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22 giugno 2012 - 2 Tamuz 5772
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ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 


Dal testo della Torah e dal commento di Rashì sulla parashà di Kòrach non è chiaro se la rivolta sia stata determinata da problemi ideologici (tutto il popolo ebraico è santo e non ha bisogno di leader) o da interessi personali (secondo Rashì Kòrach si sarebbe ribellato dopo che era stato nominato a capo della famiglia di Kehat, sua famiglia d'origine, un'altra persona). Probabilmente ciò che vuol dire Rashì è che ambedue le motivazioni sono presenti ma l'interesse personale è preponderante. L'ideologia sarebbe un rivestimento di un problema personale. Un grande Maestro contemporaneo, R. Shlomo Wolbe, sostiene che quando l'ira per un torto che si presume di aver subito si unisce a una buona giustificazione ideale e morale la situazione rischia di essere esplosiva.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
Sempre molto attuale, a quanto pare, il dibattito su ebrei e sinistra. Eppure, almeno nel nostro paese, sarebbe forse più importante riflettere ancora sul tema, già anche questo ampiamente studiato ma rimasto in secondo piano, di ebrei e destra, ebrei e fascismo. Un rapporto che, com’è noto, non è stato solamente quello univoco di persecutore e vittima. Ne scriveva in questi termini il grande Giorgio Bassani, recentemente ricordato su queste pagine da David Bidussa: “Anche gli ebrei, che erano quasi tutti borghesi, commercianti, proprietari di terre, eccetera, anche gli ebrei erano quasi tutti fascisti”, che arrivò a dire: “Ho scelto mezzo secolo fa da che parte stare. Mi sono difeso dalla identificazione di me stesso come ebreo entrando nell’antifascismo militante clandestino”.

davar
Terremoto - I giovani, la memoria, il futuro
Una vita dedicata alla scuola quella di Elvira Castelfranchi, figlia di Israel Gedelià e di Anna Levi, nata a Finale Emilia il 25 marzo 1874 e lì scomparsa il 29 agosto 1945, pochi mesi dopo la liberazione. “Nubile (come le tre sorelle sepolte accanto a lei), dopo essersi diplomata maestra elementare nel 1895 a Verona iniziò subito la carriera di insegnante. Nel 1908 divenne titolare di cattedra a finale, dove insegnò ininterrottamente sino al 15 giugno 1938. il primo provvedimento delle leggi razziali emanato il 5 luglio 1938, che espelleva il personale di razza ebraica, le impedì di intraprendere il successivo anno  scolastico, ma continuò a insegnare privatamente (e gratuitamente ai ragazzi più poveri e bisognosi, allo stesso modo dei suoi fratelli Angelo Emilio e Ciro) sino alla morte”, la descrizione che compare nel volume Sigilli di eternità, il cimitero ebraico di Finale Emilia curato dalla storica Maria Pia Balboni (Giuntina, Firenze 2011). Soltanto nel 1995 la riabilitazione del nome della maestra, con la scelta di intestare a lei la scuola elementare del paesino emiliano. Che come tante altre strutture è stata gravemente danneggiata dal terremoto che da settimane sta mettendo a durissima prova la regione. E così le Comunità ebraiche di Modena e di Parma hanno lanciato un appello a quelle di Ferrara e Mantova per indirizzare i fondi raccolti dalla sottoscrizione lanciata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane a favore delle popolazioni colpite dal terremoto proprio alla ricostruzione della scuola Castelfranchi. Il consigliere UCEI Giorgio Mortara, incaricato di coordinare le iniziative di solidarietà, ha raccolto l’iniziativa e si è messo in contatto con le autorità di Finale perché la solidarietà dell’Italia ebraica aiuti i bambini di quella scuola che con il loro apprendimento tengono viva la memoria di quella maestra finalese severa e affettuosa per cui l’insegnamento fu tutto.
Chi desidera partecipare alla sottoscrizione lanciata dall’UCEI, che vi ha contribuito con una quota di fondi dell’Otto per Mille, può farlo versando il proprio contributo al conto corrente bancario intestato all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, IBAN IT40V0200805189000400024817 causale Terremoto Emilia; oppure sul conto corrente postale intestato all’Unione Comunita Ebraiche Italiane numero 45169000 sempre specificando la causale Terremoto Emilia.
Per chi volesse contribuire alla ricostruzione dei beni culturali delle quattro Comunità ebraiche colpite, specificando nella causale “Terremoto 2012, ecco i dati bancari (codice Iban):

Comunità ebraica di Ferrara: IT09F0615513000000000022715

Comunità ebraica di Mantova: IT19O0503411501000000022100

Comunità ebraica di Modena: IT55W0200812925000102122135

Comunità ebraica di Parma: IT82B0693065940000000001687

rt twitter @rtercatinmoked

Israele - Gilad si dà al giornalismo sportivo
L'esordio alla tastiera è avvenuto in gara 3 delle finali Nba tra Oklahama City e Miami Heat. "Un'emozione fortissima" spiega il diretto interessato e non poteva essere altrimenti visto che mastica pallacanestro da quando era bambino. L'interrogativo circolava da tempo nella rete (e non solo): cosa farà Gilad Shalit una volta tornato a ritmi di vita regolari? Proseguirà gli studi? Scriverà un libro sulla sua terribile esperienza di ostaggio? Si darà alla politica come il padre? Una risposta forse l'abbiamo finalmente avuta: farà il giornalista. Sì, perché grazie a Yediot Ahronot, popolare testata che l'ha assunto nella sua redazione sportiva, Shalit avrà adesso la possibilità di confrontarsi sul campo coniugando due grandi passioni: scrittura e agonismo. Si occuperà prevalentemente di basket, spaziando dal campionato israeliano all'Eurolega e alle imprese dei top team della Nba, ma non trascurerà altre discipline. In particolare il calcio, tanto che nelle prossime ore si dividerà tra Polonia e Ucraina per seguire le fasi conclusive di EURO 2012 fino al giorno della finalissima di Kiev.
Nel primo articolo uscito su YH Gilad ha svelato l'importanza decisiva avuta dallo sport nel corso della sua detenzione a Gaza. Radio e televisione sintonizzati sui canali sportivi, quando permesso dai suoi aguzzini, gli avevano infatti dato la possibilità di svuotare la mente dalle privazioni per una boccata d'ossigeno in mezzo a tanta e soffocante sofferenza. Il pallone singolarmente era stato anche il tramite per un confronto diretto con i terroristi altrimenti improponibile. Insieme avevano guardato numerose partite, della nazionale israeliana ma anche dei principali club europei, discutendo di goal, dribbling e altri gesti tecnici come se nulla fosse. Shalit ha raccontato ad esempio di quando, durante l'incontro Hapoel Tel Aviv-Lione valevole per la Champions League 2010-2011, i terroristi di Hamas avevano espresso sincera ammirazione per la rovesciata con cui Eran Zahavi, attaccante adesso di stanza a Palermo, aveva portato in vantaggio i padroni di casa. "Erano sbalorditi - ha scritto - ma li ho visti più contenti quando i francesi hanno pareggiato".

a.s twitter @asmulevichmoked

(Nell'immagine Gilad Shalit con la star della pallacanestro israeliana Omri Casspi)

Qui Napoli - Passo di danza, dal sacro al profano
Quando gli chiedo quale sia la trama del suo spettacolo di danza, Rami Be'er, coreografo dell'israeliana Kibbutz Contemporary Dance Company, ospite al Napoli Teatro Festival Italia, mi sorride pazientemente prima di rispondere: "Ognuno deve scegliere, decidere che cosa significa per lui ciò che vede, io creo immagini e suggestioni, non racconto una storia, non lo faccio mai. A seconda della personalità e delle esperienze vissute, a ogni spettatore i gesti dei ballerini comunicano una situazione diversa”. Sicuramente però un motivo guida c'è, ed è quello che funge da titolo allo spettacolo presentato al festival il 19 e 20 giugno: Bein kodesh le'hol. Costruito tutto attorno al duplice significato di una parola, tanto da far pensare che sia stato il corto circuito linguistico a fornire la materia di ispirazione dell'intero spettacolo, Bein kodesh le'hol significa letteralmente "tra sacro e profano", espressione tipica del mondo culturale e religioso ebraico, presente per esempio nella Havdalà, dove sta a indicare la separazione tra giorno sacro e giorno non sacro. Hol significa però anche sabbia: le due parole in ebraico si scrivono nello stesso modo ma hanno significati diversi. Lo spettacolo di Be'er è in un certo modo il tentativo di risolvere tale ambivalenza, armonizzarla in un unico concetto. Su di un palco cosparso di sabbia, Be'er e i suoi 13 formidabili danzatori creano e distruggono mondi interi nel tentativo di armonizzare cielo e terra, materia e ispirazione. “L'arte è qualcosa di sacro” prosegue Be'er, “Ma è composta da tanti granelli di lavoro duro, concreto e materiale”. La danza in particolare è l'arte più fisica che ci sia, fatta di sudore e piedi doloranti, che conducono però a un risultato sublime, all'illusione che l'essere umano possa liberarsi della propria pesantezza terrestre.
La sabbia riporta anche all'immmagine della clessidra, evocata nel primo quadro, e quindi allo scorrere del tempo, scorrere concreto, della sabbia nel vetro. “Forse questo è il sacro” suggerisce Be'er, “Il tempo esiste prima di tutto, prima che i ballerini inizino a danzare”.
E' possibile anche leggere nella coreografia una Storia delle relazioni umane: dapprima una coppia archetipica, forse Adamo ed Eva, danza in un mondo di terra che si spacca, come appena plasmata. Successivamente, tre uomini che indossano lunghe gonne, “abiti sacri, da Dervisci o da Cohanim”, propone Be'er, compiono un rito. Potrebbero però anche essere androgini, ricollegabili al mito primigenio dell'uomo-donna.
Dopo i tre sacerdoti è il turno di due uomini che si combattono, forse uno la vita selvatica e l'altro la civiltà, simile a una cavia da laboratorio. La storia dei combattimenti tra gli uomini si conclude con una crocefissione che è anche già una deposizione, in cui un danzatore tiene appeso l'altro per le ascelle. Mentre gli uomini si combattono e distruggono il mondo, un gruppo di donne irrompe sulla scena battendo il tempo unanimamente e ristabilendo l'armonia. Si chiude così la coreografia, con uno splendido volo, bianco e ritmato.
“La Kibbutz Contemporary Dance Company risiede nella Galilea occidentale, in un villaggio di danza internazionale all'interno del kibbutz Ga'aton, in un territorio in cui coesistono ebrei e arabi”, mi spiega Yoni Avital, organizzatore delle performance internazionali della compagnia nonché musicista della band israeliana “The Shuk”, a sua volta impegnato nella circolazione di musica ebraica fra Europa e Stati Uniti. “I nostri danzatori sono spesso impegnati in progetti di scambio culturale e insegnano in diverse scuole di danza arabe sul territorio. Inoltre, la nostra compagnia è parte di un progetto della Sochnut, l'Agenzia ebraica, chiamato Masà Machol: giovani danzatori professionisti da tutto il mondo possono perfezionarsi da noi per un semestre. Alcuni negli anni hanno deciso di rimanere, sono entrati a far parte della compagnia e stasera danzano qui a Napoli".
Forse era necessario che fosse una compagnia proveniente da Israele, dove la componente spirituale sembra respirare dentro la sabbia del deserto, a mostrarci in che modo l'essere umano può far da tramite fra cielo e terra. Questa è però solo la mia lettura: come la sabbia assume forme diverse a seconda del recipiente che la contiene, le immagini di Be'er possono raccontare infinite storie a seconda dell'interpretazione soggettiva di chi le guarda.

Miriam Camerini, regista

Triplice appuntamento con la danza di Israele domani sera al Napoli Teatro Festival. La rassegna partenopea, giunta al penultimo giorno di eventi, vedrà infatti protagonisti Vertigo Dance Company (Birth of the phoenix), Kibbutz Dance Contemporary Company (If it all) e Dafi Dance Group (Sensitivity to heat). Il compito di chiudere lo speciale focus sulle nuove tendenze artistiche israeliane, realizzato col patrocinio dell'ambasciata di Israele in Italia (nella foto un momento dell'incontro tra l'ambasciatore Naor Gilon e la dirigenza della Comunità ebraica napoletana svoltosi dopo il concerto inaugurale di Noa) toccherà poi ancora ai Dafi Dance Group con una nuova attessima performance in programma domenica sera al Parco Archeologico di Pausilypon.
Per maggiori informazioni sul programma visita il sito www.napoliteatrofestival.it

Qui Roma - Perché nessuna notte è infinita
L'incubo di un tunnel apparentemente senza uscita: lo sfratto esecutivo, una famiglia (Glauco, sua moglie Karen e la figlioletta Lina) costretta a superare ostacoli durissimi pur di sopravvivere a una precarietà esistenziale che si fa sempre più intensa. Disagio, angoscia ma anche voglia non arrendersi nonostante le avversità sono gli ingredienti di Nessuna notte è infinita (ed. Lantana), nuova prova letteraria di Marco Di Porto dopo l'esordio nel 2007 con la raccolta di racconti Kaddish '95 e altre storie (ed. Pequod) applaudita tra gli altri da Alessandro Piperno. Da oggi nelle librerie, il romanzo è stato presentato in anteprima alla Libreria Pagine e Caffè di Roma da Fabrizio Ruggirello e Filippo Bologna. "Nessuna notte è infinita - assicura quest'ultimo - è un romanzo metropolitano, forte e delicato come un fiore nato in mezzo all’asfalto".

pilpul
Soffermarsi
Anna SegreChe il tema storico dell’esame di stato 2012 sia stato dedicato alla Shoah è in sé un buon segno e da questo punto di vista il comunicato del Presidente Gattegna è condivisibile. Tuttavia confesso che la formulazione ha suscitato in me qualche perplessità. A differenza degli anni scorsi, il tema vero e proprio era preceduto da un testo da cui prendere spunto, tratto da La banalità del male di Hannah Arendt, dal capitolo che parla della conferenza di Wannsee. Non voglio entrare nel merito del libro della Arendt (a cui Pagine ebraiche ha dedicato di recente interventi anche piuttosto critici); a me pare un libro importante e per alcuni aspetti utile dal punto di vista didattico, ma certamente non è – e non intende essere – un libro di storia: più volte ho messo in guardia i miei allievi dall’usarlo come tale, in particolare per quanto riguarda la Shoah in Italia (su cui la Arendt tende a minimizzare, con veri e propri errori, che i ragazzi erano invitati a scovare). Forse nella prova dell’esame di stato sarebbe valso la pena ricordare agli studenti (il sottotitolo “Eichmann a Gerusalemme” non aiuta un granché) che si tratta del resoconto del processo a Eichmann; quindi la conferenza di Wannsee è raccontata essenzialmente per mettere in luce il ruolo assunto in essa dall’imputato e la sua percezione soggettiva di quell’evento:
«[…]La seduta non durò più di un’ora, un’ora e mezzo, dopo di che ci fu un brindisi e tutti andarono a cena – “una festicciola in famiglia” per favorire i necessari contatti personali. Per Eichmann, che non si era mai trovato in mezzo a tanti “grandi personaggi,” fu un avvenimento memorabile; egli era di gran lunga inferiore, sia come grado che come posizione sociale, a tutti i presenti. Aveva spedito gli inviti e aveva preparato alcune statistiche (piene di incredibili errori) per il discorso introduttivo di Heydrich – bisognava uccidere undici milioni di ebrei, che non era cosa da poco – e fu lui a stilare i verbali. In pratica funse da segretario, ed è per questo che, quando i grandi se ne furono andati, gli fu concesso di sedere accanto al caminetto in compagnia del suo capo Müller e di Heydrich, “e fu la prima volta che vidi Heydrich fumare e bere.” Non parlarono di “affari”, ma si godettero “un po’ di riposo” dopo tanto lavoro, soddisfattissimi e – soprattutto Heydrich – molto su di tono”».
Un testo estremamente inquietante, utilissimo per portare i giovani a riflettere appunto sulla “banalità del male”, ma non mi pare che si possa definire un testo storico. Piuttosto lo avrei visto molto bene come spunto per un tema di attualità. Cosa si chiedeva di fare? “Il candidato, prendendo spunto dal testo di Hannah Arendt, si soffermi sullo sterminio degli ebrei pianificato e realizzato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.” Curioso questo “si soffermi”, non “analizzi”, “illustri” o almeno “descriva”, “racconti”. Cosa significa? Se fossi uno studente davvero mi domanderei cosa ci si aspetta da me. Il verbo sembra tradire l’idea che basti fermarsi a riflettere un attimo (o, nel caso specifico, sei ore) per comprendere cosa sia stata la Shoah. Oppure che i racconti, le testimonianze o il resoconto di un processo possano sostituire, anziché affiancare, la riflessione storica.

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Qui Roma - Dj Tomer Maizner,
da Tel Aviv per un'estate in musica
  Leggi la rassegna

Inizia col sound di Israele l'estate romana.
Grande attesa infatti per la performance del dj israeliano Tomer Maizner che domani sera, in un noto locale capitolino, sarà protagonista della performance "From Tel Aviv to Rome". L'evento è organizzato tra gli altri dall'assessorato alle politiche giovanili della Comunità ebraica di Roma.
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.