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2 maggio 2013 - 22 Iyar 5773
l'Unione informa
ucei
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 

Fra le mitzwòth che la Parashà elenca – sottolineando che esse sono state date “sul monte di Sinày” (e che quindi hanno lo stesso peso del Decalogo) – compare quella che suona: “non imbrogliate ognuno il suo socio”. A prima vista potrebbe sembrar strano un accento così forte su questa mitzwà, che tra l’altro è già affermata pochi versetti prima, con le parole “non imbrogliatevi l’uno con suo fratello”. C’è chi spiega la cosa affermando che un versetto parla dell’imbroglio fra persone in buona fede, che si sentono fratelli, mentre l’altro versetto parla dell’imbroglio fra un imbroglione e “il suo socio” negli imbrogli. Per questo motivo in questo caso il versetto prosegue dicendo “e temerai il tuo D.o”, perché se si cerca di imbrogliare il proprio compagno di malefatte è evidente che non si ha paura della sua possibile reazione. Ma la Ghemarà’ (Bavà’ Qamà’ 117) ci riporta un episodio che sembra porre più problemi che soluzioni. Si racconta del grande Maestro Shemu’èl, che comprò presso un non ebreo un vaso d’oro, e mentre pagava quattro monete “nascose una moneta”. Perché un Grande come Shemu’èl imbroglia il non ebreo? Perché la cosa ci viene raccontata? In realtà, lo scopo della Ghemarà’ è di fornirci un esempio positivo, anzi, più positivo del necessario, dato il livello di Shemu’èl. Shemu’èl si era reso conto che il vaso era d’oro, mentre il prezzo, quattro monete, poteva essere accettabile solo per un metallo più vile. Nel dubbio se il venditore era consapevole del maggior valore del vaso (e quindi del fatto che si trattava di merce rubata, venduta sottocosto) o se pensava di aver venduto un vaso privo di valore, senza rendersi conto che era d’oro, egli “nascose una moneta” in più fra le quattro che il venditore gli aveva chiesto. Se il venditore fosse stato zitto, sarebbe stato segno che era contento di aver imbrogliato a dovere il Maestro; se lo avesse chiamato per restituirgli la moneta in più, il Maestro si sarebbe affrettato a rendergli noto il reale valore del vaso e pagargli il dovuto.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Il carisma, si sa, o uno ce l'ha o uno non ce l'ha. Elio Toaff, il rabbino emerito della comunità ebraica di Roma, è un raro esempio vivente di leader carismatico. Nei momenti più duri e drammatici della storia degli ebrei nel ventesimo secolo che ha spesso vissuto in prima persona, Rav Elio Toaff ha sempre saputo trovare la parola e il gesto che hanno dato un senso compiuto al momento, e ispirazione e fiducia a chi di quei momenti è stato testimone, vicino e lontano. L'altroieri Elio Toaff ha compiuto 98 anni. In semplicità, a casa, circondato dai suoi familiari, ben accudito e in buona salute relativamente all'età. Rav Toaff rappresenta molte cose diverse per molte diverse persone, ma su due sue scelte ben precise credo si possa trovare concordanza di giudizi. La prima è che Toaff ha cercato, e in gran parte è riuscito a consolidare un ampio consenso di persone, per altri versi divergenti, attorno a una piattaforma centrale e largamente condivisa di identità ebraica tradizionale forte. Questo ha fatto senza concessioni populiste, e attivamente dialogando e confrontandosi con posizioni diverse dalle sue. La seconda scelta è la costante e intensa attenzione rivolta all'educazione ebraica, dunque alla continuità delle generazioni basata sulla conoscenza e la pratica di un ebraismo ben vivo, e alla formazione di nuovi quadri dirigenti e spirituali attraverso l'insegnamento. A Rav Toaff, a cui da ieri sono intestati gli asili della comunità di Roma, l'augurio di poter ancora a lungo godere i frutti positivi della sua esemplare opera di Maestro.

davar
Qui Napoli - Kasherut, la strada è aperta
Al via il primo di tre seminari finalizzati ad offire agli imprenditori italiani la possibilità di acquisire maggiore consapevolezza sul processo di certificazione di qualità dei prodotti biologici e sulle certificazioni religiose Halal e Kosher come nuova opportunità di mercato. L'iniziativa è stata sviluppata con il contributo culturale e scientifico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
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Qui Cracovia - Testimonianze antiche e progetti di futuro
A Cracovia una densa tre giorni di incontri ha permesso di fare il punto sui beni culturali ebraici d'Europa e sulla loro tutela e valorizzazione. Numerose le sfide e le progettualità condivise che sono state presentate allo stand italiano.
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Qui Boston - Un eroe normale
È nel suo ufficio affacciato su Boylston Street, insieme al fratello che ha appena corso la maratona e a diversi amici e colleghi. Arriva la prima esplosione, seguita a breve distanza dalla seconda. Agendo istintivamente scende di corsa le scale e corre in strada. Aiuta una madre sconvolta a ritrovare suo figlio, soccorre alcuni feriti caduti che si sono ammassati gli uni sugli altri. Ma soprattutto, lega una maglietta intorno alla gamba di una studentessa universitaria bloccandone l’emorragia – gesto che, stando a quanto hanno riferito i medici, le ha probabilmente salvato la vita. Oggi Bruce Mendelsohn è celebrato in patria come un eroe. E cambiando la vita di altre persone, ha cambiato anche la propria.
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Sound - Willie Nelson, un compleanno fra amici
Ha tenuto la scena, regalando momenti indimenticabili, con Bob Dylan e con Paul Simon. E con il ribelle Pancho and Lefty di Townes Van Zandt e l'Homeward Bound il grande Sud e l'East Coast si sono dati la mano. Ha affiancato Kinky Friedman nella coraggiosa corsa politica per dare al Texas una prospettiva libertaria e aprire un varco nel muro della destra wasp in uno degli Stati più conservatori dell'Unione. Per Willie Nelson, la voce più amata del country americano, l'ottantesimo compleanno è stato il momento di festeggiare con gli amici veri. Le decine di migliaia di agricoltori indipendenti che ha aiutato fondando il Farm Aid e chiamando in scena tutti i grandi della musica americana contro la siccità, la crisi economica e lo strapotere dei grandi gruppi dell'industria agroalimentare. E tutti gli ebrei che con lui hanno cantato, perché le tante voci della democrazia più grande potessero unirsi e trovare coraggio nei momenti difficili.

L.P.

UCEI - Due borse di studio per la cultura
Due borse di studio per l'aggiornamento di dati conservati in formato cartaceo al Centro Bibliografico UCEI. Ad assegnarle a laureati con indirizzo, storico, archeologico, artistico o in conservazione di beni culturali è la Fondazione per i beni culturali ebraici in Italia. Termine ultimo per la presentazione delle domande venerdì 31 maggio.
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Israele - A confronto con i leader politici
Al termine della missione in Cisgiordania il gruppo di attivisti di Jcall è stato ricevuto al parlamento israeliano. Lunghi colloqui con rappresentanti dei principali partiti che hanno messo in luce convergenze e diversità di opinioni sulle strade da intraprendere per il completamento di un percorso di pace.
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pilpul
Omer - Il nuovo è vietato dalla Torah
“Chadàsh asùr min ha-Torah” (il nuovo è vietato dalla Torah) è un’espressione abbastanza nota fra gli addetti ai lavori, ma non tanto per il suo significato nell’ambito della Halakha (legge ebraica) quanto per l’uso meta-halakhico che ne è (stato) fatto. Nel periodo dell’Omer, oltre alla mitzva di contare i giorni e le settimane, c’è un’altra norma: è infatti vietato mangiare del prodotto nuovo (chadash) dei cereali grano, orzo, spelta, avena e segale prima del secondo giorno di Pesach, quando all’epoca del Santuario di Gerusalemme veniva presentato l’Omer, un’offerta di orzo. Come è scritto nella parasha letta sabato scorso, Emòr, “Non mangerete né pane né chicchi abbrustoliti né chicchi freschi (del nuovo prodotto) fino a quel giorno…” (Levitico 23:14; Mishna, Challa 1:1 e Orla 3:9, entrambe di imminente pubblicazione in italiano, rispettivamente a cura dei rabbini C. Moscati e G. Momigliano). Dopo la distruzione del Santuario, non potendo presentare l’offerta, si aspetta che il secondo giorno di Pesach (o il terzo nella Diaspora) sia completamente trascorso. La motivazione di questa mitzva, spiega il Sefer HaChinnukh, è analoga a quella per la recita della benedizione prima di mangiare un qualsiasi cibo o bevanda: si deve ringraziare D-o per il bene che ci fornisce prima di poterne godere.
Su questa norma della Torah si scatenò un’accesa polemica fra i massimi rabbini dei secoli scorsi, al cui confronto le diatribe odierne e nostrane sono scambi zuccherosi. La norma del chadash vale solo nella Terra d’Israele o anche fuori di essa? E vale solo per i prodotti coltivati da ebrei o anche da non-ebrei? La discussione risale già all’epoca della Mishna (Qiddushin 1:9, edizione italiana a cura di rav R. Della Rocca), ma si fece più pressante quando buona parte del popolo ebraico si ritrovò nella Diaspora. È chiara la conseguenza pratica del seguire l’una o l’altra interpretazione: se si vieta il chadash anche nella Diaspora, in luoghi in cui la semina veniva fatta dopo Pesach, come nel principale granaio d’Europa, la Russia, il relativo raccolto non poteva essere utilizzato dagli ebrei prima della festa di Pesach dell’anno successivo. Non si tratta solo della farina ma anche di una bevanda diffusissima in quei paesi come la birra. Niente di tutto ciò potrebbe essere consumato per otto-nove mesi l’anno se il chadash è vietato. Si comprende quindi la rilevanza della questione.
Alcuni autorevoli rabbini erano a favore dell’interpretazione facilitante, che permette il prodotto fuori della Terra d’Israele se coltivato da non-ebrei; altri rabbini, ugualmente autorevoli, erano nettamente contrari. Rabbi Baruch Epstein (1860-1941), l’autore della Torà Temimà, scrive che si trattò di “una discussione antica e possente”, su cui furono scritti “lunghi responsi legali, pamphlet e libri appositi, senza comunque arrivare a una conclusione certa, fino a che arrivò Rabbi Eliyhau, il Gaon di Vilna (il Gra, 1720-1797), il più grande degli ultimi rabbini, che contrariamente ai suoi soliti modi composti e miti e alle raccomandazioni dei Saggi di usare sempre modi gentili scatenò una bufera contro i facilitanti, al punto da offenderli con parole pungenti”. In effetti, il Gaon aveva scritto, riguardo a uno dei rabbini facilitanti, l’autore del Be’er HaGolah (Rabbi Moshe Rivkes, ca. 1600-1672, peraltro suo quadrisavolo), che “aveva commesso un grave errore e che sarebbe stato meglio se fosse rimasto zitto” (Shulchan Arukh, Yore De’a 293, con Be’er HaGola e Beur HaGra; Orach Chaim 489, con Mishna Berura e Beur Halakha).
Si racconta che il Ba’al Shem Tov, il fondatore del chassidismo, avesse chiesto in sogno quale fosse la regola sul chadash nei nostri tempi, e sempre in sogno gli venisse risposto che dopo la morte del Bach (Rabbi Yoel Sirkis, 1561-1640, autore del Bayit Chadash), uno dei rabbini facilitanti, le fiamme del Gheinnom si raffreddarono per quaranta giorni in suo onore (come il caso descritto nel Talmud, Berakhot 15b). Al risveglio, il Ba’al Shem Tov si fece portare della birra prodotta dal “chadash”, dicendo che l’autorità del Bach era tale che ci si poteva appoggiare sulla sua opinione (ringrazio l’amico Reuven Ravenna per la citazione di questo racconto).
Fin qui il senso stretto del chadash. E qual è il senso meta-halakhico della faccenda? Il detto “il nuovo è vietato dalla Torah” è stato utilizzato a mo’ di slogan nell’800 dagli oppositori della Rifoma, in particolare dal Chatam Sofer (Rabbi Moshe Sofer, 1762-1839), per controbattere qualsiasi innovazione nei riti e nelle usanze. Ma anche qui la discussione continua. Chadàsh asùr o mutàr? Il nuovo è (sempre) vietato o ci possono essere innovazioni permesse? Il movimento Modern Orthodox è riuscito a rinnovare e modernizzare senza riformare.
Anni fa ho conosciuto un ebreo di Boston che nel basement della sua casa ha un’immensa scorta di farina, pasta e biscotti dell’anno precedente, così da non incorrere nel dubbio di consumare del chadash. A scanso di equivoci, non si tratta di un ebreo oscurantista e arretrato, ma di un illustre fisico del MIT, la più importante università scientifico-tecnologica del mondo. A riprova che “vecchio” e “nuovo” possono tranquillamente coesistere.

Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano

Setirot - Stare insieme fra diversi. E starci bene
La ricerca del consenso può essere sinonimo di sopravvivenza. E forse è proprio per questo che, ad esempio, l'Unione delle Comunità ebraiche ha commissionato al professor Enzo Campelli l'ormai super citata ricerca socio-demografica presentata a Milano Marittima. Forse è per questo che gli organizzatori del Moked2013 si sono sforzati (senza dubbio con successo, lo dico perché c'ero) di mettere insieme una quattro giorni densa, appassionata, viva. Stare insieme tra diversi – e starci bene – è la grande, vera sfida. Scommessa vinta, nella misura in cui i titoli delle diatribe che scombussolano e interrogano l'ebraismo (non solo) italiano sono stati elencati senza timori, messi sul tavolo senza infingimenti. Una scommessa che tuttavia rischia di essere persa – e persa per sempre – quando alla ricerca leale, sincera, sofferta di un dialogo aperto e fermo si contrappone una Verità con la V maiuscola che può solamente isolare, offendere, ferire, respingere, zittire. Agli uomini si addicono l'interpretazione e la discussione. La Verità è dell'Onnipotente e sta in cielo. Su questa terra, oltre all'interpretazione e alla discussione, resta il fanatismo.

Stefano Jesurum, giornalista

Time out - Il viaggio di Jcall
Leggo da questa rubrica che in questi giorni si sta svolgendo  il viaggio di una delegazione di JCall in Israele e nei territori palestinesi. Per chi non lo sapesse, Jcall è quell’organizzazione che, in nome della ragione, ritiene che il pericolo per lo Stato d’Israele non siano tanto i suoi nemici che vogliono distruggerla, come Hamas, Hezbollah o l’Iran, ma il fatto che esistano delle colonie. Non stupisce quindi che nell’incontro di martedì con il Primo Ministro palestinese Salam Fayyad, nel discorso del rappresentante di JCall, non vi fosse un minimo cenno di solidarietà alla famiglia dell’israeliano, padre di cinque figli, ucciso da un terrorista palestinese alla fermata dell’autobus di Tapuach, poche ore prima. Terrorista che fra l’altro apparteneva a Fatah, la stessa organizzazione di Fayyad. Eppure un accenno alla notizia c’era; si diceva che un palestinese e un colono (non un israeliano?) erano morti, senza sentire per esempio il bisogno di dire chi fosse la vittima e chi il carnefice, o come fossero andate le cose. Non che a Ramallah non lo sapessero, ma pare che si siano stupiti anche loro che tale notizia invece che essere accompagnata dalla richiesta di farla finita con il terrorismo, fosse invece associata ad un appello affinché le violenze dei "coloni" smettessero. Quelle dei "coloni" capito? E questi cari signori che leggete, sarebbero i nostri intellettuali, la coscienza critica del popolo ebraico. Quelli che affermano che esiste una crisi etica e democratica all’interno dello Stato d’Israele. Quello stesso Stato che, al contrario di come hanno riportato loro, il palestinese che ha compiuto l’attentato ha evitato di ucciderlo nello scontro a fuoco, ferendolo solo lievemente per poi curarlo in un ospedale israeliano, prima di metterlo in prigione. Una lezione di etica e democrazia che a quanto pare, i personaggi più in malafede, non vogliono imparare e non impareranno mai.

Daniel Funaro

notizie flash   rassegna stampa
Israele - Un referendum sulla pace   Leggi la rassegna

Israele sta pensando di sottoporre eventuali accordi di pace con i palestinesi a un referendum. Lo ha anticipato oggi il premier Benyamin Netanyahu al consigliere federale svizzero Didier Burkhalter, in visita a Gerusalemme fino a sabato. Nell'accogliere la notizia Burkhalter, ha invitato Netanyahu in Svizzera "dove vi consiglieremo sul modo migliore di organizzare una consultazione popolare".

 

Un messaggio simultaneo di pace che corre da Roma ad Assisi fino a Gerusalemme. Questa la fotografia che Lisa Billig fa degli avvenimenti delle ultime ore relativamente ai rapporti tra Stato di Israele e Santa Sede. Momento centrale l’incontro tra papa Francesco e Peres in Vaticano e la consegna a quest’ultimo della cittadinanza onoraria del comune franscescano per l’impegno profuso nel dialogo tra i popoli e nel processo di pace mediorientale.



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