I conti con la Storia

Il giurista Antoine Garapon, nel suo libro Chiudere i conti con la storia. Colonizzazione, schiavitù, Shoah (Raffaello Cortina, 2009), e la storica Annette Wieviorka, in diversi contributi, fra cui, da ultima, un’intervista su Pagine Ebraiche dello scorso giugno 2009, hanno entrambi richiamato l’attenzione, con diverse argomentazioni, su una circostanza, a nostro avviso, di fondamentale importanza, ossia il fatto che la speranza della costruzione di una “memoria universale”, condivisa da tutti, fondata su valori ritenuti comuni, ha due precise date, di inizio e di fine, che sono il 1989 e il 2001.
Fino alla caduta del Muro di Berlino, infatti, ogni interpretazione della storia di tipo etico pareva destinata a confliggere, o a contrapporsi, con una valutazione ‘altra’ e ‘diversa’, separata dalla differente collocazione del soggetto pensante in uno dei due grandi campi ideologici (‘borghese’ e ‘socialista’, Occidente e Oriente ecc.) in cui l’umanità pareva irreversibilmente divisa.
L’inatteso crollo del comunismo, il “dio che ha fallito”, è sembrato sgombrare il terreno da tale artificiosa barriera, creando le premesse per un superamento delle visioni contrapposte della storia (Francis Fukuyama, in un famoso saggio, arrivò anzi a parlare di “fine della storia”) e spianando la strada, oltre che per la costruzione di un “futuro comune” dell’umanità, anche per l’elaborazione di un “passato comune”, all’insegna di un’idea condivisa del bene e del male.
Ma, come la storia non potrà mai finire, l’umanità non sarà mai disponibile a un’etica condivisa, non vorrà mai un futuro, e un passato comuni. L’undici settembre, da questo punto di vista, ha rappresentato un brusco risveglio, la “fine della fine della storia”.
Non è un caso se proprio nel breve periodo dell’illusione di un’etica “per tutta l’umanità”, tra il 1989 e il 2001, le commemorazioni e la didattica sulla Shoah hanno subito un grandissimo incremento, in tutto il mondo: cosa, infatti, sembrava prestarsi ad assolvere, con altrettanta forza e chiarezza, una emblematica funzione di esempio universale, per indicare all’umanità ciò che essa deve assolutamente combattere, se veramente aspira a essere, un giorno, unita?
Ma, meglio rassegnarsi, tale aspirazione non c’è, non c’era e non ci sarà. L’umanità ha tornato a mostrarsi, dopo l’undici settembre, come in realtà è sempre stata, e come vuole evidentemente restare: divisa. E il ricordo della Shoah ha ripreso a svolgere il suo ruolo di “simbolo per eccellenza”, ma in modo, appunto divisivo: custodito, da alcuni, come una sacra reliquia; da altri, negato, vilipeso o applaudito.

Francesco Lucrezi, storico