16 ottobre – Roma non dimentica
“I nazisti furono assassini di esseri umani, i loro seguaci di oggi sono assassini della memoria. Ma non si illudano, non vinceranno mai. Come il nazismo e il fascismo furono sconfitti e crollarono sotto il peso della barbarie che avevano organizzato, anche i loro eredi spirituali sono destinati ad essere spazzati via con ignominia e disonore”. Così il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna intervenendo al Tempio Maggiore di Roma, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nel 70esimo anniversario della cattura e deportazione di 1023 ebrei romani.
Sinagoga gremita in ogni ordine di posto con le massime autorità dello Stato – dal presidente del Senato Piero Grasso al presidente della Camera Laura Boldrini – raccoltesi al Portico d’Ottavia per manifestare solidarietà e vicinanza alla Comunità ebraica di Roma nel ricordo del suo giorno più nero. Un messaggio arriva anche da papa Francesco, che invita a comprendere gli orrori del passato per trarne un messaggio e una lezione per il futuro. Tra gli ospiti il sindaco di Albano, Nicola Marini, protagonista delle cronache di queste ore per l’opposizione alla sepoltura del criminale Erich Priebke, e – a rappresentare chi scelse la strada del coraggio – il figlio di Gino Bartali, Andrea.
Commozione alla presenza degli agli ultimi Testimoni della Shoah ancora in vita. Salgono sul palco, al loro fianco i giovanissimi della Comunità, per l’applauso della platea, platea in cui siedono numerosi rappresentanti delle diverse Comunità ebraiche nazionali.
Sopravvissuti, nuove generazioni: un passaggio di testimone sottolineato dal presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici. “Vi è una speranza – afferma rivolto a Napolitano – e su questo abbiamo il dovere di essere ottimisti. Sono i nostri giovani. Quelli che ha l’opportunità di incontrare nelle scuole e con cui spesso ho il privilegio potermi confrontare”. Sono una maggioranza, spesso senza voce e senza vetrina, sottolinea Pacifici, “perché le azioni positive non fanno mai notizia”.
Settanta anni. Nell’immaginario e nel simbolismo ebraico il numero settanta, spiega il rabbino capo Riccardo Di Segni, “indica un gruppo grande e uniforme, malgrado le differenze interne”. Sono settanta nella Bibbia i discendenti di Noè, che danno origine ad altrettanti popoli, come sono settanta gli ebrei scesi in Egitto. “In pratica – prosegue il rav – settanta rappresenta l’umanità intera, divisa nelle diversità dei vari popoli, che si rispecchia come microcosmo nelle famiglie di Israele. Un destino comune deve legare e unire queste settanta anime diverse”.
Il progetto biblico è armonico, ma l’umanità spesso va contro questo progetto. Come nel caso del 16 ottobre 1943. “Se cerchiamo un esempio di drammatica rottura di questa armonia – riflette Di Segni – gli avvenimenti che oggi ricordiamo ne sono la rappresentazione più sconvolgente”.
“Quest’anno celebriamo il 16 ottobre ’43 a poche ore dalla morte di uno dei più atroci nazisti e negazionisti. La mia coscienza mi ha imposto una scelta netta e inequivocabile: non potevo permettere che l’addio a un criminale nazista si trasformasse in una parata revisione”, spiega tra gli applausi il sindaco di Roma Ignazio Marino, in procinto di partire per il grande Viaggio della Memoria organizzato dalla Comunità ebraica insieme a Roma Capitale. Domani intanto, in assemblea capitolina, seduta solenne in ricordo del rastrellamento al Ghetto. “Noi siamo qui perché questa storia vogliamo raccontarla ancora. E domani – conclude – aggiungeremo un nuovo tassello”.
Nella lotta all’antisemitismo, al negazionismo, alla diffusione dei veleni dell’odio da registrare l’intervento dell’ambasciatore dello Stato di Israele a Roma Naor Gilon. Un appello per la difesa dei valori fondanti delle società democratiche che passa, inevitabilmente, da una piena condivisione di intenti con le istituzioni. “No all’antisemitismo vecchio e nuovo, anche quando questo si maschera da antisionismo”, afferma Gilon prendendo a prestito un memorabile discorso di Napolitano al Quirinale.
Adam Smulevich