Shimon Peres al TG1

Il presidente israeliano Shimon Peres ha rilasciato un’intervista al corrispondere Rai in Israele Claudio Pagliara andata in onda al TG1 delle 20 di domenica 18 novembre. Questa la trascrizione completa dell’intervista.

Signor Presidente, quali sono le condizioni israeliane per un cessate il fuoco?
Israele non ha iniziato a fare fuoco, quindi non abbiamo nessuna intenzione di mantenere il fuoco. Se il fuoco viene fermato, allora non ci sarà alcun fuoco da parte nostra. Israele non ha messo nessuna condizione. Israele dice “Vogliamo essere sicuri che i nostri figli possano andare a scuola senza cadere in un’imboscata di razzi, che le nostre mamme possano avere una notte di sonno intera”. Non abbiamo l’intenzione di conquistare Gaza, di restare a Gaza. Non abbiamo nessun altro scopo. La natura del confronto è terribile. Sparano contro i nostri civili, i nostri bambini, le nostre donne. Noi stiamo molto attenti a sparare solo contro quelli che sparano ai nostri bambini e madri.

Dall’operazione Piombo fuso il contesto regionale è cambiato radicalmente in Medio Oriente. Teme che la guerra di Haza possa estendersi e diventare una guerra regionale?
E perché? Quello che sta succedendo nel Medio o fondamentalmente non ha nulla a che vedere con Israele. I ribelli in Siria non hanno connessioni con Israele, la battaglia contro Gheddafi non ha niente a che vedere con Israele. Tunisia? Nulla a che vedere con Israele. Egitto? Nulla a che vedere con Israele. C’è un risveglio nel mondo arabo. Devono decidere se vogliono entrare nella nuova era della scienza, o no. Ma non è legato a Israele. Che cosa si ottiene sparando a Israele? Israele ha vissuto ormai molte guerre, abbiamo 64 anni, abbiamo passato sette guerre, in inferiorità militare e di uomini, e non ne abbiamo persa neanche una. Continueremo a difendere la nostra esistenza. Sappiamo che ci sono forze che vogliono distruggere Israele. Non abbiamo nessuna intenzione di dar loro soddisfazione.

Come giudica le misure prese dal presidente egiziano Morsi, dai Fratelli musulmani verso Gaza?

Apprezzo la sua posizione, l’Egitto è il più grande e il più importante paese arabo. Il presidente Morsi è stato eletto correttamente in elezioni libere, rispettiamo i risultati delle elezioni e rispettiamo il suo sforzo di porre fine al fuoco. Non è Israele a rifiutare le sue proposte, è Hamas a rifiutarle. Vogliono avere un cessate il fuoco nel quale loro abbiamo il diritto di sparare, e noi non abbiamo il diritto di rispondere. Questo non è un cessate il fuoco.

C’è il timore in Occidente che l’offensiva diventi terrestre con un alto numero di vittime civili a Gaza.
Non dipende da Israele, dipende da Gaza. Se Gaza smette, il fuoco si fermerà, se il fuoco aumenta, continueremo a difendere le nostre vite. Tutti i nostri amici ci dicono “Guardate, non fate questo, non fate quello”. Io chiedo loro “Cosa fareste voi? Cosa ci suggerireste di fare? Se aumentano il fuoco, dobbiamo smettere di difenderci?”. Non siamo lì in cerca di gloria o per autosoddisfazione, facciamo quello che ogni governo farebbe: difendere le vite dei propri cittadini. È tutto. E qualunque cosa sia necessaria per la difesa, il governo e l’esercito lo faranno, in modo ordinato, con estrema attenzione a non colpire civili.

Presidente c’è una sensazione di déjà vu in questo conflitto. Quattro anni fa c’è stato Piombo fuso, adesso un’altra operazione, questa guerra non si ferma mai. Lo dico a lei, che è un Premio Nobel per la pace, si ripete sempre.
Non è a causa nostra. Abbiamo fatto una lunga strada. Abbiamo fatto pace con l’Egitto. Abbiamo restituito tutta la terra e l’acqua. Abbiamo fatto la pace con la Giordania e restituito tutta la terra e tutta l’acqua. Abbiamo iniziato con i palestinesi, e gli abbiamo detto che siamo pronti ad avere una soluzione di due Stati. Un déjà vu forse, ma il nostro déjà vu è fare la pace, e il loro déjà vu è cercare di distruggerci. Non è lo stesso vu. Continueremo i nostri sforzi per raggiungere la pace, non ci stancheremo. Ma allo stesso tempo, non permetteremo che il nostro popolo sia vittima di pazzi attacchi, del concetto di morte.