“Chadàsh asùr min ha-Torah”
(il nuovo è vietato dalla Torah) è un’espressione abbastanza nota fra
gli addetti ai lavori, ma non tanto per il suo significato nell’ambito
della Halakha (legge ebraica) quanto per l’uso meta-halakhico che ne è
(stato) fatto. Nel periodo dell’Omer, oltre alla mitzva di contare i
giorni e le settimane, c’è un’altra norma: è infatti vietato mangiare
del prodotto nuovo (chadash) dei cereali grano, orzo, spelta, avena e
segale prima del secondo giorno di Pesach, quando all’epoca del
Santuario di Gerusalemme veniva presentato l’Omer, un’offerta di orzo.
Come è scritto nella parasha letta sabato scorso, Emòr, “Non mangerete
né pane né chicchi abbrustoliti né chicchi freschi (del nuovo prodotto)
fino a quel giorno…” (Levitico 23:14; Mishna, Challa 1:1 e Orla 3:9,
entrambe di imminente pubblicazione in italiano, rispettivamente a cura
dei rabbini C. Moscati e G. Momigliano). Dopo la distruzione del
Santuario, non potendo presentare l’offerta, si aspetta che il secondo
giorno di Pesach (o il terzo nella Diaspora) sia completamente
trascorso. La motivazione di questa mitzva, spiega il Sefer HaChinnukh,
è analoga a quella per la recita della benedizione prima di mangiare un
qualsiasi cibo o bevanda: si deve ringraziare D-o per il bene che ci
fornisce prima di poterne godere.
Su questa norma della Torah si scatenò un’accesa polemica fra i massimi
rabbini dei secoli scorsi, al cui confronto le diatribe odierne e
nostrane sono scambi zuccherosi. La norma del chadash vale solo nella
Terra d’Israele o anche fuori di essa? E vale solo per i prodotti
coltivati da ebrei o anche da non-ebrei? La discussione risale già
all’epoca della Mishna (Qiddushin 1:9, edizione italiana a cura di rav
R. Della Rocca), ma si fece più pressante quando buona parte del popolo
ebraico si ritrovò nella Diaspora. È chiara la conseguenza pratica del
seguire l’una o l’altra interpretazione: se si vieta il chadash anche
nella Diaspora, in luoghi in cui la semina veniva fatta dopo Pesach,
come nel principale granaio d’Europa, la Russia, il relativo raccolto
non poteva essere utilizzato dagli ebrei prima della festa di Pesach
dell’anno successivo. Non si tratta solo della farina ma anche di una
bevanda diffusissima in quei paesi come la birra. Niente di tutto ciò
potrebbe essere consumato per otto-nove mesi l’anno se il chadash è
vietato. Si comprende quindi la rilevanza della questione.
Alcuni autorevoli rabbini erano a favore dell’interpretazione
facilitante, che permette il prodotto fuori della Terra d’Israele se
coltivato da non-ebrei; altri rabbini, ugualmente autorevoli, erano
nettamente contrari. Rabbi Baruch Epstein (1860-1941), l’autore della
Torà Temimà, scrive che si trattò di “una discussione antica e
possente”, su cui furono scritti “lunghi responsi legali, pamphlet e
libri appositi, senza comunque arrivare a una conclusione certa, fino a
che arrivò Rabbi Eliyhau, il Gaon di Vilna (il Gra, 1720-1797), il più
grande degli ultimi rabbini, che contrariamente ai suoi soliti modi
composti e miti e alle raccomandazioni dei Saggi di usare sempre modi
gentili scatenò una bufera contro i facilitanti, al punto da offenderli
con parole pungenti”. In effetti, il Gaon aveva scritto, riguardo a uno
dei rabbini facilitanti, l’autore del Be’er HaGolah (Rabbi Moshe
Rivkes, ca. 1600-1672, peraltro suo quadrisavolo), che “aveva commesso
un grave errore e che sarebbe stato meglio se fosse rimasto zitto”
(Shulchan Arukh, Yore De’a 293, con Be’er HaGola e Beur HaGra; Orach
Chaim 489, con Mishna Berura e Beur Halakha).
Si racconta che il Ba’al Shem Tov, il fondatore del chassidismo, avesse
chiesto in sogno quale fosse la regola sul chadash nei nostri tempi, e
sempre in sogno gli venisse risposto che dopo la morte del Bach (Rabbi
Yoel Sirkis, 1561-1640, autore del Bayit Chadash), uno dei rabbini
facilitanti, le fiamme del Gheinnom si raffreddarono per quaranta
giorni in suo onore (come il caso descritto nel Talmud, Berakhot 15b).
Al risveglio, il Ba’al Shem Tov si fece portare della birra prodotta
dal “chadash”, dicendo che l’autorità del Bach era tale che ci si
poteva appoggiare sulla sua opinione (ringrazio l’amico Reuven Ravenna
per la citazione di questo racconto).
Fin qui il senso stretto del chadash. E qual è il senso meta-halakhico
della faccenda? Il detto “il nuovo è vietato dalla Torah” è stato
utilizzato a mo’ di slogan nell’800 dagli oppositori della Rifoma, in
particolare dal Chatam Sofer (Rabbi Moshe Sofer, 1762-1839), per
controbattere qualsiasi innovazione nei riti e nelle usanze. Ma anche
qui la discussione continua. Chadàsh asùr o mutàr? Il nuovo è (sempre)
vietato o ci possono essere innovazioni permesse? Il movimento Modern
Orthodox è riuscito a rinnovare e modernizzare senza riformare.
Anni fa ho conosciuto un ebreo di Boston che nel basement della sua
casa ha un’immensa scorta di farina, pasta e biscotti dell’anno
precedente, così da non incorrere nel dubbio di consumare del chadash.
A scanso di equivoci, non si tratta di un ebreo oscurantista e
arretrato, ma di un illustre fisico del MIT, la più importante
università scientifico-tecnologica del mondo. A riprova che “vecchio” e
“nuovo” possono tranquillamente coesistere.
Gianfranco
Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano
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Setirot - Stare insieme fra
diversi. E starci bene
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La ricerca del consenso può
essere sinonimo di sopravvivenza. E forse è proprio per questo che, ad
esempio, l'Unione delle Comunità ebraiche ha commissionato al professor
Enzo Campelli l'ormai super citata ricerca socio-demografica presentata
a Milano Marittima. Forse è per questo che gli organizzatori del
Moked2013 si sono sforzati (senza dubbio con successo, lo dico perché
c'ero) di mettere insieme una quattro giorni densa, appassionata, viva.
Stare insieme tra diversi – e starci bene – è la grande, vera sfida.
Scommessa vinta, nella misura in cui i titoli delle diatribe che
scombussolano e interrogano l'ebraismo (non solo) italiano sono stati
elencati senza timori, messi sul tavolo senza infingimenti. Una
scommessa che tuttavia rischia di essere persa – e persa per sempre –
quando alla ricerca leale, sincera, sofferta di un dialogo aperto e
fermo si contrappone una Verità con la V maiuscola che può solamente
isolare, offendere, ferire, respingere, zittire. Agli uomini si
addicono l'interpretazione e la discussione. La Verità è
dell'Onnipotente e sta in cielo. Su questa terra, oltre
all'interpretazione e alla discussione, resta il fanatismo.
Stefano
Jesurum, giornalista
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Time out - Il viaggio di
Jcall |
Leggo da questa rubrica che
in questi giorni si sta svolgendo il viaggio di una
delegazione di JCall in Israele e nei territori palestinesi. Per chi
non lo sapesse, Jcall è quell’organizzazione che, in nome della
ragione, ritiene che il pericolo per lo Stato d’Israele non siano tanto
i suoi nemici che vogliono distruggerla, come Hamas, Hezbollah o
l’Iran, ma il fatto che esistano delle colonie. Non stupisce quindi che
nell’incontro di martedì con il Primo Ministro palestinese Salam
Fayyad, nel discorso del rappresentante di JCall, non vi fosse un
minimo cenno di solidarietà alla famiglia dell’israeliano, padre di
cinque figli, ucciso da un terrorista palestinese alla fermata
dell’autobus di Tapuach, poche ore prima. Terrorista che fra l’altro
apparteneva a Fatah, la stessa organizzazione di Fayyad. Eppure un
accenno alla notizia c’era; si diceva che un palestinese e un colono
(non un israeliano?) erano morti, senza sentire per esempio il bisogno
di dire chi fosse la vittima e chi il carnefice, o come fossero andate
le cose. Non che a Ramallah non lo sapessero, ma pare che si siano
stupiti anche loro che tale notizia invece che essere accompagnata
dalla richiesta di farla finita con il terrorismo, fosse invece
associata ad un appello affinché le violenze dei "coloni" smettessero.
Quelle dei "coloni" capito? E questi cari signori che leggete,
sarebbero i nostri intellettuali, la coscienza critica del popolo
ebraico. Quelli che affermano che esiste una crisi etica e democratica
all’interno dello Stato d’Israele. Quello stesso Stato che, al
contrario di come hanno riportato loro, il palestinese che ha compiuto
l’attentato ha evitato di ucciderlo nello scontro a fuoco, ferendolo
solo lievemente per poi curarlo in un ospedale israeliano, prima di
metterlo in prigione. Una lezione di etica e democrazia che a quanto
pare, i personaggi più in malafede, non vogliono imparare e non
impareranno mai.
Daniel
Funaro
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Israele - Un referendum sulla pace |
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la rassegna |
Israele
sta pensando di sottoporre eventuali accordi di pace con i palestinesi
a un referendum. Lo ha anticipato oggi il premier Benyamin Netanyahu al
consigliere federale svizzero Didier Burkhalter, in visita a
Gerusalemme fino a sabato. Nell'accogliere la notizia Burkhalter, ha
invitato Netanyahu in Svizzera "dove vi consiglieremo sul modo migliore
di organizzare una consultazione popolare".
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Un messaggio simultaneo di pace che corre da Roma ad Assisi fino a Gerusalemme. Questa la fotografia che Lisa Billig
fa degli avvenimenti delle ultime ore relativamente ai rapporti tra
Stato di Israele e Santa Sede. Momento centrale l’incontro tra papa
Francesco e Peres in Vaticano e la consegna a quest’ultimo della
cittadinanza onoraria del comune franscescano per l’impegno profuso nel
dialogo tra i popoli e nel processo di pace mediorientale.
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