la minimizzazione, adesso entriamo in una fase (che non sappiamo quanto durerà) di normalizzazione. C’è meno emotività nelle istituzioni e anche il giudizio delle persone è sospeso. Ma - sottolinea Grassi - non lo rimarrà in eterno".
"Adesso, considerando che abbiamo davanti a noi almeno due mesi di gestione della situazione emergenziale, bene affrontare la questione economica, benissimo quella sanitaria, ok la riflessione sulla scuola però va ripensato anche come insegnare alle persone ad affrontare questo periodo. Il rischio che l’attesa, se non si danno risposte, si trasformi in rabbia è molto probabile”. L’esempio che porta Grassi è quello della nuova quotidianità di questi giorni di code per acquistare beni alimentari: “Se per comprare due cose al supermercato devi aspettare 30 minuti, è un attimo che la tua emozione rischia di trasformarsi in rabbia se manipolata”.
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EMERGENZA CORONAVIRUS - LA LEZIONE SUL CANALE UCEI
"Restiamo vicini, anche se siamo lontani"
“Lontano e vicino”. È la cifra e la sfida di queste giornate difficili. Cosa insegna al riguardo la Tradizione ebraica? Ad affrontare il tema, in una lezione tenuta in streaming sul canale Facebook UCEI, il rabbino capo di Genova e assessore al Culto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Giuseppe Momigliano.
“Quella che stiamo vivendo – ha ricordato il rav – è una situazione che ci pone di fronte ad eventi cui non siamo preparati. Una situazione del tutto capovolta rispetto alla normalità. Il nostro impegno, solitamente, è infatti finalizzato a incoraggiare, a far partecipare le persone. Oggi ci troviamo in una posizione in cui si deve richiedere e stabilire che non è possibile riunirsi. Per tutti noi rabbini è uno stato d’animo molto difficile”.
Cosa è vicinanza, cosa è lontananza? Il rav ha fatto molti esempi, ricordando tra le altre l’espressione “Avinu Malkenu” con cui ci si rivolge al Signore. Avinu, nostro padre, che lascia intendere un rapporto stretto tra uomo e Dio. Malkenu, nostro re, che ci fa percepire invece la trascendenza. Anche a distanza, ciascuno nel suo spazio, compartecipi di una medesima prova da affrontare, è possibile partecipare al benessere spirituale di tutti. “Anche una voce sussurrata, il Signore Iddio la ascolta” ha sottolineato rav Momigliano.
Sul canale Facebook UCEI la lezione del rav Momigliano e tutte le altre lezioni finora tenute in streaming, insieme alla programmazione costantemente aggiornata di nuovi interventi.
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Setirot - Tempo di mezzo
In molti, credo, ci auguriamo non soltanto che i cittadini si dimostrino responsabili e rispettino più che seriamente la richiesta dei medici di stare a casa e di osservare alla lettera le direttive delle istituzioni, ma che questo “tempo di mezzo” della guerra contro il Covid19 possa aiutarci a riflettere sul futuro. Quali saranno le sorti (purìm) del mondo e dei nostri nipoti e dei nipoti dei nostri nipoti? Dipende da noi, la lettura della meghillàt Estèr ce lo ha appena ricordato.
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Giobbe e Abramo

Secondo il midrash prima di ordinare l’infanticidio dei neonati ebrei il Faraone avrebbe consultato Balaam, Ietrò e Giobbe. Della morte del primo, favorevole allo sterminio, racconta la Torà. Il secondo, che si oppone al decreto e fugge, è premiato con l’inclusione dei suoi discendenti nel popolo ebraico. Giobbe invece prende tempo, non risponde, rimane neutrale e “questo silenzio gli costerà le sofferenze future”.
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Le discutibili virtù del nazionalismo
 Si è tentati di liquidare il libro dell’israeliano Yoram Hazony Le virtù del nazionalismo (Guerini e Associati, Milano, 2019) come il goffo tentativo di giustificare sul piano teorico scelte che hanno un preciso contenuto politico, come l’avversione all’Unione Europea e, in generale, a qualunque organizzazione sovranazionale. Ma poiché questo tentativo di elaborazione teorica è stato fatto, allora non ci si può sottrarre all’obbligo di entrare nel merito e di analizzarlo.
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Machshevet Israel - Fondane, mistico senza religione
 Tra i pensatori ebrei critici verso la modernità occorre annoverare, dopo Scholem e Strauss, anche Benjamin Fondane, il discepolo di Lev Šestov. Nato a Iaşi nel 1898, crebbe in una famiglia assimilata ma che aveva dato all’ebraismo della Romania un paio di importanti studiosi: uno storico e un riformatore scolastico.
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