PAGINE EBRAICHE DI APRILE - L'INTERVISTA A HILLEL FURSTENBERG
“Abel Prize, un premio per Israele"
“Beh, non me l’aspettavo proprio. Quando mi hanno telefonato non ero sicuro di aver capito quel che mi era stato appena detto. Ho dovuto farmi rispiegare per bene tutto. Non lo nascondo, è stata una grande emozione”.
Classe 1935, nato in Germania ma scappato appena in tempo dall’Europa in fiamme e sull’orlo del precipizio, formatosi negli Stati Uniti ma a Gerusalemme per scelta di vita da 55 anni, Hillel Furstenberg è il più grande matematico israeliano e uno dei più grandi matematici al mondo. A riconoscerlo è stata anche la commissione dell’Abel Prize, l’equivalente del Premio Nobel per questa disciplina, conferito dall’Accademia norvegese delle Scienze e delle Lettere, che nelle scorse settimane ha deciso di assegnargli il suo riconoscimento annuale. Ad essere premiato il determinante impatto che Furstenberg ha avuto, con i suoi studi, nel campo della matematica applicata.
Si era già nel pieno dell’emergenza sanitaria, con le restrizioni già da vari giorni in vigore anche in Israele. Un raggio di luce in tempi bui, quindi, festeggiato anche dal Presidente Reuven Rivlin in una telefonata che l’ha commosso. È una gioia avvertita anche in Italia e in particolare a Firenze dove vive la figlia Shulamit, punto di riferimento della Comunità ebraica e moglie dell’ex rabbino capo Joseph Levi.
Professor Furstenberg, intanto mazal tov. I media hanno rilanciato il video della telefonata che le ha fatto il Presidente Rivlin, complimentandosi per il successo ed esprimendole la gratitudine di tutto un Paese per questo nuovo traguardo. Cosa ha significato per lei quel momento?
È stato gratificante e un po’ anche toccante. Io non sono nato in qui, Israele è stata una scelta di libertà e consapevolezza. È una scelta che rifarei mille volte. Era la vita che volevo.
Lei nasce in Germania e i suoi primi ricordi si riferiscono a uno dei momenti più drammatici di quel periodo, la Notte dei Cristalli.
Sì, ero piccolissimo. Ma la mia memoria conserva nitida quella ferocia, i vetri infranti sotto casa. La paura e l’angoscia tangibili nella comunità ebraica. Grazie a un deposito nelle casse della Bank of England riuscimmo a farci accogliere in Inghilterra. È lì purtroppo che mio padre morì. Noi nel frattempo, due figli con madre, ci eravamo imbarcati su una delle ultime navi che attraversavano l’Atlantico. La nostra destinazione erano gli Stati Uniti. Cercavamo un nuovo inizio, lontano da guerra e persecuzioni.
Quando inizia ad appassionarsi alla matematica?
Sui banchi di scuola, durante le lezioni di geometria. Fu subito amore. La mia ambizione allora era comunque quella di fare il rabbino.
Non a caso la sua formazione passa anche dalla Yeshiva University, dove consegue la laurea.
Sì, l’idea era questa. È diventata una professione cammin facendo. Con una nuova consapevolezza che si è fatta strada: è possibile conciliare in modo armonico matematica ed ebraismo. Si pensi ad esempio al Talmud e alla sua catena delle possibilità. Una struttura complessa all’interno della quale ci si addentra più facilmente con una predisposizione e un percorso di studi di un certo tipo.
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LO SPECIALE UCEI NEL GIORNO DELL'ANNIVERSARIO
“Insurrezione del Ghetto di Varsavia,
simbolo che parla al nostro presente"
Il 19 aprile di 77 anni fa, prima sera di Pesach, prendeva avvio l’insurrezione del Ghetto di Varsavia. Una vicenda che l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha oggi ricordato con una speciale programmazione sul proprio canale Facebook, realizzata in collaborazione con l’ambasciata di Polonia a Roma.
Memoria dell’insurrezione armata, paradigma universale di libertà. E memoria di una resistenza avvenuta anche attraverso le parole, raccolte nell’archivio lasciatoci da Emanuel Ringelblum. A interrogarsi sul valore e sul significato di questa esperienza sono state la Presidente UCEI Noemi Di Segni e l’ambasciatrice polacca Anna Maria Anders con il contributo degli storici Andrea Bienati e Dario Teitelbaum, del giornalista Wlodek Goldkorn e dell’attore Olek Mincer.
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IL VIDEOPILPUL DELLA REDAZIONE UCEI
Coronavirus, da Israele e Germania
la risposta più efficace alla crisi
Israele è il paese più sicuro dove vivere in questo momento di emergenza sanitaria. In seconda posizione la Germania. È quanto afferma un recente studio internazionale che mette a confronto diversi paesi del mondo e il loro grado di sicurezza rispetto alla gestione della crisi del coronavirus. Nell’ultimo video pilpul – l’approfondimento curato dalla redazione di Pagine Ebraiche – presentiamo un’analisi di questo report, spunto per ulteriori riflessioni sul sistema sanitario d’Israele, sulle azioni intraprese dalla Germania e sul confronto con l’Italia.
Il Deep Knowledge Group, l’istituto che ha curato il report, ha intrecciato diversi dati di pubblico dominio, dalle misure applicate per l’isolamento al numeri di letti disponibili negli ospedali o di ventilatori, e stilato una graduatoria divisa in diverse sezioni (efficacia della quarantena, monitoraggio del contagio, efficienza della gestione da parte del governo, preparazione a rispondere all’emergenza), attribuendo attraverso un algoritmo un punteggio ai paesi per ciascuna di queste. Israele emerge così, almeno secondo questa indagine, come il modello da seguire in questa crisi pandemica, seguito dalla Germania mentre l’Italia viene evidenziata come la nazione più pericolosa.
Il governo di Gerusalemme ha rilanciato questo mentre i media israeliani lo hanno preso come spunto per interrogarsi sui punti di forza e quelli di debolezza del proprio sistema sanitario. Il paese ha reagito prontamente, spiegano gli esperti, con la chiusura dei propri confini e l’autoisolamento anticipato rispetto a molte altre nazioni. La preparazione alla emergenze di un’Israele abituata ai conflitti ha permesso poi di applicare misure eccezionali (come la previsione di dividere gli ospedali in strutture con solo pazienti covid-19 e altre senza) con tempistiche brevissime. Non mancano però le critiche.
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L'ULTIMA INDAGINE DI SWG ANALIZZATA NEL VIDEOPILPUL DI QUESTA SERA
Coronavirus, per un italiano su due
sarà una lunga convivenza
I giorni alle spalle sono stati decisivi nella ridefinizione dei tempi della crisi e delle modalità che ci accompagneranno alla sua conclusione. Un italiano su due in particolare ritiene che la situazione d’emergenza durerà più di tre mesi (una settimana prima il dato era del 39%). Per il 65% degli intervistati, inoltre, il virus “non sarà debellato completamente e dovremo cambiare in maniera definitiva alcune delle nostre abitudini e comportamenti”.
Lo rivela l’ultimo radar dell’istituto di ricerca Swg, oggetto del pilpul curato dalla redazione che sarà trasmesso questa sera alle 22.30 sui canali social UCEI e Pagine Ebraiche. A guidarci nell’analisi dei nuovi dati il direttore di ricerca Riccardo Grassi.
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Rassegna stampa
Quirinale inquieto
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Una settimana importante
Entriamo in una settimana dove "esserci" sarà importante. Inizia domani, in occasione di Yom Ha-Shoah, e finirà il 25 aprile. Proveremo a fare un esercizio pubblico di memoria, dove sarà fondamentale la scelta del singolo individuo. Una comunità di individui dimostra che è comunità non perché ognuno dice una cosa, ma perché ognuno fa qualcosa, la stessa cosa, nello stesso momento.
David Bidussa
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Autoimmuni
C’è una comune esigenza, ovvero quella di fare uno sforzo da subito, senza continuare a derogare, fingendo altrimenti di potere ripetere la recita all’infinito. Si tratta di un esercizio di salute del linguaggio di senso comune che, oggi, è anche lingua della comunicazione mediatica. Risparmiamoci le retoriche ripetitive, ossessive, quasi degli osceni conati, sugli "angeli", gli "eroi", addirittura i "martiri". Insieme alla dolce menzogna per cui il nostro sarebbe "il paese più bello del mondo" (sentito poco fa in una pubblicità mandata in onda ossessivamente).
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In ricordo di Simha Rotem
Simcha (Szymon) Rathaizer (Varsavia, 1924 - Gerusalemme, 2018), noto come Kazik nella Resistenza e poi come Simha Rotem, ebbe un ruolo di primo piano nella rivolta del Ghetto dell’aprile del 1943.
Dopo la caduta del Ghetto, Rotem aveva organizzato la fuga degli ultimi combattenti sopravvissuti attraverso le fognature della città.
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L'Italia e il Covid
Abbiamo quasi perso l’ordine del tempo, come quando da studenti pre-maturità si trascorrevano all'incirca tre mesi di vacanze estive, e sempre che non si potesse puntare verso varie destinazioni, i giorni trascorrevano con una monotonia piacevole, priva di orari seri, tranne quelli dettati dalla natura.
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