Una
vita dedicata alla scuola quella di Elvira Castelfranchi, figlia di
Israel Gedelià e di Anna Levi, nata a Finale Emilia il 25 marzo 1874 e
lì scomparsa il 29 agosto 1945, pochi mesi dopo la liberazione. “Nubile
(come le tre sorelle sepolte accanto a lei), dopo essersi diplomata
maestra elementare nel 1895 a Verona iniziò subito la carriera di
insegnante. Nel 1908 divenne titolare di cattedra a finale, dove
insegnò ininterrottamente sino al 15 giugno 1938. il primo
provvedimento delle leggi razziali emanato il 5 luglio 1938, che
espelleva il personale di razza ebraica, le impedì di intraprendere il
successivo anno scolastico, ma continuò a insegnare privatamente
(e gratuitamente ai ragazzi più poveri e bisognosi, allo stesso modo
dei suoi fratelli Angelo Emilio e Ciro) sino alla morte”, la
descrizione che compare nel volume Sigilli di eternità, il cimitero
ebraico di Finale Emilia curato dalla storica Maria Pia Balboni
(Giuntina, Firenze 2011). Soltanto nel 1995 la riabilitazione del nome
della maestra, con la scelta di intestare a lei la scuola elementare
del paesino emiliano. Che come tante altre strutture è stata gravemente
danneggiata dal terremoto che da settimane sta mettendo a durissima
prova la regione. E così le Comunità ebraiche di Modena e di Parma
hanno lanciato un appello a quelle di Ferrara e Mantova per indirizzare
i fondi raccolti dalla sottoscrizione lanciata dall’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane a favore delle popolazioni colpite dal
terremoto proprio alla ricostruzione della scuola Castelfranchi. Il
consigliere UCEI Giorgio Mortara, incaricato di coordinare le
iniziative di solidarietà, ha raccolto l’iniziativa e si è messo in
contatto con le autorità di Finale perché la solidarietà dell’Italia
ebraica aiuti i bambini di quella scuola che con il loro apprendimento
tengono viva la memoria di quella maestra finalese severa e affettuosa
per cui l’insegnamento fu tutto.
Chi desidera partecipare alla sottoscrizione lanciata dall’UCEI, che vi
ha contribuito con una quota di fondi dell’Otto per Mille, può farlo
versando il proprio contributo al conto corrente bancario intestato
all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, IBAN
IT40V0200805189000400024817 causale Terremoto Emilia; oppure sul conto
corrente postale intestato all’Unione Comunita Ebraiche Italiane numero
45169000 sempre specificando la causale Terremoto Emilia.
Per chi volesse contribuire alla ricostruzione dei beni culturali delle
quattro Comunità ebraiche colpite, specificando nella causale
“Terremoto 2012, ecco i dati bancari (codice Iban):
Comunità ebraica di Ferrara: IT09F0615513000000000022715
Comunità ebraica di Mantova: IT19O0503411501000000022100
Comunità ebraica di Modena: IT55W0200812925000102122135
Comunità ebraica di Parma: IT82B0693065940000000001687
rt twitter @rtercatinmoked
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Israele - Gilad si dà al giornalismo sportivo
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L'esordio
alla tastiera è avvenuto in gara 3 delle finali Nba tra Oklahama City e
Miami Heat. "Un'emozione fortissima" spiega il diretto interessato e
non poteva essere altrimenti visto che mastica pallacanestro da quando
era bambino. L'interrogativo circolava da tempo nella rete (e non
solo): cosa farà Gilad Shalit una volta tornato a ritmi di vita
regolari? Proseguirà gli studi? Scriverà un libro sulla sua terribile
esperienza di ostaggio? Si darà alla politica come il padre? Una
risposta forse l'abbiamo finalmente avuta: farà il giornalista. Sì,
perché grazie a Yediot Ahronot, popolare testata che l'ha assunto nella
sua redazione sportiva, Shalit avrà adesso la possibilità di
confrontarsi sul campo coniugando due grandi passioni: scrittura e
agonismo. Si occuperà prevalentemente di basket, spaziando dal
campionato israeliano all'Eurolega e alle imprese dei top team della
Nba, ma non trascurerà altre discipline. In particolare il calcio,
tanto che nelle prossime ore si dividerà tra Polonia e Ucraina per
seguire le fasi conclusive di EURO 2012 fino al giorno della
finalissima di Kiev.
Nel primo articolo uscito su YH Gilad ha svelato l'importanza decisiva
avuta dallo sport nel corso della sua detenzione a Gaza. Radio e
televisione sintonizzati sui canali sportivi, quando permesso dai suoi
aguzzini, gli avevano infatti dato la possibilità di svuotare la mente
dalle privazioni per una boccata d'ossigeno in mezzo a tanta e
soffocante sofferenza. Il pallone singolarmente era stato anche il
tramite per un confronto diretto con i terroristi altrimenti
improponibile. Insieme avevano guardato numerose partite, della
nazionale israeliana ma anche dei principali club europei, discutendo
di goal, dribbling e altri gesti tecnici come se nulla fosse. Shalit ha
raccontato ad esempio di quando, durante l'incontro Hapoel Tel
Aviv-Lione valevole per la Champions League 2010-2011, i terroristi di
Hamas avevano espresso sincera ammirazione per la rovesciata con cui
Eran Zahavi, attaccante adesso di stanza a Palermo, aveva portato in
vantaggio i padroni di casa. "Erano sbalorditi - ha scritto - ma li ho
visti più contenti quando i francesi hanno pareggiato".
a.s twitter @asmulevichmoked
(Nell'immagine Gilad Shalit con la star della pallacanestro israeliana Omri Casspi)
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Qui Napoli - Passo di danza, dal sacro al profano
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Quando
gli chiedo quale sia la trama del suo spettacolo di danza, Rami Be'er,
coreografo dell'israeliana Kibbutz Contemporary Dance Company, ospite
al Napoli Teatro Festival Italia, mi sorride pazientemente prima di
rispondere: "Ognuno deve scegliere, decidere che cosa significa per lui
ciò che vede, io creo immagini e suggestioni, non racconto una storia,
non lo faccio mai. A seconda della personalità e delle esperienze
vissute, a ogni spettatore i gesti dei ballerini comunicano una
situazione diversa”. Sicuramente però un motivo guida c'è, ed è quello
che funge da titolo allo spettacolo presentato al festival il 19 e 20
giugno: Bein kodesh le'hol. Costruito tutto attorno al duplice
significato di una parola, tanto da far pensare che sia stato il corto
circuito linguistico a fornire la materia di ispirazione dell'intero
spettacolo, Bein kodesh le'hol significa letteralmente "tra sacro e
profano", espressione tipica del mondo culturale e religioso ebraico,
presente per esempio nella Havdalà, dove sta a indicare la separazione
tra giorno sacro e giorno non sacro. Hol significa però anche sabbia:
le due parole in ebraico si scrivono nello stesso modo ma hanno
significati diversi. Lo spettacolo di Be'er è in un certo modo il
tentativo di risolvere tale ambivalenza, armonizzarla in un unico
concetto. Su di un palco cosparso di sabbia, Be'er e i suoi 13
formidabili danzatori creano e distruggono mondi interi nel tentativo
di armonizzare cielo e terra, materia e ispirazione. “L'arte è qualcosa
di sacro” prosegue Be'er, “Ma è composta da tanti granelli di lavoro
duro, concreto e materiale”. La danza in particolare è l'arte più
fisica che ci sia, fatta di sudore e piedi doloranti, che conducono
però a un risultato sublime, all'illusione che l'essere umano possa
liberarsi della propria pesantezza terrestre.
La sabbia riporta anche all'immmagine della clessidra, evocata nel
primo quadro, e quindi allo scorrere del tempo, scorrere concreto,
della sabbia nel vetro. “Forse questo è il sacro” suggerisce Be'er, “Il
tempo esiste prima di tutto, prima che i ballerini inizino a danzare”.
E' possibile anche leggere nella coreografia una Storia delle relazioni
umane: dapprima una coppia archetipica, forse Adamo ed Eva, danza in un
mondo di terra che si spacca, come appena plasmata. Successivamente,
tre uomini che indossano lunghe gonne, “abiti sacri, da Dervisci o da
Cohanim”, propone Be'er, compiono un rito. Potrebbero però anche essere
androgini, ricollegabili al mito primigenio dell'uomo-donna.
Dopo i tre sacerdoti è il turno di due uomini che si combattono, forse
uno la vita selvatica e l'altro la civiltà, simile a una cavia da
laboratorio. La storia dei combattimenti tra gli uomini si conclude con
una crocefissione che è anche già una deposizione, in cui un danzatore
tiene appeso l'altro per le ascelle. Mentre gli uomini si combattono e
distruggono il mondo, un gruppo di donne irrompe sulla scena battendo
il tempo unanimamente e ristabilendo l'armonia. Si chiude così la
coreografia, con uno splendido volo, bianco e ritmato.
“La Kibbutz Contemporary Dance Company risiede nella Galilea
occidentale, in un villaggio di danza internazionale all'interno del
kibbutz Ga'aton, in un territorio in cui coesistono ebrei e arabi”, mi
spiega Yoni Avital, organizzatore delle performance internazionali
della compagnia nonché musicista della band israeliana “The Shuk”, a
sua volta impegnato nella circolazione di musica ebraica fra Europa e
Stati Uniti. “I nostri danzatori sono spesso impegnati in progetti di
scambio culturale e insegnano in diverse scuole di danza arabe sul
territorio. Inoltre, la nostra compagnia è parte di un progetto della
Sochnut, l'Agenzia ebraica, chiamato Masà Machol: giovani danzatori
professionisti da tutto il mondo possono perfezionarsi da noi per un
semestre. Alcuni negli anni hanno deciso di rimanere, sono entrati a
far parte della compagnia e stasera danzano qui a Napoli".
Forse era necessario che fosse una compagnia proveniente da Israele,
dove la componente spirituale sembra respirare dentro la sabbia del
deserto, a mostrarci in che modo l'essere umano può far da tramite fra
cielo e terra. Questa è però solo la mia lettura: come la sabbia assume
forme diverse a seconda del recipiente che la contiene, le immagini di
Be'er possono raccontare infinite storie a seconda dell'interpretazione
soggettiva di chi le guarda.
Miriam Camerini, regista
Triplice
appuntamento con la danza di Israele domani sera al Napoli Teatro
Festival. La rassegna partenopea, giunta al penultimo giorno di eventi,
vedrà infatti protagonisti Vertigo Dance Company (Birth of the
phoenix), Kibbutz Dance Contemporary Company (If it all) e Dafi Dance
Group (Sensitivity to heat). Il compito di chiudere lo speciale focus
sulle nuove tendenze artistiche israeliane, realizzato col patrocinio
dell'ambasciata di Israele in Italia (nella foto un momento
dell'incontro tra l'ambasciatore Naor Gilon e la dirigenza della
Comunità ebraica napoletana svoltosi dopo il concerto inaugurale di
Noa) toccherà poi ancora ai Dafi Dance Group con una nuova attessima
performance in programma domenica sera al Parco Archeologico di
Pausilypon.
Per maggiori informazioni sul programma visita il sito www.napoliteatrofestival.it
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Qui Roma - Perché nessuna notte è infinita
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L'incubo
di un tunnel apparentemente senza uscita: lo sfratto esecutivo, una
famiglia (Glauco, sua moglie Karen e la figlioletta Lina) costretta a
superare ostacoli durissimi pur di sopravvivere a una precarietà
esistenziale che si fa sempre più intensa. Disagio, angoscia ma anche
voglia non arrendersi nonostante le avversità sono gli ingredienti di
Nessuna notte è infinita (ed. Lantana), nuova prova letteraria di Marco
Di Porto dopo l'esordio nel 2007 con la raccolta di racconti Kaddish
'95 e altre storie (ed. Pequod) applaudita tra gli altri da Alessandro
Piperno. Da oggi nelle librerie, il romanzo è stato
presentato in anteprima alla Libreria Pagine e Caffè di Roma da
Fabrizio Ruggirello e Filippo Bologna. "Nessuna notte è infinita -
assicura quest'ultimo - è un romanzo metropolitano, forte e delicato
come un fiore nato in mezzo all’asfalto".
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Soffermarsi
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Che
il tema storico dell’esame di stato 2012 sia stato dedicato alla Shoah
è in sé un buon segno e da questo punto di vista il comunicato del
Presidente Gattegna è condivisibile. Tuttavia confesso che la
formulazione ha suscitato in me qualche perplessità. A differenza degli
anni scorsi, il tema vero e proprio era preceduto da un testo da cui
prendere spunto, tratto da La banalità del male di Hannah Arendt, dal
capitolo che parla della conferenza di Wannsee. Non voglio entrare nel
merito del libro della Arendt (a cui Pagine ebraiche ha dedicato di
recente interventi anche piuttosto critici); a me pare un libro
importante e per alcuni aspetti utile dal punto di vista didattico, ma
certamente non è – e non intende essere – un libro di storia: più volte
ho messo in guardia i miei allievi dall’usarlo come tale, in
particolare per quanto riguarda la Shoah in Italia (su cui la Arendt
tende a minimizzare, con veri e propri errori, che i ragazzi erano
invitati a scovare). Forse nella prova dell’esame di stato sarebbe
valso la pena ricordare agli studenti (il sottotitolo “Eichmann a
Gerusalemme” non aiuta un granché) che si tratta del resoconto del
processo a Eichmann; quindi la conferenza di Wannsee è raccontata
essenzialmente per mettere in luce il ruolo assunto in essa
dall’imputato e la sua percezione soggettiva di quell’evento:
«[…]La seduta non durò più di un’ora, un’ora e mezzo, dopo di che ci fu
un brindisi e tutti andarono a cena – “una festicciola in famiglia” per
favorire i necessari contatti personali. Per Eichmann, che non si era
mai trovato in mezzo a tanti “grandi personaggi,” fu un avvenimento
memorabile; egli era di gran lunga inferiore, sia come grado che come
posizione sociale, a tutti i presenti. Aveva spedito gli inviti e aveva
preparato alcune statistiche (piene di incredibili errori) per il
discorso introduttivo di Heydrich – bisognava uccidere undici milioni
di ebrei, che non era cosa da poco – e fu lui a stilare i verbali. In
pratica funse da segretario, ed è per questo che, quando i grandi se ne
furono andati, gli fu concesso di sedere accanto al caminetto in
compagnia del suo capo Müller e di Heydrich, “e fu la prima volta che
vidi Heydrich fumare e bere.” Non parlarono di “affari”, ma si
godettero “un po’ di riposo” dopo tanto lavoro, soddisfattissimi e –
soprattutto Heydrich – molto su di tono”».
Un testo estremamente inquietante, utilissimo per portare i giovani a
riflettere appunto sulla “banalità del male”, ma non mi pare che si
possa definire un testo storico. Piuttosto lo avrei visto molto bene
come spunto per un tema di attualità. Cosa si chiedeva di fare? “Il
candidato, prendendo spunto dal testo di Hannah Arendt, si soffermi
sullo sterminio degli ebrei pianificato e realizzato dai nazisti
durante la seconda guerra mondiale.” Curioso questo “si soffermi”, non
“analizzi”, “illustri” o almeno “descriva”, “racconti”. Cosa significa?
Se fossi uno studente davvero mi domanderei cosa ci si aspetta da me.
Il verbo sembra tradire l’idea che basti fermarsi a riflettere un
attimo (o, nel caso specifico, sei ore) per comprendere cosa sia stata
la Shoah. Oppure che i racconti, le testimonianze o il resoconto di un
processo possano sostituire, anziché affiancare, la riflessione storica.
Anna
Segre, insegnante
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rassegna
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Qui Roma - Dj Tomer Maizner,
da Tel Aviv per un'estate in musica
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la rassegna |
Inizia col sound di Israele l'estate romana.
Grande attesa infatti per la performance del dj israeliano Tomer
Maizner che domani sera, in un noto locale capitolino, sarà
protagonista della performance "From Tel Aviv to Rome". L'evento è
organizzato tra gli altri dall'assessorato alle politiche giovanili
della Comunità ebraica di Roma.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
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