“Speranza e reciproche aspettative” La stampa ebraica riaccoglie Obama
“Sappiamo tutti che questa vittoria non è come quella di quattro anni fa e che Obama non ha potuto soddisfare tutte le aspettative, alcune obiettivamente impossibili, che l’elettorato americano riponeva nel suo mandato. Lo conosciamo meglio adesso. Sappiamo i suoi difetti e i suoi punti deboli. Auspicabilmente li conosce anche lui”. Si intitola Great expectations ed è un appello ai grandi obiettivi condivisi (e da condividere) l’editoriale con cui Forward, giornale ebraico più influente d’America, accoglie la conferma di Barack Obama alla Casa Bianca. Dalla crisi economica al sociale, dal riconoscimento dei diritti civili alla politica estera, l’intervento – pubblicato senza firma sulla home del sito – è un doppio richiamo alla responsabilità: abbiamo il diritto di aspettarci di più da questo secondo quadriennio, si afferma, “ma allo stesso tempo il presidente ha il diritto di aspettarsi qualcosa di più da noi, i cittadini che governa”. “Obama finds the Promised Land Again”, titola invece Tablet, altro magazine ricco di informazioni sulla particolare declinazione del voto ebraico. Un voto come noto in larga parte democratico ma che in questa circostanza sembrerebbe aver registrato una piccola ma significativa ‘migrazione’ repubblicana. Lo confermerebbe un sondaggio appena divulgato dalla CNN: il dato di cui si parla è il 31 per cento. Per Nathan Guttman, ancora su Forward, “resta comunque una vittoria ebraica”. L’uomo d’affari George Soros, tra i massimi finanziatori della campagna democratica, si dice intanto convinto che con la conferma di Obama sarà possibile rafforzare un’azione politica sensibile e più attenta al sociale. “Sono contento che abbia vinto – afferma – con la sua rielezione l’elettorato americano ha rigettato alcune posizioni estremiste della controparte”.
Delusione palpabile nella galassia dei movimenti ebraici di appoggio al candidato repubblicano. Soprattutto sui social network, con interventi caratterizzati da grande amarezza e sfiducia. “Per Israele saranno tempi molto duri”, scrive un blogger alludendo alle presunte ambiguità di Obama sulla politica mediorientale. Ma c’è anche chi come Reuven Boruch, admin della pagina Facebook di Jews for Romney, invita a voltare pagina e a rimboccarsi le maniche nel nome del bene comune e dello spirito di unità. “Come on guys, it’s time to move on”, il suo post. Delusioni dall’urna anche per rav Shmuley Boteach, rabbino ortodosso protagonista del dibattito etico e religioso nazionale. In corsa con i repubblicani per un seggio nello Stato del New Jersey, è stato sconfitto dal democratico Bill Pascrell. Molto interessante infine, per restare negli ambienti conservatori, la ferma denuncia di Commentary, testata fondata nel 1945 dall’American Jewish Committee. “Sottovalutare l’appeal di cui continua a godere Obama – si legge sul web – è stato un errore gravissimo”.
Da Israele, dove non sono mancati appuntamenti di piazza per seguire le dinamiche del voto, arrivano le congrutalazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu. “Il patto strategico fra Israele e Stati Uniti – ha commentato – è più forte che mai. Continuerò a lavorare con il presidente Obama per garantire gli interessi essenziali per la sicurezza dei cittadini di Israele”. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro della Difesa Ehud Barak, che si è detto fiducioso per un futuro di armonia e collaborazione: “Credo – ha affermato – che nella tradizione di profonda amicizia e nello sfondo di condivise esperienze accumulate con il presidente Obama saremo in grado di superare tutte le nostre differenze”.
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