Dove vanno gli ortodossi – A colloquio con Samuel Heilman
Il mondo degli ebrei ultraortodossi, i haredìm, è da mesi sotto i riflettori. Diversi episodi di cronaca hanno contribuito a focalizzare su di loro l’attenzione. Una bambina insultata per mancanza di modestia nel vestiario sulla strada verso la propria scuola nel villaggio di Bet Shemesh. Ragazzini in tradizionali abiti scuri e peyot (i riccioli che crescono agli angoli del viso) in piazza con la stella gialla sul petto proponendo il paragone tra la minaccia allo stile di vita che subiscono oggi e i tempi delle persecuzioni naziste. Autobus in cui uomini e donne occupano settori diversi. Episodi che hanno suscitato un grande clamore mediatico. Ma è lecito domandarsi se siano veramente rappresentativi di un mondo dalle mille sfaccettature, difficili da comprendere per chi non vi sia particolarmente familiare. “Anche se a un outsider i haredim possono apparire tutti uguali, con le loro barbe e gli indumenti scuri, la comunità haredi è frammentata almeno quanto lo è l’intera galassia ebraica”, spiega a Pagine Ebraiche Samuel Heilman, professore ordinario di Sociologia e direttore del Dipartimento di Studi ebraici al Queens College della City University of New York, nonché autore di numerosi libri e saggi che lo rendono uno dei massimi esperti mondiali delle dinamiche sociologiche delle comunità haredi.
Professor Heilman, che cosa significa studiare la sociologia delle comunità ultraortosse?
Esaminare il ruolo della religione nella società ebraica contemporanea, in particolare mettendo in luce le differenze tra i haredim e coloro che si definiscono “modern orthodox”. A essere sincero però l’espressione ebrei “ultraortodossi” non mi convince. “Ultra” significa qualcosa che va più in là, che va oltre appunto. Mentre invece gli ebrei haredim non sono “più” religiosi degli altri, ma semplicemente osservanti in un modo diverso, e non necessariamente con una connotazione positiva.
Nel suo libro “Sliding to the right” (nell’immagine la pittura a olio in copertina a firma di Max Ferguson), lei fa rifemento a un progressivo scivolamento del mondo ebraico osservante verso un’ortodossia sempre maggiore.
È un’epoca in cui tutto si polarizza, secondo un fenomeno che io definisco “shrinking middle”, restringimento del centro. Il mondo ebraico non fa eccezione. Io sono cresciuto modern orthodox e non sono particolarmente cambiato nel tempo. Viceversa è cambiato l’ambiente intorno a me. Se prima il modo in cui vivo l’ebraismo lo si trovava al centro, oggi è considerato più a sinistra, più progressista. Ci sono diversi fattori che in particolare causano questo spostamento verso destra. Il mondo degli ebrei modern orthodox comincia ad avere dubbi a proposito della propria “modernità”. E c’è un altro fattore fondamentale connesso a questo punto. Per essere al passo coi tempi, gli ebrei modern orthodox hanno rinunciato a produrre figure educative. È ormai molto tempo che i giovani modern orthodox, uomini e donne, aspirano a diventare avvocati, medici, imprenditori, non certo rabbini o insegnanti. Così i professori delle materie ebraiche nelle scuole provengono sempre più dal mondo haredi, che in questo modo esercita un’influenza incredibile sulle nuove generazioni. Che sempre più spesso scelgono di seguire la strada tracciata dai loro maestri e di abbracciarne lo stile di vita.
La prima idea che si ha quando si pensa al mondo degli ebrei ultraortodossi è quella di un gruppo sociale che vive ricreando l’esistenza del passato. Corrisponde alla realtà?
Questa rappresentazione costituisce senza dubbio un falso mito. Loro idealizzano un passato che non è mai esistito nel modo in cui lo dipingono. Per esempio, si parla del mondo delle grandi yeshivot che esistevano negli scorsi secoli, ma in realtà non c’è mai stato nella storia un momento in cui studiavano nelle yeshivot più persone di quante ne studiano adesso. E questo è possibile proprio grazie al supporto che mette loro a disposizione il mondo moderno: dal punto di vista economico, ma anche di sicurezza, basti a pensare in Israele alla protezione che fornisce loro l’esercito, in cui gli ebrei haredim non devono nemmeno prestare servizio.
Israele e gli Stati Uniti sono i due paesi del mondo in cui le comunità ebraiche ultraortodosse sono numericamente significative.La maggior parte degli episodi che hanno suscitato tanto scalpore è accaduta in Israele. È un caso oppure ci sono delle differenze tra i haredim americani e quelli israeliani?
La più grande differenza è che in Israele gli ebrei haredim sentono che lo Stato debba appartenere a loro, mentre in America sono consci di essere la minoranza di una minoranza. E di conseguenza non sono pronti ad avanzare le stesse pretese. In Israele in alcuni quartieri haredi le strade sono chiuse al traffico di Shabbat. Negli Stati Uniti nessuno chiederebbe una cosa simile. Viceversa il rapporto di molti haredim con Israele ha qualcosa di paradossale: il loro punto di vista è quello di visitare o di vivere in una terra che è sacra non grazie allo Stato d’Israele, ma nonostante lo Stato d’Israele.
I posti separati sull’autobus, la modestia nell’abbigliamento. Il ruolo della donna in questi mesi è stato spesso al centro delle tensioni.
Il ruolo della donna è una delle più grandi sfide dell’ebraismo ortodosso contemporaneo. Un tempo per capire quanto un ebreo osservante fosse davvero “modern” si guardava a che tipo di laurea avesse conseguito, o alla sua professione. Oggi si deve guardare a quello che fa sua moglie. Anche nel mondo haredi le cose stanno cambiando. Le donne sono una fondamentale fonte di reddito nelle famiglie, perché gli uomini passano tutto o la maggior parte del loro tempo a studiare. Grazie alle nuove tecnologie, che consentono di lavorare anche da casa, il potere economico delle donne si è accentuato ancora di più. E dal potere economico scaturisce il potere sociale e politico. Oggi le donne haredi sono molto più istruite, sia dal punto di vista degli studi ebraici che secolari. E ci sono importanti movimenti ultraortodossi, come i Lubavitch, in cui il ruolo della donna è già centrale. Questo non significa che ci sia perfetta uguaglianza. Ma la condizione della donna nel mondo ebraico è già molto cambiata rispetto al passato e mi aspetto che cambi ancora di più nei prossimi anni.
Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, febbraio 2012
Samuel Heilman è nato negli Stati Uniti nel 1946, figlio di genitori polacchi sopravvissuti alla Shoah. È professore di Sociologia al Queens College della City University of New York, dove dirige il Dipartimento di Studi ebraici, e ha insegnato in numerosi atenei in tutto il mondo, tra cui l’Università ebraica di Gerusalemme, l’Università di Melbourne e l’Università di Nanchino. La sua principale area di interesse scientifico sono le dinamiche sociali delle comunità ebraiche ortodosse, alle cui diverse sfaccettature ha dedicato numerosi libri. L’ultimo, scritto insieme a Menachem Friedman, professore emerito di sociologia della Bar Ilan Unversity, è stato pubblicato nel 2010 e si occupa della figura dell’ultimo rebbe del movimento chassidico Lubavitch: The Rebbe: the life and the afterlife of Menachem Mendel Schneerson. Un libro che ha fatto molto discutere e che ha conquistato numerosi riconoscimenti, tra cui il 2010 National Jewish Book Award nella categoria American Jewish Studies. Heilman collabora inoltre con diverse testate giornalistiche, ebraiche e non.