ENRICO FINK ALLA PRESIDENZA DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI FIRENZE
"La nostra forza è l'apertura al confronto,
continueremo a lanciare stimoli importanti"
Il primo pensiero di Enrico Fink, quando nelle scorse ore ha accettato la guida della Comunità ebraica di Firenze, è andato al padre Guido. Noto critico letterario, cinematografico e teatrale, già direttore dell’Istituto italiano di cultura di Los Angeles e per un breve lasso di tempo, dal 2003 al 2004, anche presidente degli ebrei fiorentini.
“Due personalità molto diverse”, sottolinea il figlio a Pagine Ebraiche. “Lui, nato altrove, che con quel ruolo scopriva un pò Firenze e la sua Comunità. Io, al contrario, che questa realtà la vivo quotidianamente ormai da molti anni. C’è però un segno, una continuità. Cercherò, in questo impegno, di ispirarmi a quello che sarebbe stato il suo modo di pensare. Proverò ad essere, compatibilmente con il mio ruolo, un presidente un pò fuori dalle righe”.
Cinquantuno anni da poco compiuti, Fink è un artista di grande successo attivo nel campo della divulgazione della cultura, della musica e della tradizione ebraica. Già assessore alla Cultura della Comunità, è tra gli ideatori e il direttore artistico del Balagan Cafè. Un’esperienza a porte aperte che ha fatto del giardino della sinagoga un luogo d’incontro tra i più frequentati dai fiorentini. Un appuntamento fisso da molte estati, riproposto in piena sicurezza anche lo scorso mese di agosto.
Apertura, inclusività e confronto: parole chiave che, spiega il neo presidente, saranno la cifra di questo mandato. “La sfida non è solo nostra, ma globale. Costruire tutti insieme, identità e religioni diverse, il percorso di convivenza del nuovo millennio. A Firenze e in Toscana siamo senz’altro avvantaggiati, c’è un terreno fertile per portare avanti qualcosa di importante. E ciò, bisogna dirlo, è anche merito nostro. Dei tanti stimoli che siamo stati in grado di lanciare”. Nella capacità di vivere bene il rapporto con la città e con le sue molte anime c’è il segreto, aggiunge Fink, “per una vita comunitaria serena”. Un rapporto quindi stretto tra proiezione verso l’esterno e proiezione verso l’interno.
Fink succede a David Liscia, che era stato chiamato alla presidenza dopo la scomparsa, nell’agosto del 2019, di Daniela Misul (alla cui memoria è stato dedicato l’ultimo Balagan Cafè, incentrato sul tema del valore della differenza). Un anno di duro lavoro, ricco di sfide e situazioni complesse da gestire. A partire, naturalmente, dall’emergenza sanitaria.
Afferma Fink: “Il Covid c’è e non possiamo far finta che non ci sia. L’attenzione resterà quindi massima in ogni aspetto di vita e gestione comunitaria. Allo stesso tempo dobbiamo avere la forza di ragionare come se il Covid non esistesse. Di pensare e immaginare anche il dopo”.
Nella recente tornata elettorale Fink è stato il più votato tra gli undici candidati al Consiglio. Come ha ricordato in apertura di riunione il presidente uscente, la prassi è che la presidenza sia offerta a chi ha ricevuto il maggior numero di preferenze. Fink si è detto pronto, “confidando nel supporto e nell’aiuto di tutti”.
Come vicepresidente ha poi scelto Brett Lalonde, mentre terzo membro di Giunta sarà Daniele Coen. In Consiglio, oltre all’ex presidente Liscia, anche Barbara Giannozzi, Lamberto Corcos Piperno, Silvia Guetta, David Palterer e Giorgio De Polo.
Era presente alla riunione anche il rabbino capo rav Gadi Piperno, intervenuto con un messaggio augurale al nuovo Consiglio.
(Nell’immagine in alto Enrico Fink, il nuovo presidente della Comunità ebraica di Firenze; in basso il padre Guido, recentemente scomparso)
Perché la “start-up nation” non ha infrastrutture di avanguardia? Come mai è lontana dai primi posti mondiali perfino nelle telecomunicazioni o in internet nonostante abbia il più alto numero di brevetti pro-capite al mondo? Spesso chi non conosce o conosce poco Israele si meraviglia di questa contraddizione, che è invece esperienza quotidiana da chi ci vive. Possiamo tentare una risposta usando una nota frase di Edison.
Il 29 ottobre 1920 usciva nei cinema di Berlino “Der Golem”, diretto da Carl Boese e Paul Wegener. Ieri su Rai Radio 3 (ascoltabile su podcast) è andata in onda un’interessante trasmissione curata da Francesco Fiorentino che ne racconta la genesi leggendaria nella Praga ebraica del Cinquecento. Il Golem è diventato un mito affascinante e interpretato in diverse fogge. Un automa, estremo difensore della comunità ebraica, ma anche una macchina che sfugge al controllo dell’uomo divenendo pericolosa. Una metafora che – non sfuggirà ai più – ha molto a che fare con il nostro presente.
Ci sono voluti davvero pochissimi giorni perché il sentimento di una presunta offesa alla propria religione si trasformasse nella testa di qualcuno in odio violento contro i fedeli di un’altra religione. Questo dimostra una volta di più quanto illusorie e inconsistenti sarebbero le distinzioni e le pretese di stabilire gerarchie e priorità tra un valore e l’altro.
“Vattene per il tuo bene dalla tua nazione, dal paese della tua nascita, dalla casa di tuo padre verso la terra che ti indicherò”. C’è da notare l’esposizione delle tappe di uscita di Abramo; si fa notare che cronologicamente si esce prima di casa, poi dalla propria città e infine si lascia la propria patria.
Persino Borat ha trovato gli Stati Uniti tanto cambiati in pochi anni, o meglio, come dimostra il primo film del 2006, la “profonda” America aveva già in sé quei presupposti per portare alla vittoria di Donald Trump.