LE TESTIMONIANZE DEGLI EBREI UCRAINI
“Sinagoghe gremite per le solennità,
nonostante gli allarmi e i missili"
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Nonostante il conflitto e le difficoltà, diverse sinagoghe in Ucraina si sono riempite di fedeli in questo periodo di celebrazioni da Rosh HaShanah a Kippur. “Abbiamo ricevuto in sinagoga centinaia di persone, compresi i rifugiati dalle città dove si svolgono i combattimenti” ha raccontato ai media israeliani rav Jonathan Markovitch, rabbino chabad di Kiev. “Nonostante la difficile situazione che regna nel Paese, gli ebrei non si sono arresi e sono venuti a pregare nel giorno più sacro dell’anno” ha aggiunto il rav, parlando all’indomani di Yom Kippur. Anche in realtà nel pieno del conflitto come Zaporizhzhia, la città della centrale nucleare e più volte bombardata, le sinagoghe non sono rimaste vuote. “Il Bet HaKnesset era pieno di fedeli. Gli allarmi antimissile e l’eco delle esplosioni non hanno impedito alle persone di venire” la testimonianza di rav Nachum Ehrentreu, emissario Chabad attivo localmente. Erano in circa duecento ad ascoltare lo Shofar a Rosh HaShanah a Kryvyj Rih, luogo d’origine del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Sapevamo che le persone sarebbero arrivate, ma il numero ci ha sorpreso ed emozionate”, racconta rav Liron Ederi. Nelle diverse interviste il quadro disegnato dalle voci delle comunità ebraiche ucraine è simile: si resiste, ma è difficile vedere una fine e fare progetti per il futuro. “Non sappiamo cosa ci aspetta in un altro anno, soprattutto qui in Ucraina. C’è la paura di un’altra ondata di attacchi a causa della mobilitazione russa, questa paura incombe su di noi. Questo senso di vuoto è tangibile, è così reale” dice ad Haaretz rav Mordechai Bald, rabbino capo a Leopoli. Persiste quindi la sensazione di un tempo sospeso, dell’incertezza descritta a Pagine Ebraiche dal rabbino capo di Odessa rav Avraham Wolff. Sul campo le notizie per Kiev sono incoraggianti, ma le costanti minacce del presidente russo Vladimir Putin, la sua decisione di annettere quattro regioni ucraine, lasciano presagire che lo scontro sarà ancora lungo. “La Russia ha mobilitato i soldati, ma noi ci prepariamo per le festività e facciamo quello che possiamo, inviando pacchetti di assistenza ai soldati ebrei e così via” spiegava alla Jta rav Moshe Azman, rabbino capo d’Ucraina (un titolo conteso). “Faremo di tutto – le sue parole – per portare un sorriso alla gente in questi tempi difficili”.
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ROMA EBRAICA
"Cultura a porte aperte, i miei 40 anni al Centro"
Si è da poco concluso il mandato di Miriam Haiun come direttrice del Centro di Cultura della Comunità ebraica di Roma. Dodici anni d’impegno in cui il Centro, ora diretto da Giorgia Calò, entrata in carica ad inizio settembre, ha lasciato un segno importante. Dentro e fuori la Comunità. Ma sono molti di più gli anni di lavoro che Haiun ha dedicato a questa realtà: oltre quaranta. Vi entrò infatti nel febbraio del 1982, dopo un’esperienza di studio a Gerusalemme, ottenendo la fiducia dell’allora direttrice Bice Migliau. Pochi mesi dopo la terribile prova, per tutta la Comunità, dell’attentato al Tempio Maggiore.
“La mia avventura al Centro inizia come borsista, con l’incarico di responsabile dei programmi. Un’esperienza subito stimolante, ma presto segnata da quel tragico giorno. Anche per noi del Centro le sollecitazioni furono molte. Ricordo in particolare l’attivazione di un gruppo pionieristico per andare nelle scuole e parlare di ebraismo, identità, Israele. Un bisogno emerso nelle settimane successive all’attentato”, racconta Haiun. Un obiettivo, da sempre, ha permeato la sua azione. La cultura come strumento “per aggregare” e mai “per dividere”. Prospettiva che, incalza Haiun, “è essenziale difendere”. È nel segno di questa consapevolezza che tante iniziative di successo hanno visto la luce. Mostre, incontri, conversazioni con gli autori. E tanti progetti destinati a diventare patrimonio vivo di una Comunità la cui storia peculiare risalta nell’intera Diaspora. Come “Memorie ebraiche”, banca dati online destinata alla raccolta, alla classificazione e alla diffusione dei percorsi di vita degli ebrei romani nati prima del 1940.
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SEGNALIBRO
Identità ebraica, domande e risposte
Come si può definire l’ebraismo? Un’etnia? Una fede religiosa? Una cultura?
Interrogativi cui si propone di rispondere un libretto di recente diffusione: “Domande frequenti nel ghetto di Venezia”. Pubblicato dall’editore Scalamata con finalità divulgative, si caratterizza per il pregio dell’immediatezza e della chiarezza. E per un riuscito connubio tra parola scritta e immagine. Allietano l’occhio, infatti, le illustrazioni dell’artista Michal Meron. Un colorato affresco che va al cuore di alcuni momenti salienti di identità e ritualità ebraico-veneziana.
“Ci sono molte curiosità che s’affollano intorno al ghetto e ne connotano la storia. Così come sono molte le domande che le persone pongono sulla cultura, la storia e la religione ebraica, e sulle cause dell’antisemitismo” riconosce Alon Baker, l’editore. Da qui l’idea di provare a offrire qualche risposta al pubblico.
Un libretto semplice ma prezioso. Come rileva Dario Calimani, il presidente della Comunità ebraica, è significativo che “questa piccola ma grande opera di Alon Baker e Michal Meron, tesa a sfatare errori e pregiudizi sul popolo ebraico e a spiegare piccole verità troppo spesso sconosciute perché date per scontate”, veda la luce a Venezia. E in particolare in quel ghetto “che per gli ebrei è stato luogo di segregazione e, al tempo stesso, luogo illuminato di vita e di cultura”.
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Diamo di più, amiamo di più
 I nostri saggi insegnano che: “Se si salva una vita, è come se si fosse salvato un mondo intero” (Sanhedrin 4:5). L’Onnipotente ha voluto che non ci fossero due persone uguali, né nell’aspetto né nel pensiero. La società è composta da individui unici, ognuno dei quali è un microcosmo sacro, un mondo a sé stante che merita la nostra ahavat chinam, il nostro amore e il nostro rispetto per il solo fatto di essere un essere umano. Mentre inauguriamo un nuovo anno, l’anniversario della creazione dell’umanità, riflettiamo sulle nostre relazioni con coloro che ci circondano; le nostre relazioni con le nostre famiglie, i nostri amici e le nostre comunità. Decidiamo di amare di più e di preoccuparci di più, di dare di più e di avere più cura di noi. Cerchiamo le virtù e il bene negli altri. Avvicinandoci all’altro, ci avviciniamo a Dio. Se fai amicizia con un altro, hai un amico in Dio.
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