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31
ottobre
2010 - 23 Cheshvan 5771 |
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Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino
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Rebecca,
moglie di Isacco, ha carattere opposto a quello del marito: tanto lei è
intraprendente e rivolta all'esterno quanto lui è contenuto ed
introspettivo. Compatibilità, evidentemente, non è identità;
soprattutto nel matrimonio. |
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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Nella pretesa che esista un
complotto segreto, il modo di pensare dell'antisemita è paragonabile al
processo di razionalizzazione proprio del paranoico, il quale dal fatto
che gli altri non riconoscono l'esistenza dei suoi nemici, deduce la
prova dell'astuzia di questi ultimi.
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Comics and Jews -
Pagine Ebraiche e Daf Daf a Lucca |
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Fumetto,
illustrazione e cultura ebraica. Comics and Jews, il grande dossier che
il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche ha dedicato a un
tema molto sentito e coinvolgente nelle culture giovanili e creative, è
stato venerdì protagonista di Lucca Comics, la principale
manifestazione italiana del settore (oltre 150 mila visitatori) che si
conclude domani. Anche il direttore artistico di Lucca Comics
Renato Genovese (nell’immagine insieme a Guido Vitale) era presente tra
il pubblico dell’incontro svoltosi venerdì mattina nella Sala Incontri
della Camera di Commercio di Lucca, secondo evento in programma nella
giornata inaugurale della manifestazione nel corso del quale sono stati
presentati il dossier di approfondimento che il nuovo numero di Pagine
Ebraiche a breve in distribuzione dedica al fumetto e alla cultura
ebraica e il giornale per bambini Daf Daf. Al tavolo dei relatori il
disegnatore Giorgio Albertini, il critico Andrea Grilli e la redattrice
di Daf Daf Rossella Tercatin con Giulia Prodiguerra di Lucca Comics e
il coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale. In sala fra gli altri,
appassionati, docenti, autori e artisti. Nel corso della mattinata è
stata ripercorsa la genesi del dossier Comics and Jews, tra le cui
pagine il lettore viene guidato alla scoperta dei nessi esistenti tra
comics e cultura ebraica attraverso una analisi su tre livelli: matrice
culturale degli autori, profilo dei personaggi e contenuti delle strip.
Dagli X-men figli della tragedia della Shoah ai supereroi eredi di Mosè
e Sansone, passando per l’unico Santa Claus che parla yiddish e le
jewish cowgirls del re dell’underground Robert Crumb: otto pagine di
spunti e curiosità condite da una intervista in apertura a Vittorio
Giardino, il celebre fumettista bolognese autore di personaggi ebrei
indimenticabili come Jonas Fink e Max Fridman e narratore di luoghi e
situazioni dell’Europa ebraica.
Illustratore,
critico e docente universitario che i nostri lettori conoscono anche
grazie ai lavori che accompagnano le interviste e gli editoriali di
Pagine Ebraiche, Giorgio Albertini si è soffermato sull’apparente
paradosso dell’underground americano, effervescente movimento di
controcultura nato negli anni Sessanta che, nonostante il divieto di
rappresentazione proprio della tradizione religiosa ebraica, vide tra i
suoi propulsori proprio grandissimi autori ebrei tra cui Kurtzman,
Crumb e Spiegelman. Aprendo a futuri scenari espositivi, Albertini ha
poi invitato gli organizzatori di Lucca Comics a portare in Italia la
mostra sul fumetto ebraico che è stata recentemente allestita a Berlino
ottenendo un ottimo riscontro in termini di contenuti e partecipazione.
Il critico del fumetto Andrea Grilli, collaboratore del Portale
dell’ebraismo italiano e di Pagine Ebraiche, ha parlato invece di
alcuni legami mai troppo approfonditi dalla critica che legano
supereroi del calibro di Superman e Batman ad alcuni personaggi e
episodi biblici, per poi focalizzarsi sulla forte presenza del tema
della Shoah nella saga degli X-Men, rendere omaggio a Jack Kirby, il
padre di Capitan America passato alla storia del fumetto come The King,
e sollecitare maggiore attenzione al fumetto israeliano (“un movimento
interessante e dalla grande forza espressiva e creativa”). A seguire è
intervenuta Giulia Prodiguerra, che da giovanissima moderatrice del
dibattito si è trasformata in relatrice parlando del lavoro agiografico
e di ricerca che ha svolto su Spiegelman e sulla sua celebre opera Maus
nel corso di un programma quinquennale di studio sul razzismo portato
avanti in sede scolastica. “In Spiegelman si realizza un connubio
perfetto tra grafica e testo. La sua è una denuncia che arriva ma non
disturba”, ha detto Giulia. Infine Rossella Tercatin, giornalista
praticante per l’UCEI, ha presentato la novità editoriale di Daf Daf,
giornale ebraico per bambini mix di gioco, pedagogia e giornalismo in
cui risulta fondamentale, ricorda la redattrice, “il ruolo svolto dagli
illustratori e dai disegnatori”, tra cui Giorgio Albertini, Enea
Riboldi, Paolo Bacilieri, Viola Sgarbi e Walter Chendi, fumettista
d’autore che nel libro La porta di Sion ha meticolosamente descritto la
Trieste delle leggi razziste e dell’impulso sionista verso la futura
terra di Israele. Al termine degli interventi spazio per le domande e
per un invito a realizzare in futuro altri eventi a carattere ebraico
proveniente dal pubblico e immediatamente raccolto dal direttore di
Lucca Comics Renato Genovese. Proseguono intanto i grandi
appuntamenti della più importante rassegna fumettistica italiana, che
si concluderà domani e che nei primi due giorni di svolgimento ha
confermato al botteghino gli ottimi risultati in termini di vendita di
biglietti riscontrati nelle passate edizioni. Tra i vari appuntamenti
odierni la performance tra musica e fumetto del gruppo Risate
Antirazziste in cui ricchezza e impatto delle sette note del
pentagramma si fonderanno con la potenza visiva del fumetto per dire no
al razzismo e al pregiudizio. Sul palco allestito con tavolo da disegno
e schermo si daranno il cambio giovani esordienti e noti fumettisti,
capitanati da Giuseppe Palumbo e Stefano Disegni.
Adam Smulevich
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Protocolli e verità |
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Colloquio con
Riccardo Di segni e Umberto Eco di Wlodek Goldkorn Nel suo "Il
Cimitero di Praga", Eco spiega com'è stato costruito il più noto dei pamphlet
antisemiti. Ma non convince fino in fondo il rabbino di Roma. Che qui
dice: il messaggio è ambivalente e pericoloso. L'autore risponde
Umberto Eco è sempre stato
ossessionato dalla costruzione de "I Protocolli dei Savi Anziani di
Sion", la madre di ogni pamphlet antisemita, pubblicato perla prima
volta in Russia nel 1903. Ne aveva accennato nel "Pendolo di Foucault",
a quel testo aveva dedicato quasi un capitolo nelle Norton Lectures,
"Sei passeggiate nei boschi narrativi". Ha scritto pure una prefazione
al celeberrimo comix di Will Eisner "Il complotto". E ora la
costruzione di quel falso, le cui origini risalgono a una certa
letteratura francese della metà dell'Ottocento, e dove sarebbe
documentato il presunto piano degli ebrei di dominare il mondo, è al
centro de "Il Cimitero di Praga". È un romanzo in cui Eco gioca con i
cliché antisemiti ottocenteschi, per smontarli. "L'Espresso" lo ha
fatto incontrare con Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma.
Perché è
affascinato dai Protocolli?
Eco:
«Perché sono sempre stati presi sul serio, mentre è un testo
palesemente pieno di contraddizioni interne. Già nel 1921 il "Times"
aveva dimostrato che era un testo in gran parte copiato da un libro di
Maurice Joly ( "Dialogo all'inferno tra Machiavelli e Montesquieu"),
che non era contro gli ebrei bensì contro Napoleone III. Ma Hitler ha
continuato a ritenerlo autentico nel "Mein Kampf" e ancora oggi
continua ad apparire nelle librerie filo-naziste o sui siti arabi. Il
parere dominante è sempre quello dell'antisemita britannica Nesta
Webster: "Sarà un falso, ma è un libro che dice esattamente ciò che gli
ebrei pensano, quindi è vero." Infine: credo di aver contribuito alla
scoperta delle origini de "I Protocolli". Ne ho trovato tracce in "I
misteri del popolo" di Eugene Sue, e in "Giuseppe Balsamo" di Alexandre
Dumas'..
II
protagonista del suo libro si chiama Simone Simonini. Di mestiere fa la
spia e il falsario. E un antisemita patologico. Finisce non solo per
contribuire alla costruzione dei "Protocolli", ma anche dei falsi
documenti nell'affaire Dreyfus. «Simone
l'ho inventato io. Ma come nipote del vero capitan Simonini. La storia
è questa: alla fine del Settecento l'abate Barruel dà alle stampe
un'opera per spiegare come la Rivoluzione francese fosse frutto di un
complotto: dei Templari, degli Illuminati, dei massoni. Ed ecco che un
certo capitan Simonini gli scrive: "Avete dimenticato gli ebrei", e
dispiega l'armamentario di tutto quello che sarebbe diventata la
propaganda antisemita del XIX secolo. Questa lettera è stata
ripubblicata varie volte tra l'altro dalla "Civiltà cattolica"'.
Simonini odia
non solo gli ebrei, ma pure i tedeschi, i francesi, gli italiani.
L'antisemitismo è la matrice di tutti gli stereotipi razzisti?
Di
Segni: «Il libro dimostra che certe tesi possono servire
ogni volta che si vuole fare male a qualcuno. Ma c'è una particolarità
che riguarda gli ebrei: da un lato si dice che sono portatori del
comunismo, dall'altro, che sono i grandi capitalisti, i finanzieri. E
c'è un'altra specificità: i tedeschi o i francesi saranno simpatici o
antipatici, ma nelle camere a gas, sono finiti gli ebrei».
Nel libro
viene costruita una teoria generale del complotto. Si spiega che la
tesi sula cospirazione deve essere semplice, deve avere un solo
bersaglio e che serve a chi non riesce a spiegare a se stesso perché
nella vita non ha i avuto successo, perché gli altri sono ricchi,
belli, felici.
Eco:
«La gente ha bisogno del nemico. Lo faccio dire ai miei personaggi,
agenti dei servizi. Chi è il nemico? Il diverso. Ma mentre gli
altri diversi: i catari, gli albigesi, sono scomparsi massacrati, la
tradizione ebraica, grazie alla forza della sua cultura, ha resistito
un po' dovunque. E quindi l'ebreo è diventato il diverso per
eccellenza».
Ne "Il
cimitero di Praga" Eco usa testi e tesi antisemiti veri, per smontarne
il meccanismo. Lei rabbino, mentre lo leggeva, cosa ne pensava?
Di
Segni: «Penso che il messaggio di Eco sia ambiguo. Provo a
raccontare l'inizio della storia come l'ho letta io: il Nostro comincia
la sua carriera di spia e di falsificatore con l'impresa dei Mille.
Viene spedito in Sicilia dai servizi segreti piemontesi che hanno
timore dei garibaldini. E da Palermo manda a Torino messaggi in cui
spiega che il successo delle camicie rosse, contro uno Stato come
quello borbonico, organizzato e con una potente marina militare, fosse
dovuto alle logge massoniche inglesi che hanno corrotto i generali. Il
lettore cosa ne capisce? È vero o non è vero ciò che si racconta? E
questo è un esempio, che vale per tutti i complotti raccontati: quelli
dei massoni e quelli dei gesuiti. E anche per gli ebrei. Alla fine il
lettore si chiede: ma questi ebrei, vogliono o non vogliono scardinare
la società e governare il mondo? Il problema è che non si tratta di un
libro scientifico che analizza e spiega i fenomeni. "Il Cimitero di
Praga" è un romanzo. E in più ha una trama avvincente, che finisce per
convincere».
Eco:
«Ho scritto un romanzo, appunto. E un romanzo, a differenza di un
saggio, non porta a delle conclusioni, mette in scena le
contraddizioni. Così come ho messo in scena i due aspetti del
Risorgimento, gli antigaribaldini e gli entusiasti, l'ho fatto anche
con la nascita e lo sviluppo dell'antisemitismo. Da Barruel in avanti
escono a centinaia libri e riviste pieni di stereotipi antisemiti. A me
interessava raccontare come attraverso l'accumulazione di questi
stereotipi fossero costruiti i "Protocolli". Il rabbino mi chiede: cosa
era vero. lo rispondo: il lettore dovrebbe capire che niente era vero.
Che era tutto dossieraggio, una costruzione di servizi. Sono cosciente
delle ambiguità che possono nascere. Ma la mia intenzione era quella di
dare un pugno nello stomaco del lettore».
Se in un sito
antisemita troviamo scritto che tutte le invenzioni della modernità: da
Marx alla psicoanalisi a Facebook sono opera degli ebrei, ci
indigniamo. Ma quante volte sono gli ebrei a dire: abbiamo dato al
mondo Marx, Freud, Kafka: perfino un arcivescovo di Parigi.
Di
Segni: «Aggiungo il rito d'Ottobre: arrivano i Nobel, e si
comincia a contare quanti sono "dei nostri". E ce ne sono sempre. È una
specie di autocompiacimento, un meccanismo perverso che finisce per
ritorcersi contro. Però. Nel libro di Eco i soggetti principali che
vengono accusati di aver ordito complotti sono tre: gli ebrei, i
massoni e i gesuiti. I gesuiti sono le prime vittime di Simonini: ma
dalla narrazione risulta che comunque era gente poco raccomandabile. La
stessa cosa, in misura minore, vale per i massoni: nell'Ottocento
partecipavano a giochi di potere. E se ci sono elementi di verità
quando si parla dei gesuiti e dei massoni si pone il problema, e per
gli ebrei, come la mettiamo? Solo loro sono vittime innocenti? Ecco
dove il gioco messo in scena da Eco si fa pericoloso».
Eco:
«Il romanzo è stato scritto per raccontare come sono stati costruiti i
"Protocolli". E là dove secondo il rabbino diventa pericoloso, secondo
me dovrebbe essere narrativamente chiaro come ogni stereotipo usato
prima contro i gesuiti, poi contro Napoleone III, poi contro i massoni,
può essere anche utilizzato contro gli ebrei. È sempre la stessa
montatura, cambia solo l'oggetto».
Di
Segni: «Vede, Eco, il problema è che il suo protagonista,
per quanto becero e mostruoso, risulta alla fine simpatico, ci si può
identificare con Simone Simonini».
Eco:
«C'erano anche ragazze che scrivevano lettere d'amore a Maso, il
parricida. La copertina della rivista antisemita francese diretta da
Edouard Drumont Non rispondo delle perversioni altrui».
Infatti, alla
fine del libro, l'autore rivela che tutto era falso.
Eco:
«Prima di questa conversazione chi ci sta
intervistando mi ha detto che il mio libro andrebbe studiato nelle
scuole per far capire ai ragazzi come si costruisce ad arte la teoria
del complotto e come la si applica agli ebrei o a qualunque gruppo
umano. Ora il rabbino mi dice che invece non è così. E allora, domando:
il mio libro ha una funzione rivelatrice o no?». Di Segni:
«Proviamo a fare un esercizio. Chiediamo a un lettore di guardare su
Wikipedia la voce "P2 Piano di rinascita democratica". La redazione di
Wikipedia ne prende le distanze dicendo che la voce non è "neutrale".
Ma poi, nel cuore di chi legge, rimane la domanda: c'è il complotto o
non c'è il complotto? E dove è il falso: nelle carte, o nella lettura
dei documenti? O non c'è falso? Lo stesso meccanismo può valere per "II
Cimitero di Praga"». Eco:
«Ma se lei, rabbino, va a vedere un sito negazionista troverà argomenti
estremamente persuasivi. Il mio romanzo racconta quello che chiunque
può trovare in un sito negazionista, ma ne mette a nudo la natura di
costruzione fraudolenta. Credo di aver dato al lettore tutte le chiavi
per capire».
Altro tema
del libro è la verosimiglianza del falso. Eco spiega che le teorie del
complotto sembrano credibili perché sono sempre costruite con materiali
già noti e che quindi hanno una parvenza di verità. È cosi anche oggi?
Eco:
«Ho scritto un romanzo che inizia nel 1830 e finisce nel 1897. Ho
lavorato solo sui testi d'epoca. Quindi non ho fatto affermazioni
sull'oggi. Sta al lettore decidere. Ho iniziato a lavorarci cinque anni
fa e non prevedevo che sarebbe finito proprio l'anno in cui ci sono le
discussioni sul Risorgimento. Ora sembra che strizzi l'occhio alle
polemiche attuali, ma proprio non ci pensavo. C'è una forma
trascendentale del complotto che vale sempre. Nel mio romanzo sia il
protagonista sia gli altri vendono sistematicamente ai servizi segreti
materiali dove c'è scritto quello che già si sapeva. E anche oggi i
famosi dossier sono solo delle raccolte di ritagli stampa».
La teoria del
complotto si costruisce quindi cosi: si parte da quello che sappiamo
oggi, dando una certa interpretazione del passato?
Eco:
«E con allusioni. Recentemente un giornale di
destra ha scritto che sono stato visto in un ristorante cinese mentre
mangiavo con uno sconosciuto usando le bacchette. Ora non c'è niente di
sospetto nell'usare le bacchette in un ristorante cinese, e lo
sconosciuto era sconosciuto per chi scriveva il pezzo, non per me o per
sua moglie. E allora perché l'hanno scritto? Per farlo leggere da gente
che non ha mai visto un ristorante cinese se non nei film sul dottor Fu
Manchu, che pensa che la Cina sia Mao, e che l'idea di uno sconosciuto
fa entrare in paranoia. La costruzione del complotto nasce usando
materiali veri, e conosciuti, ma montandoli in modo da suscitare il
sospetto. Oggi succede la stessa cosa: per esempio con l'affaire
Mitrokhin».
Infine. Cosa
rimane dell'antisemitismo?
Eco:
«E sempre risorgente. È un tarlo mentale, come
la pedofilia. E si fa confusione tra ebrei e Israele. Così Berlusconi
racconta una barzelletta antisemita e poi si giustifica: ma io sono
amico di Israele».
Di
Segni: «Succede quando si prende sul serio il mito, quello
sì antisemita, della potenza degli ebrei. E allora pur di
ingraziarseli, si dice di essere appunto, amico di Israele. Le due
entità sono invece solo in parte sovrapponibili».
Wlodek
Goldkorn. L'Espresso, 4 novembre 2010
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Il voyeur del
male |
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Forse anche questo libro
sarà un successo stratosferico, milioni di copie vendute, traduzioni in
tutte le lingue. E a una prima occhiata, sembra accattivante, con quel
suo rimandare ironicamente a un feuilleton anche nelle illustrazioni,
di puro stile popolare ottocentesco. Ma appena ci si immerge nella
lettura, ecco la delusione. Il romanzo che Umberto Eco ha appena
pubblicato (Il cimitero di Praga, Milano, Bompiani, 2010, pagine 526,
euro 19,50) è noioso, farraginoso, di difficilissima lettura. Perfino
per una persona come me, che forse capisce i suoi riferimenti storici.
Del feuilleton non ha la trama avvincente, i personaggi appassionanti,
l'intreccio abile da cui non ci si riesce a staccare. Su un unico
personaggio, il goffo e antipatico Simone Simonini — il solo inventato
del romanzo, spiega Eco — cade il peso di quasi tutti i complotti
dell'Ottocento, almeno dei più noti. Simonini, notaio torinese nipote
di un ammiratore del gesuita Barruel e figlio di un patriota
mazziniano, si rivela precocemente abile nella creazione di documenti
falsi, e dai testamenti passa rapidamente allo spionaggio: prima a
favore del re di Sardegna, tallonando i Mille in Sicilia dove
architetta, forse con un eccesso di zelo, la morte per naufragio di
Ippolito Nievo che portava a Torino la documentazione economica
dell'impresa. Poi a Parigi, in contatto con i servizi dell'Impero, che
si prolungano senza soluzione di continuità in quelli della Repubblica.
Simonini non solo obbedisce alle richieste che gli vengono fatte, ma è
lui stesso fervido di fantasia e avido di soldi: il suo obiettivo è
quello di costruire documenti falsi che si possano vendere al numero
più alto possibile di acquirenti. È così che entrano in scena gli
ebrei, odiati a destra e a sinistra, dai cattolici e in certi casi
perfino dai massoni. Il nostro eroe collaborerà quindi a incastrare
Dreyfus con un documento naturalmente falso, e contribuirà in varie
fasi a costruire quel manoscritto che sarà poi noto come I protocolli
dei Savi di Sion. Tutto questo passando da fetide cloache, inverosimili
delitti, e intrecciando a questo massiccio plot i personaggi più
discutibili del secolo: il massone traditore poi pentito Taxil, il
prete fondatore di una setta satanica Boullan. Diciamo la verità, sul
piano della morbosità Eco non si è negato niente:la descrizione della
messa nera è un perfetto esempio di banalità già lette o viste al
cinema centinaia di volte, e così è priva di verosimiglianza la
freddezza omicida del protagonista. La debolezza della natura umana,
infallibilmente orientata al male, appare in tutti. In tanto orrore
sembra impossibile credere che gli ebrei non siano i vampiri della
finanza mondiale che ordiscono complotti, sembra impossibile pensare
che esistano esseri umani non coinvolti con le più orride bassezze,
pronti a tradire e a vendersi per un pugno di monete, per un pranzo
succulento in un ristorante di lusso. Naturalmente i cattolici, nel
ruolo di persecutori — soprattutto i gesuiti, che sarebbero adusi a
ogni bassezza — sono rappresentati come caricature mostruose, e non
mancano neppure riferimenti ai pontefici, che rifulgono per stupidità e
ottusa opposizione a tutto ciò che osi far pensare al progresso. Non si
può però accusare Eco di una speciale antipatia verso la Chiesa: tutti
coloro che compaiono, a vario titolo, nel romanzo, sono orrendi,
sporchi e compromessi con il male. Anche i mazziniani, i socialisti, i
repubblicani, i massoni. Il risultato è un libro pesante, in cui
l'esilità della trama non riesce a sostenere il macigno di troppi
complotti. Eco chiede di identificarci con un protagonista insensibile,
privo di sentimenti e di morale, la cui unica nota umana sembra essere
la golosità, e di appassionarci alle sue contorte vicende. Grave errore
per un aspirante scrittore di feuilleton. Ma forse anche il feuilleton
è un falso obiettivo: il lettore ha la sensazione — già provata del
resto in altri romanzi di Eco — che all'autore non importi nulla di
interessare, far riflettere e magari commuovere, perché il suo unico
intento è fare sfoggio di una sterminata erudizione storico-letteraria
e dare prova di abilità intellettuale nel mettere insieme dei pezzi di
storia con episodi inventati. Niente di più lontano dalla genuina
passione dello scrittore di feuilleton, dal suo amore per alcuni
personaggi nei quali far identificare il lettore fin dalle prime righe,
e soprattutto nessuna battaglia fra bene e male che, pur cambiando
veste a seconda dello scrittore, è sempre il motore della trama. E qui
sta il punto più debole del romanzo: denunciare l'antisemitismo
mettendosi nella parte degli antisemiti non serve a smascherarli ma
solo a suscitare un crescente disgusto per la narrazione. Del resto,
smascherati gli antisemiti lo sono già, e da decenni, dalla storia: Eco
saccheggia infatti il bel libro di Norman Cohn — questo sì di
lettura avvincente come un romanzo — che ricostruisce
minuziosamente la storia della fabbricazione dei Protocolli. Che senso
ha, allora, questa ricostruzione che già è stata fatta? Non si può
negare, invece, che le continue descrizioni della perfidia degli ebrei
facciano nascere un sospetto di ambiguità, certo non voluta da Eco ma
aleggiante in tutte le pagine del libro. A forza di leggere cose
disgustose sugli ebrei, il lettore rimane come sporcato da questo
vaneggiare antisemita, ed è perfino possibile che qualcuno pensi che
forse c'è qualcosa di vero se tutti, proprio tutti, i personaggi paiono
certi di queste nefandezze. C'è un solo commento che dà un po' di
spessore storico all'ostilità ottocentesca della Chiesa verso gli
ebrei, quando il protagonista li accusa di essere nemici di ogni
religione: è proprio l'assimilazione veloce e ben riuscita degli ebrei
nei paesi dell'Europa occidentale, che nella maggior parte dei casi
comporta un abbandono della religione originaria, a farli temere dalla
Chiesa come un esempio di secolarizzazione per la borghesia di matrice
cristiana. Anche se agli occhi di Eco si tratterà certo di una
osservazione banale, la lettura di questo romanzo fa pensare che quando
si evoca il male — almeno nella narrativa popolare che l'autore
arieggia — bisogna subito affiancargli il bene che lo combatte,
altrimenti si rimane coinvolti nel fango e si fatica a uscirne. La sua
ricostruzione del male senza condanna, senza eroi positivi con cui
identificarsi, acquista una parvenza di voyeurismo amorale, in cui ci
si può impantanare. E alla fine l'obiettivo del libro si riduce a una
affermazione politicamente corretta: «Ora il senso dell'identità si
fonda sull'odio, sull'odio per chi non è identico. Bisogna coltivare
l'odio come passione civile. Il nemico è l'amico dei popoli. Ci vuole
sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria
miseria. L'odio è la vera passione primordiale. È l'amore che è una
situazione anomala».
Lucetta Scaraffia, Osservatore Romano, 30 ottobre 2010
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Umberto
Eco - Il cimitero di Praga
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Umberto Eco: “Smaschero le trame di chi
costruisce l’odio"
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Anna Foa - La micidiale macchina del falso
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Rav Riccardo Di Segni: Domande senza risposta
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Ugo Volli: Il veleno del serpente
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Torino, l’infamia dei Protocolli e il giudice
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Il Professore in un mare di libri
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E anche Halter torna alla città magica
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l'Unione in forma -
Silenzio
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Dopo il casinodo sul Medio
Oriente, come spiegare il silenzio dell'ebraismo italiano di fronte
alla friction dedicata a Pio XII?
Semplice: "Pio Tempo"...
Resh
Nullius
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Davar Acher - Popolo,
religione, fedeltà
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C'è un tratto comune fra le
recenti polemiche contro l'introduzione nella legislazione israeliana
di un giuramento di fedeltà per i nuovi cittadini allo "stato ebraico e
democratico" e il brutto libro di Shlomo Sand la cui traduzione
italiana ha avuto nelle settimane scorse un forte lancio pubblicitario.
Il tratto è esplicitato dal titolo del libro di Sand: "L'invenzione del
popolo ebraico". Chi ha polemizzato contro la nuova legge sul
giuramento o sull'equivalente richiesta di riconoscimento nelle
trattative coi palestinesi di Israele come stato ebraico, ha
argomentato che non fosse democratico imporre a tutti i cittadini
un'adesione religiosa. Perché il giuramento secondo loro avrebbe
imposto questo, una scelta religiosa. L'ha fatto ovviamente l'autorità
palestinese, l'hanno fatto i vescovi del famigerato sinodo appena
concluso e l'hanno fatto anche alcuni ebrei, fra cui, si parva
licet..., Tobia Zevi in una opinione pubblicata su questo sito.
L'idea comune a tutte questa posizioni è che la definizione di qualcosa
come "ebraico" sia una qualificazione essenzialmente religiosa. Per
dirla con la quarta di copertina del libro di Sand, "forse l'ebraismo è
soltanto un'affascinante religione". Lasciamo stare il "forse" che è
farina del sacco dell'editore, Sand ne è sicuro; ignoriamo anche
l'adulazione sul "fascino" dell'ebraismo, che non è seria. Resta
l'affermazione centrale per Sand e i cosiddetti "postsionisti" che
l'ebraismo è "soltanto" una religione – cioè niente per loro che non
credono. Nessuno nega che l'ebraismo sia una religione, ci mancherebbe.
Ma "soltanto" vuol dire soprattutto che non è anche altro, cioè che non
è un popolo o una nazione. E una religione, per la sua definizione
moderna, che si modella sul cristianesimo, in particolare su quello
protestante, non ha e non deve avere diritto a governare una terra.
Sand ragiona da un lato accumulando ragionamenti più o meno bizzarri
per dimostrare che le nazioni non esistono, che sono un'invenzione
capitalistica dell'Ottocento al fine di manipolare le masse, cita per
questo Stalin (con qualche critica minore ma sostanziale rispetto)
oltre ad alcuni storici sociologi e antropologi ancor più ideologici di
lui, se fosse possibile. Non ci sono le nazioni (non ci "devono" essere
per il politically correct, come ha spiegato di recente su "Repubblica"
Ulrich Beck, e secondo lui l'Unione Europea ha il merito di
depotenziarle). A maggior ragione non deve esserci quella ebraica, come
ha scritto anche qualche giorno fa un altro critico dell'idea di uno
stato ebraico e democratico, Gad Lerner). Anche in questo la battaglia
per Israele è una battaglia per l'Europa, sostiene Lerner: se il
patriottismo ebraico non fosse sconfitto, rischierebbe di fallire
l'operazione di denazionalizzazione dell'Europa, che è uno dei cardini
della correttezza politica nel nostro continente.
In seguito Sand intesse un improbabile romanzo storico indiziario
intorno al tema delle conversioni di massa all'ebraismo come quella dei
Kuzari mille anni fa, da cui si dedurrebbe che gli ebrei attuali non
sarebbero i discendenti di quelli biblici, anzi che i veri pronipoti
dei patriarchi sarebbero i palestinesi: inversione tipica dell'odio di
sé: noi non siamo nulla, i veri ebrei sono gli altri. Gli storici seri
hanno stroncato la tesi di Sand, perfino la biologia mostra che
esistono dei marcatori genetici che confermano la parentela degli ebrei
di tutto il mondo al di là della dispersione.
Ma la tesi dell'inesistenza del popolo ebraico è troppo bella per
essere abbandonata dal politically correct. Farebbe della creazione di
Israele un'operazione coloniale o un risarcimento eccessivo e ingiusto
per la Shoà, proprio come dicono gli arabi. Eliminerebbe la nozione di
popolo eletto e la continuità dell'ebraismo con la vicenda biblica,
proprio come vorrebbero vescovi come Williamson (il lefebvriano
all'estrema destra della Chiesa) e Bustros e Sabah (i vescovi arabi che
piacciono all'estrema sinistra). Permetterebbe perfino di eliminare il
concetto di genocidio (senza un ghenos...) e di assimilarlo a una
qualunque repressione ideologica di una corrente nemica al potere.
Giustificherebbe la tradizione antigiudaica della Chiesa, che in fondo
avrebbe sempre avuto a che fare con dei finti ebrei, dei giudeizzanti,
degli eretici qualunque, da reprimere come tutti ad maiorem Dei
gloriam. Spiegherebbe perché i progressisti di tutto il mondo devono
giustamente diffidare di uno stato teocratico e di una finta
nazione. Insomma, sarebbe un affarone per tutti. Salvo che
per gli ebrei, naturalmente.
Eppure non è così. L'appartenenza all'ebraismo, non è solo religione,
ma popolo e nazione. Tobia Zevi, che notoriamente viene da una famiglia
piuttosto laica dovrebbe poterlo testimoniare personalmente, anche se
la sua ideologia gli fa velo. Metà dell'ebraismo mondiale e forse più,
soprattutto in Israele è pochissimo sensibile a faccende religiose. Il
Tanach ci testimonia abbondantemente che il popolo ebraico nella storia
ha spesso tradito la sua religione: pagandone il prezzo terribile,
secondo la teologica politica biblica, ma restando comunque ebraico. La
stessa narrazione della Torah ci mostra la rivelazione del Sinai come
posteriore alla costituzione delle istituzioni politiche del popolo
uscito dall'Egitto (i capi di dieci, di cento e di mille, suggeriti fra
l'altro da uno straniero, Itrò). L'istituzione del regno contro il
volere divino è un altro momento delle Scritture che attesta della
coscienza antica di una duplicità fra religione e nazione. Insomma non
solo nel disincanto religioso contemporaneo, ma nella stessa nostra
tradizione religiosa risulta che l'ebraismo non è semplicemente una
religione, ma una nazione e un popolo; e che di conseguenza non è
affatto contraddittoria l'idea di uno stato ebraico e democratico e di
conseguenza laico. Chi lo nega, anche all'interno dell'ebraismo come
Zevi e Lerner, subisce semplicemente e riproduce l'egemonia della
propaganda anti-israeliana.
Ugo
Volli
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Israele, un test del sangue per
diagnosticare il cancro
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Un test del sangue in grado di diagnosticare molte malattie,
tra cui il cancro, è stato messo a punto dai ricercatori del
Technion-Israel Institute of Technology. Il risultato dello studio è
stato pubblicato sulla rivista Usa 'Proceedings of National Academy of
sciences'. A differenza degli attuali test del sangue che indicano se
le cellule cancerose sono presenti ancora nel sangue, la nuova metodica
è in grado di distinguere tra i differenti tipi di cancro.
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