Gli israeliani? Lavorano più di 50 ore a settimana
Ma restano soddisfatti della loro qualità di vita
Si può misurare statisticamente quella che viene definita la “qualità della vita” degli abitanti di un paese e compilare una classifica internazionale? Da molti anni gli economisti sono consapevoli del fatto che la misura di benessere comunemente utilizzata per misurare il polso di un’economia e fare confronti tra paesi, ossia il prodotto interno lordo (il reddito generato in un anno in un paese), è per molti versi inadeguata, soprattutto perché essendo una media non tiene conto delle diseguaglianze (i “polli di Trilussa”) e perché ignora altri fattori che determinano il benessere degli abitanti oltre al reddito, come la salute, l’istruzione, la sicurezza, il tempo libero.
Il sogno di molti economisti è diventato realtà grazie a un nuovo progetto dell’OCSE, l’organizzazione che riunisce le 34 economie avanzate del mondo e alla quale partecipa, da circa un anno, Israele. L’OCSE ha creato una banca dati, che viene aggiornata periodicamente, in cui si misura il benessere degli abitanti di ogni paese (Better life index) in base a 11 parametri. Tre di questi parametri si riferiscono alle condizioni di vita “materiale”: reddito e ricchezza; quota di popolazione che ha un lavoro; qualità delle abitazioni. Gli altri otto sono invece indicatori “immateriali” di qualità della vita: salute, equilibrio tra lavoro e vita privata, istruzione, rete di relazioni sociali, impegno civico, qualità dell’ambiente, sicurezza personale, benessere soggettivo percepito.
La classifica generale dei 34 paesi non riserva sorprese: in testa alla classifica, basata su una media calcolata assegnando lo stesso peso a ognuno degli undici indicatori, nelle prime sei posizioni si trovano paesi anglosassoni (Australia, Canada, Usa) e scandinavi (Svezia, Norvegia e Danimarca); nelle ultime posizioni, come prevedibile, paesi di recente industrializzazione: all’ultimo posto vi è la Turchia, preceduta da Messico, Cile ed Estonia. Israele si colloca in posizione quasi mediana, al ventesimo posto, subito dopo il Giappone ma prima della Spagna (ventiduesima) e dell’Italia (ventiquattresima).
Come è prevedibile, data la sua industrializzazione relativamente recente Israele è svantaggiata rispetto agli altri paesi dell’OCSE sui parametri strettamente economici (“condizioni materiali”), come il reddito pro capite, la dimensione dell’alloggio (1,2 stanze per persona, contro 1,6 della media OCSE) e la sua qualità (il 5% delle abitazioni non ha bagno in casa, contro il 2,8% della media OCSE), partecipazione al mondo del lavoro (solo il 59% degli israeliani ha un’occupazione, contro una media OCSE del 65%). Tuttavia, gli israeliani “vivono meglio” rispetto alla media dei paesi OCSE se si considerano gli otto indicatori di “qualità della vita”, in particolare la salute (l’aspettativa di vita alla nascita è più elevata che altrove), la sicurezza personale (ci sono meno rapine e aggressioni), l’istruzione (vi è una percentuale più elevata di diplomati e laureati che altrove).
Infine vi sono due indicatori di “qualità della vita” particolarmente interessanti perché forniscono risultati apparentemente paradossali. Da un lato gli israeliani si collocano in posizione bassissima in graduatoria per quanto riguarda l’equilibrio tra il tempo dedicato al lavoro e alla vita privata, perché lavorano molto: il 23% degli israeliani lavora più di 50 ore la settimana (solo i giapponesi, i coreani e i messicani “sgobbano” di più) e ai lavoratori israeliani rimangono in media dopo il lavoro 15 ore al giorno da dedicare al sonno, alla cura di se stessi e al tempo libero (peggio fanno i giapponesi, a cui ne rimangono circa 14, meglio di tutti i belgi, con quasi 17 ore libere).
Nonostante lo stile di vita da workaholics, e qui sta il paradosso, gli israeliani si sentono in media più “felici” dei cittadini di altri paesi: ben il 72% degli israeliani si dice “soddisfatto della propria vita”, una delle percentuali più elevate tra i 34 paesi esaminati. A confermare il paradosso è il fatto che l’Italia è in una situazione diametralmente opposta: rispetto agli altri paesi agli italiani rimane mediamente più tempo libero dopo il lavoro (grazie al minor numero di ore lavorate) ma nel contempo l’Italia è in bassa classifica per quanto riguarda il senso di “soddisfazione” (solo il 54% si considera soddisfatto della propria vita. In altre parole, non è detto che lavorare di meno e avere più tempo libero renda più felici.
Aviram Levy, Pagine Ebraiche, febbraio 2012