"L'arte
per l'arte" (Art for art's sake), "Beauty is truth, truth is beauty",
fino al più folkloristico: "Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò
che piace", sono alcune delle frasi che vertono intorno al concetto di
estetica. Non bisogna essere un grande conoscitore, un esimio
professore, una gallerista in tailleur per apprezzare l'Israel Museum
di Gerusalemme. Non bisogna sciorinare date, tecniche e committenze per
essere a proprio agio. Fingiamoci un visitatore che nella sua vacanza
nella città dorata si è ritagliato un po' di spazio tra preghiere e
shwarma e iniziamo il nostro tour virtuale in un museo che non ha nulla
da invidiare ai vari Moma e Metropolitan. Probabilmente indosseremo
degli occhiali da intellettuale e una di quelle borse in materiale
riciclabile in puro stile 'laureata no logo con un attico in centro'.
Ma sappiate che adottare il look 'Barbie e Ken fanno una visita
culturale' è perfettamente inutile. Perché questo non è un museo (non
pensate subito al magrittiano Ceci n'est pas une pipe), è molto di più.
E lo si capisce varcata la soglia. Dopo aver discusso per una riduzione
sul biglietto e aver preso una audioguida fingendo di essere
perfettamente anglofoni, eccoci pronti per un vero e proprio viaggio.
Un viaggio che inizia all'esterno, preda dei venti. La solerte
audioguida spiega infatti che ci troviamo davanti a Shrine of the book,
costruito dopo il fortunato ritrovamento dei rotoli di Qumran
(attualmente esposti a New York). Gli edifici e le opere realizzate
appositamente per il museo tengono conto di Gerusalemme e dei suoi
mille significati allegorici. Nulla è lasciato al caso. Nulla è
lasciato al puro estro creativo. Tutto segue la tipica filosofia
rabbinica: 'Una domanda, tante possibili risposte'. Ma smettiamola di
osservare il muro nero e la buffa cupola, il cammino è ancora lungo.
Dopo aver ammirato la ricostruzione in miniatura di Gerusalemme ai
tempi del secondo Beit Ha Mikdash, siamo ancora ignari di cosa ci
aspetta seguendo il cartello 'Art garden'. Un vero e proprio museo en
plein air con opere di artisti israeliani e internazionali. I giardini
che incorniciano le meraviglie sono frutto dell'architetto Noguchi
(studioso dell'arte dell'Ikebana), che traspone la spiritualità zen
nella città delle tre religioni monoteiste. Una commistione di diverse
ramificazioni di spiritualità che rendono questo posto un luogo di pace
assoluta. Sembra quasi di tornare ai tempi nei quali i giovani artisti
toscani studiavano le sculture negli opulenti giardini medicei. Con la
differenza che l'Israel Museum non è adornato da statue antiche o
pseudo antiche ma da ingegnose opere. Picasso, Rodin (con
l'inconfondibile torsione del corpo di matrice michelangiolesca),
Calder e persino Anish Kapoor, l'indiano famoso per Cloud Gate (The
bean) di Chicago. L'opera di Kapoor è stata realizzata appositamente
per il museo e mostra la Gerusalemme celeste e quella terrestre in un
gioco di specchi e riflessi. Robert Indiana ci propone invece la
versione in ebraico, Ahava, del celeberrico LOVE. L'opera di Oldenburg
(esponente della pop art), un grande torsolo di mela, tipico
dell'artista che ha fatto del cibo fuori misura la caratteristica
principale del suo lavoro, ci introduce nella galleria interna. E
pensare che solamente il giardino ci ha invaso la mente di spunti di
riflessione. All'interno si dislocano tre sezioni principali. Dopo una
breve sosta per rifocillarci nel ristorante interno Mansfeld, si può
esplorare l'area dedicata ai reperti archeologici. Un tuffo nel passato
che ci farà sentire i protagonisti di un kolossal di Spielberg.
Interessante osservare ad esempio l'evoluzione dei caratteri ebraici.
Il nostro viaggio nel tempo continua poi con l'ala dedicata al mondo
ebraico, una delle parti più suggestive e ben allestite del museo. Il
ciclo della vita segnato dalle fasi principali (nascita, matrimonio,
morte), gli antichi testi sacri con preziose miniature, le teche
illuminate che contengono channukkioth da ogni parte del mondo, sono
alcune delle attrazioni di questo luogo magico. Anche se probabilmente
la parte più commovente è la minuziosa ricostruzione di sinagoghe come
quella di Vittorio Veneto, di Cochin in India e nel Suriname. Per
concludere, un meraviglioso video che mostra immagini di Yom Azmauth
mescolando spezzoni degli anni '50 e quelli più recenti. Cinque minuti
che raccontano Israele più di qualsiasi libro di storia. Ma arrivati a
questo punto, anche il più ingenuo visitatore si chiede: "Dove sono i
grandi nomi? Insomma è tutto bellissimo ma non c'è nemmeno un quadro da
asta da Christie's!". E qui l'Israel Museum ci stupisce ancora,
annoverando una ricchissima collezione dall'impressionismo di Monet e
Pisarro in poi. Il Ready-made di Duchamp, l'avanguardia di Kokoschka
fino al pop di Lichtenstein e Wesselmann. Non dimenticandoci della
serie di Warhol intitolata "Ritratti di dieci ebrei del XX secolo", tra
cui l'attrice teatrale Sarah Bernhardt, Franz Kafka, i Fratelli Marx e
Golda Meir. Un proliferare di opere non troppo conosciute ma dalla
firma preziosa. Un museo che deve tutto ai generosi donatori e
finanziatori. Persino l'ascensore che conduce il nostro visitatore
errante reca una targa che porta il nome di un benefattore. Ci troviamo
quindi all'ultimo piano con i piedi gonfi e probabilmente in piena
sindrome di Stendhal, ma non possiamo rinunciare alla nuova mostra sul
design che farà perdere la testa agli appassionati del settore e non. E
dopo aver salutato timidamente con la manina il quadro a pois colorati
di Damien Hirst, possiamo davvero ritenerci soddisfatti. Lo so, vi gira
un po' la testa, probabilmente il nostro visitatore avrà bisogno di
rilassarsi al Mar Morto con i fanghi sul viso o di ritrovare un po' di
sana superficialità in qualche nuova discoteca di Tel Aviv. Ma anche
quando ballerà scatenato, i suoi occhi brilleranno ancora, illuminati
dalla concentazione di tanta bellezza in un unico luogo.
Rachel Silvera
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Qui
Roma - L'archivio virtuale della Memoria
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Nel
mare magnum di internet si trovano centinaia di portali negazionisti:
dai forum dei movimenti neonazisti ai profili privati di Facebook. I
negazionisti italiani e, soprattutto, i loro simpatizzanti, sfruttano
il web per far circolare tesi che mirano a diffondere la
convinzione che il piano di sterminio degli ebrei, disposto dal regime
nazista, non sia mai esistito. Spesso la nuova follia antisemita vuole
proseguire il ruolo della propaganda nazista negando l’esistenza delle
camere a gas e accecando l’opinione pubblica con il diritto di
espressione: in realtà, più semplicemente, in molti hanno capito che
Internet è lo strumento più veloce per diffondere notizie false. La
documentazione, la formazione e la divulgazione diventano quindi uno
strumento decisivo per contrastare queste tesi, anche utilizzando il
web e la multimedialità. In questa direzione la mostra virtuale su
Auschwitz-Birkenau voluta dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma risulta
uno strumento di grande utilità. Si tratta di un innovativo tour
virtuale (Museodellashoah.it/tourvirtuale) all’interno del quale
chiunque può consultare documenti, fotografie, atti che parzialmente
ripercorrono la politica nazista nei confronti degli ebrei e il ruolo
assunto dal campo di Auschwitz-Birkenau all’interno della soluzione
finale. Il materiale, proveniente da diverse istituzioni internazionali
e collezioni private, è stato raccolto e organizzato dallo staff
scientifico della Fondazione Museo della Shoah, diretto da Marcello
Pezzetti e sotto la supervisione di Sara Berger e Libera Picchianti, e
ripercorre in parte la mostra “Auschwitz-Birkenau” esposta a Roma nel
2010 presso il Complesso monumentale del Vittoriano. La mostra virtuale
che, altro elemento tecnico fondamentale, potrà essere percorribile
anche off-line su supporto CD o DVD, è stata ideata e realizzata dalla
Società Alé Comunicazione Srl sotto la direzione di Robert Hassan e il
coordinamento tecnico di Alessandro Tortorella.
Benedetta
Rubin
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Tempo |
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Le interessanti considerazioni svolte dal Rav Scialom Bahbout
nella newsletter dello scorso 6 gennaio, dedicate al significato del
capodanno, sollecitano anche una più generale riflessione sul senso e
sul valore del tempo, del suo incessante scorrere. Tema, com’è noto,
tipicamente ebraico, tanto che Heschel definì gli ebrei “costruttori
del tempo” (come gli egiziani lo sarebbero stati dello spazio, i romani
dello stato, e i cristiani del cielo). Cos’altro è, l’accanita fedeltà
del popolo ebraico alla propria radice, la tenace custodia della
memoria e la costante tensione verso il futuro, se non una sfida
all’eterno fluire del tempo, al suo perpetuo inghiottire nell’oblio
ogni cosa, ogni esistenza, ogni civiltà? La parola biblica tenta di
ergersi a scoglio nel fiume dei millenni, esprime l’umano desiderio di
cercare, comunque, un punto fermo. Eppure, il pessimismo sullo scorrere
del tempo non è, a tale parola, estraneo, come ben rammentano le
sconsolate parole del Qohelet: “Passa una generazione e ne succede
un’altra, e la terra esiste sempre. Il sole sorge e tramonta, e poi
torna al suo posto, da dove si leva di nuovo… Tutti i fiumi sboccano
nel mare, e il mare non trabocca: là da dove i fiumi scaturiscono, essi
ritornano, per poi rifluire nuovamente… Cosa è ciò che è stato? Ciò che
sarà. Cosa è ciò che accaduto? Ciò che accadrà. Non vi è nulla di nuovo
sotto il sole”. Se il passare del tempo, col suo inesorabile
portare via ogni cosa, induce, indubbiamente, alla tristezza, esso
porta anche, però, una forma di consolazione, una sorta di ultima,
estrema risorsa. Se tutto passa, passa anche il dolore. Nessuna
sofferenza è eterna. E quante volte, di fronte a un problema
apparentemente insolubile, ci si aggrappa, più o meno sensatamente,
alla speranza, che, col tempo, esso possa trovare una qualche
soluzione, grazie al sorgere di nuove circostanze più propizie, di cui,
al momento, non si vede traccia, ma che potrebbero, comunque
presentarsi l’indomani. Tale sentimento, comprensibilmente, emerge
soprattutto di fronte a situazioni negative, di lunga durata, per le
quali, a torto o a ragione, abbiamo la convinzione di non poter fare
nulla, o quasi, per modificarle. È un pensiero che affiora molte volte,
in particolare, riguardo alla spinosa questione mediorientale, alla
penosa mancanza – anno dopo anno, decennio dopo decennio - di
prospettive - per quanto remote, esili, ipotetiche – di soluzione. Deve
passare una generazione, si dice, i figli dei nemici di oggi non
saranno così maldisposti come i padri, se non altro per stanchezza. La
diffusione del benessere, della cultura, della comunicazione tra gli
individui e i popoli porterà desiderio di conoscenza, di scambio, di
amicizia. Ma capita, spesso, che i figli siano peggiori dei padri, che
gli uomini non si stanchino mai di odiare. Che il benessere non cresca
o, comunque, non a beneficio di molti. Che la cultura ceda al
fanatismo, che la nascita di nuove minoranze metta paura alle
maggioranze, alimentando sentimenti di chiusura, esclusione e disprezzo. Disse
Benedetto Croce che la storia tende al meglio, anche se non al bene. Ma
si potrebbe anche, legittimamente, pensare l’esatto contrario, che
tenda al peggio, al male. La Shoah è alla fine di millenni di civiltà,
non all’inizio. Basterebbe questa semplice, terribile constatazione per
sbriciolare per sempre qualsiasi illusione di una ‘naturale’ vocazione
del genere umano al progresso, all’elevazione materiale e spirituale. Cosa
riserva il tempo di domani? Qualche spiraglio di luce, o nuovi lutti,
nuove tragedie? Difficilmente la ragione può indurre all’ottimismo.
Quindi, forse, meglio non pensarci e, invece di pensare, agire,
seguendo la saggia Massima dei Padri (1.15): “parla poco, fai molto”.
Francesco Lucrezi, storico
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Israele - Netanyahu aumenta il budget della Difesa
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"Aggiungeremo 3 miliardi di shekel (circa 700 milioni di dollari, ndr)
al budget della Difesa". L'annuncio è del primo ministro israeliano
Benjamin Netanyahu e sembra contraddire l'indirizzo della commissione
governativa guidata dall'economista Manuel Trajtenberg che aveva
recentemente proposto un consistente taglio dal budget della Difesa in
favore di alcune riforme sociali. "Ho riflettuto a lungo - ha detto
Netanyahu in occasione di una riunione di governo - e alla luce di
quanto recentemente successo nella regione sono giunto alla conclusione
che tagliare questa voce sarebbe un grave errore".
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Le elezioni israeliane sono
previste nel prossimo anno e un editoriale pubblicato sul Foglio ne
rivela i preparativi partiti fin da ora: il ministro della difesa Barak
passerebbe al partito di Netanyahu, il popolarissimo giornalista
televisivo Yair Lapid scenderebbe in politica (già suo padre ebbe un
forte successo personale nel 2003) creando un nuovo partito che
potrebbe sottrarre a Kadima tra 15 e 20 seggi, ed il padre di Gilad
Shalit, Noam, si candiderebbe coi laburisti, dei quali possiede la
tessera fin dal '96, sfruttando la fama raccolta nei terribili anni
della prigionia di Gilad.
Emanuel
Segre Amar
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