Yad Vashem ha deciso: il cardinale Dalla Cosa Giusto fra le Nazioni
Elia Dalla Costa (1872-1961), arcivescovo di Firenze negli anni bui delle persecuzioni, è Giusto fra le Nazioni. Il conferimento dell’onoreficenza da parte dello Yad Vashem sta suscitando grande attenzione nel mondo ebraico e in quello cattolico.
“L’iscrizione nel registro dello Yad Vashem – commenta l’attuale arcivescovo di Firenze, cardinal Giuseppe Betori – raggiunge un pastore ancora nel cuore dei fiorentini con un gesto che rafforza l’amicizia e il dialogo fra la chiesa cattolica e il popolo ebraico. Il cardinal Dalla Costa, con il suo agire e il suo dire, ha riaffermato come la dignità inviolabile della persona non possa mai essere messa in discussione da nessuna ideologia. Quello dello Yad Vashem è un prezioso contributo a riscoprirlo e pregarlo mentre è in corso la sua causa di beatificazione”.
Una memoria comune tra ebrei e cattolici. È quella che auspica Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano, riferendosi in particolare all’acquisizione di nuovi documenti che dimostrerebbero come quella portata avanti dalle alte sfere vaticane sia stata un’operazione di soccorso ai perseguitati concentrata più sulle azioni che sulle parole. “L’atteggiamento nei confronti del ruolo svolto da Papa Pacelli – osserva il giornalista – sta lentamente facendosi più equilibrato, questo anche perché si preferisce far parlare documenti e testimonianze come d’altronde sta facendo da diversi anni proprio l’Osservatore romano con articoli e interventi di cattolici e non. Ho fiducia che col passare del tempo questa memoria diventi sempre più larga e riconosciuta sia da ebrei sia da cattolici. Poi naturalmente il dibattito resta aperto”.
Ma esiste anche una lettura completamente opposta a quella che filtra dal Vaticano.
Quando sei mesi fa il direttore è intervenuto all’improvviso sul giornale in chiusura liberando due facciate di Pagine Ebraiche da dedicare alla figura di Elia Dalla Costa (“Nuova luce sul cardinale del coraggio”), molti di noi in redazione si sono domandati cosa gli fosse saltato in testa. La sua risposta, allora, fu enigmatica: “A Roma votarono gli uomini, ma a Gerusalemme un giorno, forse molto presto, voteranno gli angeli”. Era il riferimento a una frase mormorata al cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani al termine del conclave che portò all’elezione di Pacelli (“Avessero votato i diavoli avrebbero scelto me, avessero votato gli angeli sarebbe stato eletto Elia Dalla Costa. Ma questa volta hanno votato gli uomini”). La soluzione ha tardato mesi ad arrivare, ma ieri in serata, quando le agenzie di stampa hanno battuto la notizia del conferimento da parte dello Yad Vashem dell’altissimo riconoscimento, l’enigma ha finalmente trovato una risposta.
Nella riunione di redazione di questa mattina, Guido Vitale ha finalmente spiegato perché a suo avviso ci troviamo di fronte a una notizia molto significativa. Quello che in genere è destinato a rimanere fra le mura della redazione in questo caso può forse interessare il lettore. “Con questa azione – ha detto – lo Yad Vashem sembra riprendersi un ruolo nella delicatissima partita della definizione delle responsabilità della Chiesa durante gli anni della Shoah. In questi ultimi mesi abbiamo assistito a segnali contraddittori, come la mano tesa della revisione della didascalia sotto l’immagine di papa Pacelli con un giudizio storico ammorbidito rispetto alla precedente formulazione. Una decisione che soprattutto a Roma era stata poco gradita e male digerita. L’assegnazione dell’onore di Giusto fra le Nazioni a Dalla Costa, al di là della soddisfazione formale espressa in Vaticano, non è scontato sia da leggere come un segno di incoraggiamento nel processo di revisione positiva della figura di Pio XII cui la Chiesa mostra di tenere molto. Elia Dalla Costa, infatti, non rappresentò solo un rivale di Pacelli nella corsa al soglio pontificio, ma anche la dimostrazione vivente di come per la gerarchia ecclesiastica fosse concretamente possibile in quegli anni comportarsi con dignità e con coraggio estremo. Se Dalla Costa fosse stato papa è lecito ritenere che molti, moltissimi perseguitati avrebbero potuto essere messi al riparo dalla bestialità nazifascista. E questo accresce la percezione delle responsabilità di Pacelli, non la diminuisce”.
Per il presidente emerito dell’Assemblea rabbinica italiana rav Giuseppe Laras quello che gli ebrei pensano di Pio XII è un fatto noto. “Se Pacelli avesse gridato apertamente contro il nazismo avrebbe con tutta probabilità ottenuto un effetto maggiore. Però, allo stesso tempo, non possiamo impedire al Vaticano di pensarla diversamente. Non credo che, in queste ultime affermazioni, ci siano i presupposti per dare vita a una nuova polemica”. Preferisce evitare commenti, invece, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che negli scorsi mesi si era espresso in maniera molto critica sulle scelte della direzione scientifica dello Yad Vashem che aveva mitigato il suo giudizio nei confronti di Pacelli. Netto il giudizio di Sergio Minerbi, già ambasciatore dello Stato d’Israele a Bruxelles ed esperto di rapporti ebraico-cristiani. “Dalla Costa si merita pienamente questo riconoscimento. Un riconoscimento – afferma il diplomatico – che dimostra ancora una volta quello che la Chiesa avrebbe potuto fare per gli ebrei se tutti avessero agito come il cardinale. Purtroppo nella sua azione, come in quella di altri personaggi straordinari come il cardinale di Genova Pietro Boetto, non c’è traccia di sollecitazioni, ordini, consigli pervenuti in qualche modo dal Vaticano. Non è giusto che si continui a perorare la causa di beatificazione di Pio XII adducendo suoi presunti meriti nella difesa degli ebrei dagli aguzzini. Ci portino le prove, altrimenti è più corretto scindere i due argomenti”.
Si susseguono intanto le testimonianze di quanti, grazie all’intervento di Dalla Costa, videro salva la propria vita o quella dei propri cari. Aveva cinque anni Guidobaldo Passigli, presidente della Comunità ebraica di Firenze, quando – per disposizione del cardinale – fu trasferito in un convento di suore a Rovezzano insieme alla madre e alla nonna per restarvi, sotto falsa identità, fino alla caduta del regime. “Ricordo molti bambini, la colazione, le preghiere. Mia madre e mia nonna – racconta – erano vestite da suore e, naturalmente, mi era stato detto di non far trapelare in alcun modo il legame familiare che ci univa. Mi era stato assegnato anche un nome, Giuseppe Dalmasso, detto Guido, pensando che per un bambino piccolo sarebbe stato facile tradirsi dicendo il proprio vero nome. In seguito venni a sapere che il parroco di Grassina, dove noi abitavamo, aveva avuto una precisa disposizione dalla Curia e quindi dal cardinale di condurre gli ebrei in quel convento’”.
Commosso anche il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. “Fu Dalla Costa, insieme alla Delasem, il regista dell’operazione che portò mio padre, allora ragazzino, a nascondersi in convento nel comune di Fiorenzuola. Per questo – sottolinea – è con profonda commozione che a nome mio personale e della mia famiglia soprattutto di mio padre, ora malato e non in grado di rievocare quella storia, voglio esprimere soddisfazione e gioia per questo riconoscimento”.
Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked