Rav Sacks: “Le cose importanti”

Passo molto tempo con i giovani: studenti che stanno per concludere un ciclo di studi, studenti universitari e neolaureati che stanno per iniziare una carriera lavorativa. Spesso mentre stanno iniziando il loro viaggio nel futuro mi chiedono consiglio. Ecco qui qualche idea, su cui può valer la pensa riflettere nel momento in cui iniziamo il nostro viaggio nell’anno nuovo.
La prima cosa da fare è sognare. Apparentemente l’attività meno pratica finisce per diventare la più pratica, quella spessa lasciata incompiuta. Conosco persone che passano mesi a pianificare una vacanza ma pochissimo tempo a pianificare la vita. Immaginate di partire per un viaggio senza aver deciso dove andare. Per quanto possiate viaggiare veloci non raggiungerete mai la vostra destinazione, perché non avete mai deciso dove volete. In effetti più viaggerete in fretta e più sarete persi.
I sogni sono il luogo in cui visitiamo molti paesi e paesaggi della possibilità umana e scopriamo in quali ci sentiamo a casa. Tutti i grandi capi spirituali sono stati grandi sognatori. Nella mia tradizione possiamo contare Mosè, che sognava una terra di latte e miele, e Isaia, che sognava un mondo di pace. Uno dei più grandi discorsi del ventesimo secolo è quell’“Ho un sogno” di Martin Luther King. Se dovessimo progettare un curriculum di studi per la felicità, sognare sarebbe uno dei corsi obbligatori.
La seconda regola è: seguite le vostre passioni. Non c’è nulla – non la ricchezza, il successo, i riconoscimenti o la fama – per cui valga la pena di spendere la propria vita facendo qualcosa che non ci piace. Ho visto troppe persone scegliere la propria professione per guadagnare abbastanza da poter offrire al proprio partner e ai propri figli tutto quello che desiderano, per poi perdere partner e bambini perché non avevamo mai avuto del tempo da passare con loro. Le persone che seguono la propria passione tendono ad avere vite felici. La loro felicità per quello che fanno, tende ad essere contagiosa nei confronti di quelli che incontrano. È una vita che vale la pena di vivere.
La terza cosa l’ho imparata da un psicoterapeuta sopravvissuto ad Auschwitz, Vicktor Frankl, il cui libro Alla ricerca di un significato della vita è uno dei più letti di tutti i tempi. Frankl diceva sempre: non chiederti cosa vuoi dalla vita. Chiediti cosa vuole la vita da te. Le grandi vite sono quelle in cui le persone sentono una chiamata, hanno il senso di una vocazione. Questo è quello che ha spinto Abramo, il nonno del monoteismo, nel suo percorso, che ha poi cambiato il mondo. Mosè avrebbe potuto avere una vita di benessere, una vita facile come principe d’Egitto, ma sentì il lamento del suo popolo che soffriva sotto schiavitù, e la chiamata di Dio che voleva li portasse verso la libertà.
C’è una storia molto nota che racconta di tre uomini che vivevano spaccando sassi. A chi chiedeva loro cosa stavano facendo uno rispose “Spacco sassi.” Il secondo disse “Mi guadagno da vivere.” E il terzo “Sto costruendo una cattedrale”. Non abbiamo bisogno di chiedere quale dei tre trovava più soddisfazioni nel proprio lavoro. Steve Jobs ha passato tutta la vita a far diventare la tecnologia a misura d’uomo, e a produrre cose belle. Il creatore di Google cercava di rendere il mondo dell’informazione accessibile a tutti. Il senso del Perché precedeva il Come. C’è un luogo in cui quello che vogliamo fare incontra quello che urla per essere fatto; è lì che dovremmo essere.
La quarta regola è: nelle vostre vite fate spazio per le cose importanti, la famiglia, gli amici, l’amore, la generosità, il divertimento e la gioia. Senza di esse vi brucerete, e a metà carriera vi troverete a chiedervi cosa ne è stato della vostra vita. Nell’ebraismo abbiamo il sabato, un giorno dedicato al riposo ogni settimana, in cui facciamo spazio per tutte quelle cose che sono importanti ma non urgenti. Non in tutte le culture c’è un sabato, ma una vita senza tempo dedicato al rinnovamento, come una vita senza esercizio, o senza musica, o senza senso dell’umorismo, è una vita minore.
La quinta regola è: lavorate intensamente, nello stesso modo in cui lavorano tanto un atleta o un concertista o uno scienziato di grido. Lo psicologo americano Mihaly Csikszentmihalyi chiama questo principio “flusso”. Con “flusso” fa riferimento a quell’intensa esperienza che si prova quando si lavora per un obiettivo in una maniera tale da non essere più consapevoli del passare del tempo. Nessun grand’uomo – neppure coloro che hanno fatto sembrare facili i loro risultati – hanno mai ottenuto nulla senza lavorare intensamente. La parola ebraica per servire Dio, avodah, significa anche duro lavoro.
Ci sono molte altre regole ma queste sono fra le più importanti. Mettetele alla prova e sarete sorpresi dalla gioia che vi doneranno.

Rav Lord Jonathan Sacks, rabbino capo del Commonweath

(versione italiana di Ada Treves)

Nell’immagine, il rav Sacks sfoglia Pagine Ebraiche insieme al presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna.