La rubrica “Opinioni a confronto” raccoglie interventi di singoli autori ed è pubblicata a cura della redazione, sulla base delle linee guida indicate dall’editore e nell’ambito delle competenze della direzione giornalistica e della direzione editoriale.
È compito dell'UCEI incoraggiare la conoscenza delle realtà ebraiche e favorire un ampio ed equilibrato confronto sui diversi temi di interesse per l’ebraismo italiano: i commenti che appaiono in questa rubrica non possono in alcun modo essere intesi come una presa di posizione ufficiale dell’ebraismo italiano o dei suoi organi di rappresentanza, ma solo come la autonoma espressione del pensiero di chi li firma.
Periscopio - Le parole di Nembròt
A proposito dell’approccio di Dante nei confronti della lingua ebraica, ci siamo soffermati sulle criptiche parole inserite nel XXXI Canto dell’Inferno, nella profonda e tenebrosa fossa che separa le dieci bolge dei traditori di chi non si fida dalle quattro zone dei traditori di chi si fida: Raphèl maì amècche zabì almi (67). A pronunciarle è Nembròt, il mostruoso gigante che avrebbe ideato la costruzione della torre di Babele, simbolo di superbia punito da Dio con la confusione delle lingue. E lo stesso Virgilio, come abbiamo ricordato, spiega che il senso della frase non può essere capito, dal momento che Nembròt continua, anche nell’Inferno, a scontare la punizione del suo peccato: egli non può comprendere nessuna lingua con cui ci si rivolge a lui, e il suo linguaggio non può essere capito da nessuno.
Se, però, quelle parole non possono essere capite, ciò non vuol dire che non significhino nulla, ma solo che il loro senso non può essere compreso. Dante, quasi sette secoli prima che nascesse la semiotica – la scienza dei segni - già dà un esempio specifico, di alta suggestione poetica, della scissione tra significante e significato. E non a caso il grande Umberto Eco, uno dei massimi maestri del mondo di semiotica, ha fatto reiteratamente riferimento alla Commedia. Il segno, spiegò, è qualsiasi cosa che rimanda a un’altra cosa. È un segno l’impronta di un animale sulla terra, così come il poema sacro è un insieme di segni.
L’esigenza che ogni parola abbia un senso preciso (linguistico, ma anche morale e religioso), com’è noto, è costante e dominante nel poema, dove niente è lasciato al caso. Ogni significante rinvia a un preciso significato. E, quando non si capisce cosa Dante voglia dire, si tratta di una precisa scelta del poeta, che lancia una sorta di sfida al lettore (un concetto che fu sottolineato da mio padre, Bruno Lucrezi).
Nel verso in questione, il senso non si capisce, ed è chiaramente spiegato il motivo per cui ciò accade. Tuttavia, nonostante le chiare parole di Virgilio, che sembrano invitare a non perdere tempo a decifrare le parole di Nembròt, il cui messaggio deve restare sigillato, la critica dantesca, inevitabilmente, si è, da sempre, impegnata a sciogliere l’enigma, cercando di svelare l’arcano. E un notevole numero di esegeti (non tutti), in particolare, ha affrontato tale lavoro partendo dal presupposto che le parole del gigante siano parole ebraiche, dal momento che era l’ebraico (anzi, per la precisione, come abbiamo chiarito le scorse puntate: la lingua che poi sarebbe rimasta del solo popolo ebraico, e che perciò sarebbe poi stata chiamata così): l’idioma primigenio dell’umanità, da Adamo alla torre di Babele, e quindi anche l’idioma parlato da Nembròt.
Un ebraico che non si può capire, dunque, ma sul cui significato nascosto sono state comunque – nonostante l’ammonimento di Virgilio – avanzate diverse ipotesi. Esse sono state formulate, in genere, modificando in parte o integrando le parole del verso 67, sulla base della convinzione che Dante abbia volutamente “scompaginato la carte”, dando dei segni al lettore, ma dei segni confusi, ingannevoli, così come la Torre di Babele avrebbe generato confusione e inganno.
Ho studiato l’ebraico, ma - avendo intrapreso tale studio in età già alquanto avanzata -, purtroppo, con scarsi risultati, per cui non mi sento di giudicare la verosimiglianza dei diversi tentativi di interpretazione del verso misterioso che sono stati avanzati. Mi limito a ricordare alcune di queste proposte: “Lascia, o Dio! Perché annientare la mia potenza nel mio mondo?” (Servi); “Giganti! Che è questo? Gente lambisce, tocca, la dimora santa” (Chiavacci Leonardi); “Giganti, che? Gente che rasenta l’abitacolo segreto della bellezza” (Guerri). Queste ipotesi sono frutto, come è stato detto, di “ingegnosa erudizione”, ma anche “dei piaceri per così dire ‘sportivi’” che versi come questi offrono ai lettori (Mattalia).
Foscolo condannò tali inutili sforzi, attribuendo ai “dottissimi che professano di fare da traduttori” di Nembròt la sua stessa superbia, e sentenziando che essi meriterebbero, addirittura, la sua stessa pena.
Io non condividerei tanta severità. È vero che “i dottissimi” disobbediscono, in un certo senso, a Virgilio, ma credo che lo stesso Dante lo desiderasse, e si compiacesse, probabilmente, di immaginare in quanti sarebbero caduti nella sua ‘trappola’, e come ne sarebbero usciti. E poi, la voce di Virgilio non è una voce divina, e a Dante, spesso, piace la disobbedienza. Tante volte disubbidì ai potenti del suo tempo, a partire dalla stessa Chiesa.
Io, però – soprattutto per la mia scarsa competenza linguistica -, ubbidisco, non mi azzardo a proporre improbabili ‘traduzioni’, e concludo la mia riflessione con due considerazioni.
La prima è che, sottoposte al vaglio di una disamina fonetica, quelle di Nembròt appaiono chiaramente parole ebraiche. O meglio, è ebraico il significante.
Quanto al significato, esso è chiuso in una sorta di labirinto, volutamente costruito da Dante, che ha inteso dare al lettore una dimostrazione pratica di cosa significhi la confusione delle lingue: cercare di capire, e non riuscirci.
Ma sullo ‘scherzo’ di Dante c’è ancora da dire, alla luce dei primi versi del VII canto del Paradiso. Ne parleremo la prossima puntata. (18/10/2022)
A poche settimane dalle elezioni possiamo tentare di interpretare il voto degli ebrei italiani.
Nella Prima Repubblica era facile, la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale erano esclusi dal voto ebraico. La prima per una contraddizione in termini, il secondo perché la memoria del fascismo era ancora viva.
Il voto era più ideologico e si concentrava nell’altra metà del cielo: Pci, Pli, Pri e il Partito Socialista con le sue derivazioni, Psdi, Psiup negli anni accorpati e scissi più volte.
L’astensionismo era residuale, perché tutti volevano esercitare un diritto civile faticosamente raggiunto, in particolare modo la popolazione ebraica.
Al contrario, alle elezioni del 25 settembre 2022 il partito dell’astensionismo ha vinto con il 34,1 per cento, risultato superiore ad un terzo degli aventi diritto. Ora, l'assunto di base è: considerare il comportamento di voto degli ebrei uguale a quello di tutti gli italiani.
Partendo dall’astensionismo, l’unico dato su cui tutti concordano, dobbiamo correggerlo con l’algoritmo virtuale che abbiamo costruito con sei variabili per avere le varianze sul dato medio nazionale, commentato voce per voce:
Età: l’età media degli ebrei italiani è più alta rispetto alla media nazionale
Titolo di studio: esiste una maggior concentrazione di laureati e diplomati
Reddito: non è un dato discriminante perché la povertà ha colpito tutti indiscriminatamente.
Area geografica: la presenza è concentrata al nord e al centro Italia con una propaggine a Napoli e con l’esclusione delle isole, presenza azzerata cinque secoli fa dall’Inquisizione spagnola.
Area agricola/urbana la concentrazione degli ebrei è nei grandi centri, trend iniziato nell’Ottocento, quando si sono svuotati i paesi di Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana per concentrarsi prima nei capoluoghi di provincia e poi di regione ed infine polarizzarsi a Roma e Milano.
ZTL: i ghetti erano al centro delle città e da lì non si sono allontanati molto, se adesso chiamiamo queste aree ztl è solo una convenzione.
Per sostenere il nostro ragionamento utilizziamo i dati relativi ad Israele degli italiani iscritti all’A.I.R.E che hanno votato per la Camera dei Deputati, dove su 1538 votanti il 34 per cento è andato al centro destra che per il voto all’estero si sono presentati insieme, il 28 al Pd, il 19 ad Azione - Italia Viva, il 18 ai 5 Stelle.
Comparati con i dati nazionali definitivi il centro destra ha avuto un 10 per cento in meno (43,79 verso il 34), il Pd il 9 in più (28 verso il 19), il terzo polo ha guadagnato più di tutti, 11,21 per cento in più (19 verso il 7,79) e i 5 Stelle il 2,67 in più (il 18 verso il 15,33).
I dati del totale Italia, oggetto di questa comparazione, vanno modificati, tenendo conto che la popolazione ebraica è concentrata nel nord a Trieste, Venezia, Padova, Verona, Mantova, Milano, Torino e Genova.
L’esclusione delle altre province del nord ha come conseguenza che cala la percentuale della Lega e cresce il terzo polo e il Pd.
Passando al centro-sud, la concentrazione della presenza su Modena, Bologna, Ancona, Firenze, Livorno, Roma e Napoli, tutte città a maggioranza P, con un forte bacino di elettori del terzo polo si confermano i dati del nord.
Traendo delle conclusioni in modo empirico, applicando il nostro algoritmo virtuale basato sui dati socio-demografici e avendo come base i dati dei cittadini A.I.R.E. In Israele, possiamo stimare un 30 per cento al Pd, un 20 al terzo polo un 10 a Forza Italia per il tradizionale appoggio a Israele fin dai tempi della sua fondazione senza se e senza ma.
La Lega assieme a +Europa e agli altri partiti che non hanno raggiunto il quorum assomma a circa il 10; resta un mistero come si divide il 30 per cento residuo tra FdI e i 5 Stelle, i quali, con l’esclusione del sud, dal nostro algoritmo dovevano scendere a One digit in palese contraddizione con il 18 per cento degli italiani in Israele.
Resta comunque un dato matematicamente certo che Fratelli d’Italia ha ottenuto un risultato a due cifre anche nel nostro campione.
È d’obbligo un'ultima riflessione sull’attentato palestinese alla sinagoga di Roma di 40 anni fa, considerata dal commando un obiettivo israeliano. Al contrario, gli ebrei non solo italiani ma in primis romani, veneziani, torinesi e anconetani dove vivono da secoli, ne parlano i dialetti e hanno creato nuove lingue come il giudaico-romanesco ancora vivo o il giudaico-veneziano quasi scomparso. Come dimostra il loro voto, più legato al territorio di provenienza che all’ideologia. (20/10/2022)
Sono passate appena poche settimane dal mio ultimo intervento, eppure a giudicare dalle nubi sempre più minacciose che nel frattempo hanno continuato ad addensarsi sull'Italia e sull'Europa sembra siano trascorsi mesi.
Riepiloghiamo. Sul fronte italiano, dopo il successo netto e coralmente previsto di Fratelli d'Italia e di Giorgia Meloni in particolare, è nato il governo più a destra della storia repubblicana, mentre un fascista dichiaratamente nostalgico di Mussolini come Ignazio La Russa diviene Presidente del Senato e un cattolico intransigente come Lorenzo Fontana assume la guida della Camera. Non sappiamo ancora cosa ci dobbiamo attendere, ma le premesse istituzionali non sono delle migliori. Paradosso illuminante e ammonitore, a investire in Senato il nostalgico è stata - in quanto senatrice più anziana dopo Giorgio Napolitano - l'attuale emblema della memoria italiana della Shoah, Liliana Segre. Le parole con le quali la Testimone ha di fatto aperto la XIX Legislatura sono state, nel loro sofferto spessore autobiografico e nel loro fermo richiamo alla centralità della Costituzione, l'unico alto messaggio che si sia ascoltato in questo periodo amaro. Da quel 13 ottobre si sono sentite solo dichiarazioni inconsistenti o strali avvelenati contro compagni di cordata, a dimostrazione del vuoto gioco di potere in cui si è ormai trasformato il programma politico italiano. Ad aggravare l'atmosfera di rivalità caotica interna alla nuova come del resto alla vecchia maggioranza, sono poi emerse le ineffabili, spudorate ma ahimè (entro Forza Italia e nella Lega) condivise considerazioni berlusconiane di appoggio a Putin e di critica aperta a Zelensky e alla resistenza ucraina; parole di una gravità tale - nel momento in cui cinicamente lo zar Vladimir risponde agli attacchi bombardando la popolazione civile ucraina e imponendo la legge marziale nelle città appena annesse alla Russia - da suscitare la preoccupazione dell’intero mondo occidentale. Berlusconi certo sembra ormai partito per la tangente, parla per il piacere di sentirsi parlare cercando solo il consenso dovuto al capo che fu; Giorgia Meloni per fortuna risponde in modo fermo, volto a scongiurare dubbi e riserve sull'Italia futura. Ma in realtà le incognite sul nostro orientamento politico internazionale nei prossimi mesi restano tutte.
In Ucraina, intanto, la guerra continua spietata più che mai. Al contrattacco degli assediati rispondono le bombe sulle città portate dai droni iraniani, a suggello del sempre più stretto e inquietante legame della Russia - in funzione antieuropea - col regime degli Ayatollah. E proprio in Iran continuano i nostri tormenti, nell'osservare come la libertà di opporsi al regime naufraghi contro una repressione spietata e sanguinaria, specialmente accanita contro la protesta femminile. Davanti a tutto ciò, peraltro, colpisce lo stupore "vergine" con cui l'Occidente, troppo spesso legato all'Iran da interessi economici irrinunciabili, sembra accorgersi solo oggi della ferocia integralista di una dittatura religiosa nata quarantatré anni fa e della tenacia di una protesta popolare che ciclicamente si ripropone da decenni. Il filo di inquietudine amara si prolunga poi in oriente tra Pechino e Taiwan, dato che Xi Jinping si dice disposto a usare anche la violenza (la guerra aperta?) per prendere il controllo dell'isola: e ciò provocherebbe inevitabilmente l'intervento armato americano (anch'esso preannunciato), vale a dire una vera e propria terza guerra mondiale. Insomma, in Italia e nel mondo l'orizzonte si fa sempre più cupo.
Di fronte a un panorama così sconfortante, cosa resta da fare al povero cittadino coinvolto e impotente se non rifugiarsi nel proprio "particulare" abitudinario, alla ricerca di qualche piccola conferma e di qualche piccola grande speranza per il futuro? Nella fattispecie, a un ebreo italiano partecipe della vita della propria Comunità come il sottoscritto si apre il cuore quando al Bet ha-Kenesset vede - come qui a Torino poche settimane fa - una partecipazione nutrita e allegra di giovani famiglie e di bambini, riuniti per la Beracha' loro destinata nel giorno di Sheminì Atzeret. Tanto più se come me è nonno da poco. Certo, lo so, orizzonte politico italiano/mondiale e orizzonte socio-religioso locale hanno poco a che fare l'uno con l'altro, e le prospettive generali non migliorano se i giovani ebrei mostrano un sentimento più partecipe della propria identità e una partecipazione più convinta ai momenti topici dell'ebraismo. Oltretutto probabilmente si tratta di un fatto episodico e locale pronto a essere smentito nei prossimi mesi, non di una tendenza effettiva della società ebraica italiana. Eppure la volontà di ritrovarsi uniti in una fase così incerta e minacciosa avrà pure qualche significato. (20/10/2022)