Va concludendosi il 9 di Av, giorno di lutto e di digiuno in cui il mondo ebraico ricorda diverse tragedie, tra cui la distruzione del primo e del secondo Santuario.
Alla vigilia di questo momento di raccoglimento, il presidente d’Israele Isaac Herzog ha voluto lanciare un appello alla comprensione e coesione sociale. Una richiesta diretta alla politica (e non solo) perché si lavori per ricucire le profonde divisioni nel Paese, emerse a seguito della riforma della giustizia promossa dalla coalizione del Premier Benjamin Netanyahu.
“Alla vigilia di Tisha B’Av, quando ricordiamo la nostra distruzione nazionale, voglio rivolgermi a voi dal profondo del mio cuore”, le parole di Herzog. “Vedo molti israeliani profondamente preoccupati, impegnati, pieni di immenso dolore, frustrazione e ansia per ciò che sta accadendo e per ciò che deve ancora accadere. Vedo chiaramente e ascolto da vicino, e questi sentimenti sono davvero strazianti”. Sentimenti condivisi dal presidente, che afferma di provare un “profondo senso di frustrazione”. “Sono anche io ferito e arrabbiato”, aggiunge. E allo stesso tempo “molto deluso” per il fallimento del compromesso sulla questione della giustizia. “Negli ultimi mesi ho chiesto di ascoltare, di tendere la mano e di assumersi la responsabilità. Ho parlato di due campi in Israele che si oppongono l’uno all’altro, del potenziale di violenza, della polarizzazione che ci dividerà, dei danni sociali, economici e di sicurezza e dei nostri nemici lontani e vicini, che si sfregano le mani con piacere e ordiscono complotti. Oggi non ci sono dubbi: la sfida è più grande che mai”. Quella di ricomporre la frattura e trovare, a partire dalla riforma della giustizia, punti di condivisione. “Io e la mia squadra continueremo e lavoreremo in ogni modo possibile per abbassare muri e costruire ponti. Non c’è compito più importante e missione più alta per me – come presidente e come cittadino – che guarire e riunire il popolo e preservare lo Stato di Israele e la nostra democrazia”.
Nella parashà Ithro vengono date le norme per la costruzione dell’Altare (Mitzbeach). Ne notiamo una, in particolare, che lo caratterizza. Si vieta di costruire l’Altare con pietre sagomate con uno scalpello, perché, chiarisce la Torah, “impiegando la lama su di esse profaneresti l’Altare”. La Torah non spiega il meccanismo o la motivazione di questa profanazione, ma l’interpretazione dei Maestri è che lo scalpello, essendo fabbricato con lo stesso materiale con cui si fanno le armi (strumento di morte), profanerebbe la sacralità dell’Altare (simbolo di vita). La conseguenza di questo divieto è stato l’impiego diffuso ed esteso del legno, cui è più facile dare una forma rispettando la norma.
L’utilizzo del legno ha avuto, però, una conseguenza sgradevole per i posteri: si tratta di un materiale deperibile e per di più incendiabile e, a causa delle sconfitte militari di Israele, ogni vestigia, sia del Santuario che dell’Altare (Mitzbeach), scomparve nel fuoco appiccato dai nemici.
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