Emilio Giannelli: Ascolto la gente

Dopo tanti anni ti fai la mano, innesti il pilota automatico e affrontare un brusco cambiamento da un momento all’altro non è uno scherzo. Quando Silvio Berlusconi è salito al Quirinale per annunciare le dimissioni, in molti si sono chiesti come se la sarebbe cavata chi giorno dopo giorno lo aveva implacabilmente seguito e ritratto nella sua veste di presidente del Consiglio. Emilio Giannelli per raccontare come si sente in questi giorni prende la matita e in pochi tratti mette nero su bianco questa stagione del suo lavoro. Le figure di Andreotti, Bossi, Berlusconi, Bersani e Napolitano volano via dalla sua attenzione e al loro posto arriva in prima pagina Mario Monti. In prima pagina. Perché non importa chi sia l’inquilino di Palazzo Chigi, sta di fatto che la vignetta di Giannelli segna da vent’anni i sorrisi, ogni giorno della settimana, dei lettori del Corriere della Sera. Ironico senza aggressività, pungente senza volgarità, il primo vignettista italiano si racconta a margine di una festa in Toscana fra vecchi amici e antichi compagni di classe.
Si gode Siena nei fine settimana e via Solferino nei giorni lavorativi?
Ma quale via Solferino, a Milano ci vado pochissimo, non mi muovo quasi mai dalla mia città.
Come sarebbe, e tutti questi personaggi che appaiono sulle vignette, quando li frequenta?
Li vedo con gli occhi con cui li guarda la gente comune. È la gente comune che mi serve di frequentare per fare le vignette, non i potenti. È da loro che ho imparato il senso dello spirito, che colgo le battute.
Il senso dello spirito è una caratteristica di voi toscani?
Non saprei, forse sì. Certo è che dalla gente incontrata per strada ogni giorno se ne sentono di tutti i colori. E si colgono espressioni uniche.
Per esempio?
Proprio in questi giorni me ne sono capitate due. Andando sotto casa a comprarmi un pezzo di formaggio ho sentito un tale rivolgersi ad alta voce al commerciante che metteva sulla bilancia qualche foglio di carta senza segnare la tara in questi termini: “Piano, piano, non ce la mettere tutta questa carta, con quello che ti costa”. Andando a fare due passi in campagna ho visto qualche mese fa una signora rivolgersi a un contadino chiedendo: “Scusi, si potrebbe mangiare uno di questi frutti?”, peccato però che il frutto lo avesse già in bocca. “Mah, pare di sì”, è stata la risposta. Sono solo frammenti, cose piccole, che lasciano capire come le espressioni della gente siano portatrici di una saggezza profonda.
Siamo ormai alla vigilia di Purim, che i non ebrei definiscono per semplicità un carnevale ebraico e il giornale sta lavorando su alcune pagine dedicate proprio al senso dell’umorismo. Il mondo dell’umorismo ebraico, del witz: le interessa? Ci regala qualche suggerimento, qualche pista da seguire?
Certo che mi interessa. Naturalmente è un mondo che vedo dall’esterno, ma mi sta molto a cuore. Mi sta a cuore e ho imparato a conoscerlo attraverso gli occhi di alcuni amici ebrei, che in certi casi sommano la loro identità di ebrei e di toscani. E per quello che tutti i cittadini hanno modo di conoscere, di vedere, per esempio al cinema.
Cosa le è piaciuto, al cinema?
Secondo me bisogna distinguere fra l’umorismo ebraico e l’umorismo di chi tratta di questioni che in un modo o nell’altro riguardano gli ebrei. Sono due cose diverse.
Un esempio concreto?
Prendiamo due film in fondo dedicati allo stesso argomento, uno mi è molto piaciuto, uno meno. Train de vie di Mihaileanu mi ha coinvolto, Roberto Benigni con La vita è bella mi ha convinto molto meno. C’è qualcosa che suona falso e che non ho nemmeno trovato divertente. È solo una libera impressione, non è detto che si debba essere tutti d’accordo. Anzi, credo che non tutti i miei amici ebrei si direbbero d’accordo con me.
Il senso dello spirito, la battuta, la satira. Devono far sorridere o devono dissacrare, devono ferire?
Credo che debbano far sorridere, con garbo. Ma non è escluso che anche un sorriso possa ferire qualcuno.
Le sue vignette le hanno creato talvolta imbarazzi, difficoltà, hanno suscitato censure?
Innanzitutto credo sia giusto raccontare che un vignettista di solito lavora sulla base di un suggerimento riguardo ai temi trattati da parte della redazione del suo giornale. Soprattutto nel mio caso, visto che la mia vignetta appare regolarmente sulla prima pagina del Corriere, è logico che il tema sia molto influenzato dagli argomenti che la redazione porta in prima pagina. In secondo luogo un vignettista di norma elabora diverse ipotesi, invia in redazione diverse vignette e infine la direzione sceglie cosa pubblicare. E non sempre nella gamma possibile viene scelta l’ipotesi più corrosiva. Detto questo, come vignettista del Corriere mi sento libero di esprimermi con grande libertà.
Lei è noto per i rifiuti che oppose ad altri grandi giornali. Altrove come si sentirebbe?
Bisogna valutare di caso in caso. È vero che dissi no alla Stampa e anche a Montanelli che mi voleva insistentemente al Giornale. Non volevo dispiacere né offendere nessuno, ma per un motivo o per l’altro non mi sarei sentito a mio agio.
Come si sente un vignettista colto sul fatto a scambiare battute fra tanti amici, i vecchi compagni di classe del prestigioso liceo classico di Siena, che sono si sono fatti strada nelle professioni?
In fondo anch’io sono un professionista. Sono un avvocato, ho lavorato in una grande banca, il Monte dei Paschi di Siena di cui ho diretto l’Ufficio legale e poi la Fondazione. Fare il vignettista è stata la mia passione, ma posso considerarla la mia seconda vita.
E gestire queste due vite parallele ha creato imbarazzi, problemi?
No, non direi. E in fondo in questo Siena mi ha dato una mano. Sono sempre stato trattato con benevolenza e i momenti di difficoltà veramente non si possono considerare significativi. Forse anzi è stato un bene. In fondo quando ho ricevuto attacchi ho sempre pensato di essere fortunato ad avere due lavori, ad avere una possibilità di scelta.
Fare il vignettista è un lavoro o un divertimento?
Quando si deve pubblicare una vignetta al giorno, senza mai soste, tutti i giorni dell’anno per tanti anni, più che un lavoro lo si potrebbe considerare una schiavitù. Ma disegnare, fare battute, è anche un passatempo. Lei nel suo tempo libero a cosa si dedica? Faccio battute, faccio vignette. Per esempio per la gente di Siena. Quando c’è il Palio mi diverto a ritrarre tutti, è un gioco fra di noi, ma in città, per noi, è importante.
Lei è un senese, a che contrada appartiene?
Da vignettista cerco di essere imparziale, ma la mia contrada è quella del Drago.

Guido Vitale