Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   11 Settembre 2022 - 15 Elul 5782

L'ANNIVERSARIO DELL'ATTENTATO AL CDEC

Milano, la bomba in via Eupili
e l’atmosfera tossica del 1982

“La Comunità israelitica di Milano esprime la propria indignazione per il grave attentato intimidatorio antisemita contro la propria sede questa notte 30 settembre e attende che venga fatto ogni sforzo per individuare gli autori materiali. Non si può non sottolineare la responsabilità morale di quanti da mesi negli ambienti più disparati, politici, sindacali, culturali, religiosi, giornalistici, stanno coscientemente o incoscientemente alimentando un clima di antisemitismo in Italia”. Con questo comunicato quarant’anni fa la Comunità ebraica di Milano condannò l’attentato che la colpì nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1982. Un ordigno era esploso davanti a una delle palazzine di via Eupili, che ospitava allora la sede comunitaria, una sinagoga e il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Cdec. Nella nota della dirigenza dell’ebraismo milanese si denunciava come quell’episodio, che provocò fortunatamente soli danni materiali, non fosse da sottovalutare. E rientrasse in un clima di odio e violenza contro il mondo ebraico fomentato dalla retorica sulla guerra del Libano, iniziata il 6 giugno con l’operazione israeliana Operazione Pace in Galilea.
Oggi poco si ricorda della vicenda milanese, inevitabilmente superata dal tragico attacco del Tempio Maggiore di Roma di pochi giorni successivo – 9 ottobre 1982 -, ma con l’avvicinarsi dell’anniversario vale la pena ripercorrere quegli eventi e l’atmosfera che si respirava all’epoca.
A posizionare l’ordigno a Milano fu un gruppo di estrema sinistra fuoriuscito da Prima Linea: i “Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria”, Colp. La maggior parte dei responsabili dell’attentato fu arrestato due mesi dopo. Il Corriere del 8 dicembre del 1982, raccontandone i profili, li definì un gruppo di “insospettabili”: a compiere materialmente il gesto erano stati quattro studenti ventitreenni. Avevano posizionato la bomba davanti a uno degli ingressi. L’esplosione – come raccontano le foto del Cdec – aprì un cratere di trenta centimetri, distrusse il portone d’ingresso, rovesciò mobili e mandò in frantumo i vetri delle finestre. L’indomani, oltre alla polizia e ai giornalisti, tra i primi ad arrivare ci fu lo storico Michele Sarfatti, che allora lavorava come archivista del Cdec. “Ricordo tutti questi frantumi di vetro finiti sulle carte d’archivio. E all’epoca collegai l’atto a un articolo che avevo letto sulle pagine milanesi di Repubblica che aveva presentato il Cdec in modo vago come centro culturale dell’ambasciata di Israele o dello Stato d’Israele. E quindi lo presi come un attentato anti-israeliano più che antiebraico. Per quanto io sia consapevole del fatto che si possa separare le due cose solo fino a un certo punto”. Nel processo, ricorda ancora Sarfatti, direttore del Cdec dal 2002 al 2016, venne fuori che il gruppo terroristico cercò di usare quell’attacco come “proprio biglietto da visita per accreditarsi nelle correnti della sinistra extraparlamentare”.

“Interpretammo quel gesto come un atto dimostrativo”, aggiunge il giurista Giorgio Sacerdoti, presidente della Fondazione Cdec. All’epoca era diventato da poco presidente della Comunità milanese e spiega di non essere convinto che il bersaglio fosse in modo specifico il Cdec. “In fondo in via Eupili in quel momento c’era anche la sede della Comunità”. E poi aggiunge di ricordare come fosse un periodo di grandi tensioni dovute al dibattito pubblico sulla guerra in Libano, con accuse e polemiche a Israele che diventavano accuse contro tutti gli ebrei. “Non immaginavamo che si sarebbero potute tradurre in violenza concreta”. Sacerdoti sottolinea come l’episodio avesse creato diversi timori tra gli ebrei milanesi, ma ricorda come quegli erano anni diversi. “Era una Milano in cui avevamo visto accadere di tutto per le strade: terrorismo rosso, terrorismo nero. C’era preoccupazione, ma lo consideravamo un episodio molto circoscritto. C’erano stati danni, ma solo alle cose e non sembrava diretto contro le persone, altrimenti perché far esplodere la bomba in piena notte? In ogni caso quell’episodio fu superato poi dagli eventi: pochi giorni dopo ci fu l’attentato palestinese alla sinagoga di Roma, il cui impatto fu invece dirompente”.

L’attacco terroristico nella capitale, in cui fu assassinato il piccolo Stefano Gaj Taché e in cui altre 37 persone rimasero ferite, costrinse al silenzio chi a lungo aveva attaccato con ferocia Israele e gli ebrei nel discorso pubblico. “Ricordo il silenzio e l’imbarazzo dopo mesi di polemiche, di scritte antisemite sui muri, di vignette vergognose, di editoriali inqualificabili”, racconta oggi Adriana Goldstaub. Nel 1982 era responsabile del settore antisemitismo del Cdec ed è la persona adatta a ricostruire il clima dell’epoca. Con lungimiranza produsse proprio alla vigilia dell’attentato di Roma un dossier intitolato “La guerra nel Libano e l’opinione pubblica italiana: confusione, distorsione, pregiudizio, antisemitismo (6 giugno – 8 ottobre)”. “Facemmo una selezione di articoli di giornali nazionali e locali, di appelli di organizzazioni, di vignette, di fotografie dei graffiti sparsi per la città. Nel dossier c’era quindi rappresentato un contesto sociale molto ampio ed emergeva chiaramente la connessione tra la distorsione dell’informazione da una parte e la riemersione dell’antisemitismo dall’altra. Essere contro Israele voleva dire molto spesso essere contro gli ebrei, con tutte le conseguenze del caso”.

(Nelle immagini dell'archivio della Fondazione Cdec, i danni della bomba esplosa in via Eupili la notte tra il 29 e il 30 settembre 1982 e le manifestazioni a Milano della Comunità dopo l'attentato del 9 ottobre a Roma)

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LA GIORNATA DELLA CULTURA EBRAICA IN TOSCANA

Ebraismo, futuro e rinnovamento

Da Firenze a Livorno, da Pisa a Siena: la Giornata Europea della Cultura Ebraica inizia dalla Toscana. “Rinnovamento: tante domande, tante risposte” il tema con cui si è aperta la Giornata a Firenze. Tra gli ospiti di un confronto su questo tema Sergio Della Pergola, professore emerito dell’Università ebraica di Gerusalemme; rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Educazione e Cultura UCEI; Sara Funaro, assessore ad Educazione, Welfare e Immigrazione del Comune; Silvia Guetta, docente dell’Università fiorentina; Andrea Luzzatto Voghera, tesoriere dell’Ugei; Raffaele Sabbadini, vicepresidente di Keshet Italia. Tra i temi affrontati nel dialogo con Giuseppe Burschtein la complessa definizione dell’identità ebraica, l’impegno educativo, quello per aggregare i giovani, il raggio d’azione del Tikkun Olam. E cioè il concetto ebraico di “riparazione del mondo”.
La Giornata è stata inaugurata dai saluti del presidente della Comunità Enrico Fink e dalla presentazione di una nuova mostra dedicata agli arredi rituali da parte della professoressa Dora Liscia. Nel pomeriggio spazio invece alla “rete” della Toscana ebraica, con interventi anche online da Siena (Miriam Camerini), Pisa (Giorgia Calò) e Firenze (Dario Calimani). Mentre da Livorno, in serata, Camerini proporrà un suo spettacolo sulla storia del Bund. Anche i libri protagonisti a Firenze: da “L’ebreo in bilico”, recente saggio su Memoria e antisemitismo opera di Calimani. Alla nuova edizione del Diario di Anna Frank presentata dal suo curatore Matteo Corradini. “Costruire il nuovo al riparo dall’antico” il tema sviluppato in una conferenza dal rav Della Rocca. Mentre a Pisa l’apertura è stata nel segno del nuovo libro di “Sonetti ebraici” di Piero Nissim.

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Un tempo nuovo
Chiddùsh è parola polisemica, che in ebraico è utilizzata con significati diversi come: rinnovamento, rigenerazione, ma anche scoperta (soprattutto in relazione a nuove interpretazioni).
Quella polisemia diventa opportunità per pensare le molte strade di un concetto, ma anche le sfide che quel concetto pone quando si tratta di riprendere le misure del proprio tempo (non è vero forse che questa è la sfida che aspetta il dopo-Covid?).
David Bidussa
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Accidia e risacca
Sono francamente poco credibili quei ripetuti richiami alle prossime elezioni laddove queste sono descritte come una sorta di redde rationem, un bivio tra democrazia e autocrazia. Alle porte del nostro Paese non ci sono le camicie nere e ancora meno quelle rosse (che poi, nella nostra tradizione nazionale, risponderebbero perlopiù al ricordo del garibaldinismo). Semmai, al posto dell’ordalia entrano in gioco altri fattori, assi più concreti e prosaici. Il primo di essi è l’estrema povertà di programmi e progetti, al netto delle invece numerose promesse. Nessuno ha un’idea plausibile sul da farsi.
Claudio Vercelli
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Trasmettere la Storia
Il mondo corre sempre più veloce. Spesso lo fa verso una nuova guerra, verso nuovi massacri, verso la propria implosione. È necessario trasmettere per imparare, affinché non succedano più cose del genere.
Alan Davìd Baumann
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