Renzo Gattegna: “Presidente di tutti”
Il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha tenuto, presentando la sua candidatura alla guida dell’Unione in occasione del Consiglio della scosa domenica, 1 luglio, il seguente intervento programmatico:
Cari consiglieri, cari amici, certamente a voi interessa sapere perché ho deciso di candidarmi per il Consiglio dell’UCEI e anche perché ho deciso di dare la mia disponibilità a essere candidato per la presidenza. Le mie motivazioni sono forti e discendono tutte da un’unica convinzione che è maturata soprattutto nei sei anni trascorsi, durante i quali ho ricoperto la carica di presidente dell’Unione. Ritengo che sia iniziata per gli ebrei una nuova era. E spiego in che senso. Noi tutti apparteniamo a quelle fortunate generazioni che, dopo la Shoah, hanno assistito o partecipato alla nascita dello Stato di Israele e che hanno conquistato libertà, eguaglianza, rispetto, piena partecipazione e integrazione nella vita dei paesi democratici nei quali viviamo. Devo ammettere che questa convinzione è fondata su fattori diversi, alcuni sentimentali, altri razionali. Per mia natura sono un ottimista, ma spero di riuscire sempre a conservare, ben salda, una forte dose di sano realismo. Quindi spero, anzi credo, che tutti i cambiamenti che sono avvenuti non solo in Italia, ma nel mondo, abbiano fatto nascere una congiunzione di fattori che ci permette di tentare di imprimere una svolta decisiva alla nostra storia e al nostro futuro. Ritengo che esistano le condizioni e che noi abbiamo acquistato la forza sufficiente per abbattere una volta per tutte i pregiudizi e le discriminazioni e uscire definitivamente dalla condizione di gruppo perseguitabile impunemente e diventare invece il popolo simbolo della sconfitta del razzismo sotto qualsiasi forma e contro chiunque.
Forse sono un sognatore, un illuso a dire questo. Ma non credo, al contrario e ritengo che sarebbe colpevole non saper leggere e interpretare i segnali che provengono dalla società. Se non li riconoscessimo, li ignorassimo, li trascurassimo, ricadrebbe sulle nostre spalle, di leaders ebraici, la responsabilità di aver perso un’occasione storica, forse unica, forse irripetibile, di decidere il nostro futuro e di non subire più le iniziative e le decisioni altrui. Questa è la grande novità dei tempi nostri. Se in passato gli ebrei hanno imparato a sopravvivere nella povertà, nella segregazione, fra le persecuzioni; oggi gli ebrei devono adeguare i loro comportamenti e il loro modo di rapportarsi con il mondo, devono essere all’altezza di inventare nuovi modelli, nuove categorie. Per essere più chiaro, cito alcuni esempi: dopo esserci adattati ai ghetti, dobbiamo imparare a vivere in un mondo senza muri e senza confini; dopo aver imparato a vivere privati dei diritti fondamentali, dobbiamo imparare a gestire bene la libertà di pensiero, l’eguaglianza e il dialogo con tutti, proponendoci senza remissività e senza arroganza, senza defilarci, per non apparire e senza cadere in dannose, fastidiose e ingiustificate sovraesposizioni; dopo aver imparato a riconoscere e a evitare i nemici, dobbiamo imparare a conquistare sempre nuovi amici.
Qualcuno potrebbe obbiettare che esiste ancora l’antisemitismo e che Israele subisce quotidiane aggressioni e minacce. Sono fatti ed eventi che vanno tenuti d’occhio, controllati, contrastati e combattuti efficacemente, ma dobbiamo evitare di cadere nell’errore di ingigantirli e di enfatizzarli, sia per non far apparire i nostri nemici più forti e più importanti di quanto essi siano, sia per non proiettare un’immagine di noi stessi costantemente nel ruolo di vittime. Ricordiamoci che le vittime non ispirano né simpatia, né amore, né rispetto, né ammirazione. Al massimo possono suscitare pietà e commiserazione e non è questo che noi vogliamo. Sarebbero atteggiamenti vecchi, non più attuali e sarebbero dei regali fatti ai nostri nemici. Negli ultimi decenni molte delle nostre risorse e delle nostre energie intellettuali sono stati concentrati sui due grandi eventi del secolo scorso: la Shoah e la memoria della Shoah e la nascita dello Stato di Israele e la vita e la sicurezza dello Stato di Israele. Ritengo che senza nulla togliere all’importanza di questi argomenti sia oggi maturo e necessario nel mondo ebraico un allargamento dei temi che non dobbiamo perdere di vista. Noi non siamo mai stati e non vogliamo essere considerati il Popolo della Shoah, noi siamo il Popolo ebraico con tutte le sue tradizioni e tutti i suoi valori. La Shoah ci riguarda perché ci ha colpito in maniera disumana e ne siamo stati le vittime maggiori, ma un’analisi interiore dovrebbe essere compiuta da tutti coloro che l’hanno realizzata, che ne sono stati complici, che non si sono opposti, che si sono voltati dall’altra parte per non guardare e quindi deliberatamente non vedere; ma ormai, più che i diretti responsabili, abbiamo di fronte i loro eredi spirituali. Lo Stato di Israele, un grande evento che ha del miracoloso, una parte di noi stessi e della nostra vita, un oggetto di orgoglio, di ammirazione e di amore. La nostra condizione di ebrei italiani non può e non deve essere trasformata e vissuta come quella di israeliani irrealizzati. Chi vuol fare l’Aliyah deve essere aiutato a realizzare il suo sogno. Ma chi rimane nella Diaspora deve essere cittadino a pieno titolo del proprio Stato ed essere cosciente dell’importante funzione che può svolgere nell’ambito ebraico, in tutti i campi, compreso quello politico. L’impegno politico è qualcosa di importante e di nobile, che deve essere svolto da chi lo desidera e ritiene di averne le capacità. Ma le istituzioni ebraiche non possono intrattenere alcun tipo di contiguità o di collateralità con alcun partito, e devono rapportarsi sempre con le istituzioni. Sarebbe anche un regalo ai nostri nemici esagerare e accentuare le diverse posizioni ideologiche e politiche e le possibili tensioni interne fra differenti gruppi ebraici.
Trasformare la dialettica interna in conflitti sarebbe un modo per arrecare a noi stessi un duplice danno, indebolendoci in senso culturale e politico e proiettando all’esterno un’immagine di frantumazione e di discordia che minerebbe il prestigio e la rappresentatività delle nostre istituzioni. L’unico modo per uscire vincitori di fronte a tutte queste sfide è quello di realizzare come minimo la concordia interna e il rispetto reciproco, come massimo l’unità nel governare e nel lavorare tutti insieme per obbiettivi condivisi. Per tutte queste ragioni lavorerò intensamente per la creazione di organi rappresentativi all’interno dei quali tutte le forze siano adeguatamente presenti. A questo intendo puntare con forza e determinazione, per offrire a tutti la possibilità di donare alle Comunità la propria intelligenza, la propria professionalità, il proprio talento. Questo è l’unico modo di governare che intendo adottare se potrò godere della vostra fiducia e se mi concederete l’onore di ricoprire in questo mandato la carica di presidente. Il presidente di tutti.