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5
gennaio
2011 - 29 Tevet 5771
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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All'inizio
della Parashà di Vaerà l'Eterno dice a Moshé di essere apparso ai
Patriarchi senza tuttavia farsi conoscere da loro nella Sua dimensione
più intima, quella corrispondente al Tetragramma. Da ciò si può
evincere che non sempre la conoscenza è correlata alla vista. Si può
vedere qualcuno - anche spesso - senza conoscerlo e si può viceversa
giungere a conoscere intimamente qualcuno anche senza poterlo vedere
mai.
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Gadi
Luzzatto Voghera, storico
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E’ passato curiosamente
inosservato il centenario del governo presieduto da Luigi Luzzatti
(1841-1927), primo e unico ebreo nella storia d’Italia a ricoprire la
carica di primo ministro (31 marzo 1910-29 marzo 1911). Si discutevano
in quegli anni questioni che suonano familiari alle nostre orecchie.
Nel programma di governo si proponeva una riforma della legge
elettorale e una riforma del Senato e della Camera dei Deputati. In
particolare si prevedeva un’estensione del suffragio a tutte quelle
persone (uomini naturalmente, il suffragio femminile era allora una
chimera) che potessero dimostrare di “saper leggere e di saper
trascrivere un brano stampato, di saper leggere e scrivere i numeri”.
Cent’anni fa lo si chiedeva agli italiani analfabeti, ora regole simili
vengono richieste agli stranieri che vogliano venire a lavorare e
vivere in Italia (ma naturalmente non concediamo loro il diritto di
voto, neppure alle elezioni amministrative: strana concezione di
cittadinanza e di eguaglianza). Sempre nel programma di governo si
proponeva di introdurre il sistema elettorale proporzionale. E la crisi
di governo fu determinata da un dibattito su questioni di ordine
pubblico: all’epoca protestavano soprattutto i braccianti e si
registravano i primi grandi scioperi ferroviari e industriali, oggi
studenti e operai, ma il dibattito in parlamento era incentrato anche
allora sul comportamento delle forze dell’ordine. Quando si trattò di
commemorarlo, dopo la sua scomparsa nel 1927, il settimanale Israel
ricordò Luzzatti in forma amichevolmente critica, scrivendo un breve
ritratto che è una piccola autobiografia dell’ebraismo italiano del
‘900: “Fu dei nostri, fu un ebreo, ebbe impresso il suggello della
nostra gente su tutta la sua genialità ... : quando lo seppe e quando
lo ignorò, quando lo affermò e quando preferì ignorarlo, ebreo nei
pregi e nei difetti della sua personalità. Poco importa che gli fosse
sfuggita, per le fatali vicende della sua generazione, la definizione
della sua e dell’universale ebraicità... Certo, è angoscioso per noi
dover pensare che questo meraviglioso prodotto della sua stirpe, non
abbia, per le vicende del suo tempo, potuto, egli che tante cose poté
comprendere e sintetizzare col suo ingegno possente e versatile,
riconoscer e comprendere l’essenza permanente, i valori universali
d’Israele, le sue volontà, le sue speranze. La visione della sua
ebraicità aveva dovuto limitarsi a ristretti confini, il senso grande e
avvivatore dell’unità di Israele, gli era mancato... Per il bene che
volle e che fece, sia il suo nome ricordato a benedizione ...”.
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Letteratura - Appena
ieri
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“È I promessi sposi
della letteratura ebraica”, secondo Elena Loewenthal, l'ultimo libro
edito da Einaudi. Per la prima volta viene pubblicato in Italia il
capolavoro del padre nobile del romanzo israeliano Shmuel Yosef Agnon, Appena ieri.
“Si tratta di un testo canonico, riferimento imprescindibile e
fondativo della letteratura moderna di lingua ebraica”, spiega la
Loewenthal (nell'immagine sotto), traduttrice del romanzo in italiano. “In tutte le scuole
viene studiato Agnon, proprio come Manzoni da noi”. Solo che è più
ironico, più vario, “più moderno di Manzoni, mi azzarderei a dire”, se
non altro per ragioni cronologiche.
Appena ieri
fu pubblicato in Israele nel 1946. Vent'anni dopo il suo autore fu
insignito del premio Nobel per la letteratura: per molti, tuttavia, il
romanzo che esce ora nelle librerie italiane “è l'indiscusso capolavoro
di Agnon”. “L'opera più significativa nella storia della letteratura
ebraica del xx secolo», secondo Abraham Yehoshua. Agnon nasce in Galizia alla fine del XIX secolo in una famiglia di
tradizione rabbinica. Ben presto si appassiona all'idea sionista e nel
1908 si trasferisce in Palestina. Proprio in questi anni, quelli della
seconda grande ondata migratoria in Palestina, è ambientato Appena ieri: è la
storia del sionista austriaco Isacco Kumer che vive le speranze e le
contraddizioni dell'immigrazione ebraica verso la Terra promessa, tra
il sionismo rivoluzionario e l'ebraismo ortodosso, tra Giaffa e
Gerusalemme.
Tra Sonia, la bella russa, colta e emancipata, e Shifra,
la figlia di un rabbino ultraortodosso. Narrando l'epos della Palestina
primi-Novecento, rappresentando il subbuglio degli albori della società
israeliana, Appena ieri
racconta alcune delle dicotomie che hanno attraversato fino a oggi la
storia dello Stato ebraico. Anche per questo, oltre che per lo
straordinario valore letterario, “gli israeliani lo considerano il loro
grande romanzo di formazione”, come dice Elena Loewenthal. Ogni civiltà
moderna ne ha uno. “Restano da spiegare - scrive la storica Anna Foa in un intervento sul
Sole 24 ore - le ragioni della scarsa notorietà in Italia dell'opera di
questo grande scrittore”, visto anche il largo successo riscosso nel
nostro paese dai romanzieri israeliani, di cui Agnon è il riconosciuto
maestro. Fino a oggi solo la casa editrice Adelphi ha pubblicato Agnon
in Italia, ma fra i tre titoli (Una
storia comune, Nel fiore degli anni e La leggenda dello scriba),
non figurava il capolavoro.
La Loewenthal ipotizza che “la mole del libro - ottocento pagine -, la
natura canonica e una lingua oggi forse un po' antiquata abbiano
ostacolato la sua ricezione da parte dell'editoria italiana”.
Se però, a un lettore del 2011, l'ebraico di Agnon può apparire
“antiquato”, non bisogna dimenticarsi che quando fu scritto l'ebraico
era una lingua che stava rinascendo, e l'uso che ne fece Agnon era a
dir poco moderno: “all'epoca era un linguaggio veramente
avveniristico”, spiega la traduttrice, “proiettato nel futuro: Agnon è
riuscito nell'impresa di restituire all'ebraico la dimensione
colloquiale”, che dopo secoli di disuso faticava a riaffermarsi.
“Per questo, traducendolo, ho cercato di rendere la colloquialità di
quell'ebraico che invece all'israeliano di oggi suona vecchiotto”. Non
solo per esigenze editoriali, spiega Elena Loewenthal, “ma perché mi è
parsa un'operazione filologica corretta quella che rende conto della
portata rivoluzionaria dell'approccio di Agnon alla lingua”.
Manuel Disegni
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Letteratura - Un
romanzo spirituale
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Un romanzo intriso di
spiritualità ebraica, affresco vivido della terra d’Israele agli albori
del ‘900, territorio semidesertico e poverissimo che in quegli anni,
con il diffondersi dell’ideale sionista, stava divenendo una speranza
(e una possibilità concreta) per gli ebrei di tutto il mondo, in
particolare per quelli europei e del bacino mediterraneo.
Appena ieri,
romanzo del premio Nobel per la letteratura Shemuel Yosef
Agnon, appena pubblicato da Einaudi nella magistrale traduzione di
Elena Loewenthal, è la storia di Isacco Kumer, giovane ebreo galiziano
che, animato dall’idealismo, fa l’alya, “sale” in terra d’Israele. Una
scelta, allora, tutt’altro che facile: settimane di viaggio in treno e
nave, per raggiungere una terra lontana, tagliata fuori per secoli
dalla modernizzazione europea e dalle rotte dei commerci, che però in
quegli anni era in pieno fermento e che, complice le ondate
immigratorie, era abitata da “più di settanta” culture ed etnie, in un
caleidoscopio di voci, colori, usanze e tradizioni.
Il romanzo inizia più o meno allo scoccare del 1900 per terminare prima
dell’inizio della prima guerra mondiale (e dunque anche prima della
dichiarazione Balfour). Isacco, arrivato con l’obbiettivo di lavorare
la terra ma arrangiatosi a fare l’imbianchino tra Giaffa e Gerusalemme,
vive amori, amicizie e peripezie, in una sospensione - binomio
paradigmatico della terra d’Israele in quell’epoca - tra tensione
spirituale e idealismo sionista-socialista pragmatico e secolare. Due
estremi rappresentati - il romanzo è fortemente basato sui simboli - da
Giaffa e Gerusalemme, la prima abitata da intellettuali, artisti e
scrittori, gente moderna e affrancata da precetti e osservanza, la
seconda Città Santa, bellissima e isolata sul monte di Sion, custode
per secoli della fede ebraica e luogo sacro anche per gli altri due
monoteismi, abitata dagli ebrei più pii e religiosi.
A differenza di altri grandi autori ebrei e/o israeliani del ‘900,
Agnon non ha alcun rifiuto per l’aspetto propriamente religioso, quando
non proprio mistico, del suo essere ebreo. Anzi, vi è immerso
pienamente e felicemente, utilizzando nella sua scrittura citazioni
della Torah e del Talmud e rimandi simbolici che permeano la narrazione
di una grande forza evocativa, arricchendo di significato e di letture
potenziali il viaggio e le peripezie del giovane Isacco Kumer.
Appena ieri
è definito da Abraham B. Yehoshua, nella prefazione a
questa edizione italiana, il più importante romanzo della letteratura
ebraica del ‘900. Un affresco potente, che ha anche il pregio,
attraverso le vicende dei singoli, di far assaporare con realismo
l’epica fondativa di quello che sarà molti decenni dopo lo Stato
ebraico, con la nascita dei primi kibbutzim, la costruzione di Tel
Aviv, il difficile dialogo tra ebrei provenienti da molti Paesi diversi
e degli ebrei con gli arabi.
Agnon scrive di tutto questo mentre in Europa infuriava la seconda
guerra mondiale e una buona parte del popolo ebraico veniva sterminata.
Lui, immigrato in Israele come il suo personaggio Isacco dalla Galizia
e amico di Martin Buber con il quale lavorò ad alcuni testi sul
chassidismo, focalizza la sua attenzione su quanto era nel suo bagaglio
e nella sua esperienza personale: la decisione di immigrare lo salvò
dalla deportazione, la terra d’Israele rappresentò per lui e per i
pionieri come lui la salvezza. Forse è per questo che, a differenza di
tanti scrittori ebrei della sua generazione le cui vite furono
stravolte dalla Shoah, la sua scrittura è soffusa di un’ironia educata,
uno humour sottile e bonario che pervade “Appena ieri”, romanzo epico
con il dono della leggerezza.
Marco Di Porto
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Dieci anni
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Essendosi appena concluso il
primo decennio del XXI secolo, può essere utile tentare di abbozzare un
sintetico consuntivo del bene e del male verificatisi, in questi dieci
anni, per l’ebraismo e gli ebrei nel mondo.
Già abbiamo avuto modo di ricordare (nel Pilpul del 18 agosto) come l’11
settembre del 2001 abbia rappresentato un brusco risveglio rispetto
alle speranze - sorte, soprattutto, nel 1989, con la caduta del muro -
di una definitiva affermazione, sul piano mondiale, dei valori di
libertà, democrazia e tolleranza, di un’etica condivisa, riconosciuta e
rispettata da tutti. E se l’ultimo decennio del XX secolo è stato
segnato da tanti fatti positivi, che sono sembrati avallare, in vario
modo, tale grande illusione (l’ampia coalizione internazionale contro
Saddam Hussein e la sconfitta del dittatore, nel 1991, la Conferenza di
pace di Madrid, nello stesso anno, il reciproco riconoscimento tra
Israele e l’Autorità palestinese, nel 1993, l’allacciamento di rapporti
diplomatici con la Santa Sede e il regno di Giordania, nel 1994), il
primo decennio ha purtroppo confermato, in numerose occasioni, una
netta inversione di tendenza. Tale cambiamento, in senso decisamente
negativo, a voler essere precisi, ci sembra avviato esattamente
nell’anno 2000, quando viene annunciata la beatificazione di Pio IX (il
papa del ghetto, del Sillabo e del caso Mortara), è pubblicata la
Dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della
Fede (ove si auspica la salvezza degli israeliti “attraverso Cristo”),
e la cd. Seconda Intifada sembra violentemente travolgere le speranze
di pace in Medio Oriente. Negli anni successivi, le posizioni della
Chiesa verso l’ebraismo sembrano prendere un deriva di crescente
chiusura e inimicizia (fino alla reintroduzione, nel 2008, della
preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei, e, nel
2009, alla revoca della scomunica per i vescovi lefebvriani), e la
situazione in Medio Oriente segna un costante deterioramento, con i
continui lanci di razzi da Gaza, i crescenti proclami di odio da Siria
e Libano, gli apocalittici annunci di olocausti nucleari dall’Iran. Due
guerre, nel 2006 e 2008-2009, la crudele prigionia, da quasi cinque
anni, di Gilad Shalit, un inquietante moltiplicarsi di episodi di
antisemitismo in Europa, Russia, Turchia, preoccupanti segnali di
isolamento internazionale di Israele.
Eppure, il decennio non ci lascia solo cose brutte. Mai come in questi
ultimi anni, infatti, l’ebraismo ha dimostrato una straordinaria
vitalità e creatività intellettuale, in Israele, in Europa e in
America, raggiungendo mirabili risultati nei più disparati campi delle
scienze e delle arti. Gli scambi internazionali con le Università
israeliane, nonostante le proposte di boicottaggio avanzate dai soliti
gruppetti di professori antisemiti, si sono incrementati, diversi
scienziati israeliani sono stati premiati in contesti prestigiosi, fino
al Nobel, gli scrittori israeliani ed ebrei americani figurano tra i
più amati e ammirati del mondo: Oz, Yehoshua, Roth, Foer hanno aperto,
in milioni di case, nuove porte dell’anima e della coscienza. In
Italia, in particolare, è molto aumentata la conoscenza, a tutti i
livelli, della realtà ebraica, che ha fortemente guadagnato in rispetto
e prestigio presso larghi strati di opinione pubblica. E, pur in un
clima politico di aspre contrapposizioni, la solidarietà di fondo verso
lo Stato ebraico sembra condivisa, alquanto solida e diffusa, in tutti
i grandi schieramenti.
Abbiamo quindi, nonostante tutto, qualche motivo di consolazione, e
qualche ragione di cauta speranza.
Francesco Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
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Israele:
scetticismo e riserbo sull’apertura dei negoziati con la Siria
Gerusalemme,
4 gennaio
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Leggi la rassegna |
Uno scambio di messaggi, tramite un leader ebreo americano, sarebbe
avvenuto fra il presidente siriano Bashar Assad e il premier israeliano
Benjamin Netanyahu, a rilevarlo è stato un quotidiano del Kuwait e il
giornale filo-governativo israeliano Israel Hayom. Ma in Israele si
respira un aria di scetticismo circa una possibile ripresa del dialogo
di pace israelo-siriano. Mentre a Gerusalemme l’ufficio del premier ha
scelto di attenersi a una linea di riserbo il ministro della Difesa
Ehud Barak ha gettato acqua sul fuoco... »
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E già: chissà come mai
nessuno ci aveva ancora pensato; finalmente, pochi giorni dopo l’ultimo
attentato contro i cristiani (la strage dei copti di Alessandria), le
televisioni iraniana, libanese e turca hanno spiegato che la colpa di
tutto è dei sionisti. Lo leggiamo nell’articolo di Fiamma Nirenstein su
Il Giornale che ritorna indietro nel
tempo a quando, nel 1919, la bandiera verde dell’Egitto mostrava,
insieme, la mezzaluna e la croce... »
Emanuel Segre Amar
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italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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