In Darkness, un viaggio straziante nelle tenebre
In Darkness, un titolo che evoca istantaneamente la paura, presenze sinistre, l’impossibilità di fuggire se non tastando maldestramente alla ricerca di qualche punto di riferimento. Un tipico titolo da film horror da guardare stringendo forte i braccioli della poltrona. Ma le tenebre possono uscire dallo schermo, invaderci e farci tornare a quello stato infantile di paura irrazionale. Le tenebare possono essere ispirate a una storia vera. E questo è il nostro caso. Lvov, 1943, una cittadina stracciata e sfilacciata dalla guerra. Nessuno è al sicuro, tutti si guardano con sospetto, a Socha viene offerta una pericolosa quanto redditizia opportunità: nascondere degli ebrei in cambio di denaro. E quale luogo migliore se non nelle gallerie sotterranee dove si trova l’impianto fognario che per lavoro conosce molto bene? Da questo punto il film si sdoppia: le vicende degli ebrei sotto la terra che vivono nell’umidità e nel terrore costante e la gente che invece cammina inconsapevolmente sopra le loro teste. Il film è tratto dal libro di Robert Marshall ed è dedicato a Marek Edelman che fu uno dei promotori della coraggiosa rivolta del ghetto di Varsavia. La regista Agnieszka Holland ricostruisce con grande cura un ambiente claustrofobico che porta perfino gli spettatori a volere disperatamente uno sprazzo aperto sul cielo. Racconta di quanto, nonostante i numerosi film che trattano il tema della Shoah, sia necessario porsi la domanda: “Dove era finito l’uomo? Come ha fatto l’anima a tingersi di nero?” La Holland sottolinea quanto sia stato importante rendere i personaggi ebrei degli umani con le loro imperfezioni che li rendono reali, quindi insistendo ancora di più sul dovere di salvarli. Socha è un personaggio a tutto tondo, che cambia con il passare del tempo, il suo non è più un mero business ma diventa la causa per la quale lottare. Per dare realismo al lungometraggio sono stati fatti sopralluoghi nelle gallerie sotterranee di Berlino e Lodz ed è stato studiato il dialetto polacco di Lvov. Il direttore della fotografia Jolanta Dylewska evidenzia come il buio sia una metafora e come Socha, il salvatore, sia sempre seguito da una luce caratteristica. Un film che gira intorno alla dualità e alla contrapposizione: la luce e il buio, sopra la terra e sotto di essa, universalizzando questa storia particolare con la situazione generale dello sciagurato periodo. Ma le opposizioni vengono mitigate anche dal grigio, dalla profonda analisi psicologica dei personaggi che li rende vicini a noi. E questo acuisce la drammaticità, proprio il fatto che si parli di gente comune, non cavalieri senza macchia o maschere caricaturali, avvicina terribilmente lo spettatore allo schermo. Non sono i nostri sfortunati correligionari polacchi del 1943 a vivere con i piedi bagnati e il cibo centellinato, improvvisamente Lvov siamo noi. E calano le tenebre.
Pagine Ebraiche, marzo 2012