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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Ogni anno, con il sopraggiungere di Rosh
HaShanah, assistiamo a un riavvicinamento alle tradizioni anche da
parte di molti che durante il resto dell’anno raramente si vedono nei
vari Batè HaKeneset o ad altre manifestazioni comunitarie. Non si
tratta evidentemente di una semplice abitudine, né di un fenomeno
ripetitivo di atavica memoria. C’è davvero, oltre alle ansie e ai
timori che il giudizio divino può suscitare nel nostro animo in questo
periodo dell’anno, un profondo desiderio di riconquistare una parte di
noi stessi per lungo tempo trascurata, valori e ideali che
probabilmente non abbiamo mai abbandonato del tutto. Il ritrovarci
assieme a altri nostri fratelli, in questi giorni dell’anno, ci
dovrebbe rendere più consapevoli del fatto che essere ebrei significa
andare oltre ciò che, abitualmente, siamo capaci di fare. Soprattutto
nell’ambito dei nostri rapporti con gli altri, i Yamim Noraim
costituiscono una grande occasione per imparare ad andare oltre ai
nostri limiti. Con l’augurio che sia un anno di riscoperta del grande
valore della Aavàt Israel.
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Dario
Calimani,
anglista
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“Un cristiano non può essere antisemita”. Lo
ha detto papa Francesco, e l’affermazione fa sorridere e al tempo
stesso fa venire i brividi. Se fosse stato vero nei secoli passati…
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“Coordinamento,
autonomia e solidarietà” |
In occasione del Rosh HaShana 5774 il
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna
ha inviato ai Consiglieri UCEI, ai Presidenti delle Comunità ebraiche
italiane, ai rabbini e agli altri esponenti ebraici un messaggio
augurale.
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Voci a confronto
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“Le suore brigidine ci hanno nascosto, ma
soprattutto ci hanno restituito la dignità permettendoci di vivere la
nostra identità ebraica”. La testimonianza di Piero Piperno sull’ultimo
numero di Italia Ebraica è oggi ripresa quasi integralmente da Avvenire
in vista della prossima consegna, alle suore del convento di Piazza
Farnese, di alcuni attestati di coraggio rilasciati in estate dal
Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles. Incontro in Vaticano tra papa
Francesco e alcuni esponenti del World Jewish Congress. Nell’occasione
il pontefice ha rivolto i propri auguri per l’imminente ingresso
dell’anno ebraico 5774 confrontadosi, con i propri interlocutori, su
sfide e iniziative nel segno dei valori comuni. A partire dall’impegno
per la risoluzione delle controversie internazionali, Siria in primis.
“Un cristiano non può mai essere antisemita”, ha poi sottolineato
Francesco (Corriere della sera). Il conflitto tra lealisti e ribelli
siriani è ancora oggi dominante sulla stampa italiana e internazionale.
Sulla Stampa Maurizio Molinari fa il punto sul fronte arabo anti-Assad,
mentre Michael Sfaradi – su Libero – si sofferma sul piano di
evacuazione predisposto, in caso di necessità, per gli abitanti di Tel
Aviv. Al Festival del Cinema di Venezia il regista israeliano Amos
Gitai conquista il premio Bresson con il suo nuovo lavoro: una
pellicola che racconta la convivenza di ebrei e musulmani in una
bidonville posta tra Jaffa e la Striscia di Gaza. “Continuo a credere
nella convivenza tra popoli diversi – ha affermato – e rifiuto la
logica della violenza” (Corriere). Sul dorso romano del Corriere
l’invito di Paolo Conti affinché, con la 70esima ricorrenza del
rastrellamento al Portico d’Ottavia, il 16 ottobre diventi “giorno di
lutto cittadino”.
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Risorse e bilanci
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Sul numero di Pagine Ebraiche di agosto, un
approfondimento sull’ultimo Bilancio dell’Unione delle Comunità
Ebraiche.
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rosh
hashanah 5774
Ricordiamoci
del futuro
Ci
sono almeno due buone ragioni per versare lacrime sincere. Un intenso
dolore, ovviamente. Ma anche una sorta di commozione, quella che si
prova ammirando le capacità professionali altrui. In genere si piange
per un motivo, oppure per un altro. Non so come, il collega Joerg
Bremer, corrispondente da Roma del più autorevole quotidiano europeo,
la Frankfurter Allgemeine Zeitung, è riuscito invece con un suo
articolo a farmi mischiare le lacrime. Magistrale la sua
professionalità, nel raccontare in poche parole e senza sprecarne
alcuna, una storia, la nostra. Dolorosissimo il tema, soprattutto per
chi, come molti di noi, ha probabilmente trascorso l’anno
dimenticandosi di affrontare i veri problemi dei tempi nostri. Il
titolo “Die Sehnsucht nach deutsche Vita” (Alla ricerca di una vita
tedesca, che suona come ‘Dolce vita’ sulla base di una perfida e
intraducibile assonanza) ci racconta di un’intera generazione di
giovani italiani che prepara le valige. I nostri giovani se ne vanno.
Quelli su cui abbiamo investito, quelli cui avremmo dovuto consegnare
il futuro. C’è chi ha l’aria di partire per le vacanze e spera di non
tornare. Chi si tuffa in un Erasmus tentando di tirarla per le lunghe.
Chi trova finalmente un lavoro adeguato. Chi ha conquistato nelle
nostre scuole competenza e professionalità e ora vorrebbe farsi valere
là dove tali doti non vengono di norma prese a calci. Sono stufi della
nostra politica, della burocrazia, della morte delle speranze. E chi
non parte, accarezza almeno la speranza di farlo. La Germania, con il
suo mercato del lavoro in forte crescita, il suo sistema di vita
semplice e trasparente, è una meta privilegiata, ovviamente non la
sola. E Bremer racconta le speranze, i successi e le disillusioni dei
tanti giovani che cercano di imparare qualche parola di una lingua
difficile prima di lasciare l’Italia, sbarcano e conquistano il
successo, oppure talvolta non riescono a resistere e ritornano
sconfitti. La sua inchiesta serve a dirci che non si tratta di singoli
casi isolati, dei figli degli amici, o dei nostri, che vanno in giro
per il mondo. E’ un esercito che ci volta le spalle. Quello che è vero
per la società italiana lo è ancora di più per gli ebrei italiani. A
Berlino, dove in pochi anni da 6000 gli ebrei superano i 100 mila, a
Londra e a Tel Aviv. Siamo i primi ad apprezzare i benefici della
globalizzazione, della possibilità di andare lontano. Ma se i casi
singoli, soprattutto quando la meta è Israele, non possono che
suscitare simpatia, possiamo davvero permetterci un esodo massiccio
della nostra gioventù più motivata? Prima che sia troppo tardi, sarebbe
forse meglio rivedere l’agenda. Nell’anno che sta per concludersi
abbiamo perso tempo, assieme a milioni di connazionali, abbandonandoci
al vittimismo, alla malevolenza, all’invidia. Abbiamo mancato di
riconoscere i meriti di chi lavora. Ci siamo appassionatamente
disputati una torta delle risorse che diventa sempre più piccola senza
minimamente preoccuparci di ingrandirla. Come se non bastassero i
nemici veri, ci siamo inventato nemici immaginari. Non è solo
imbecille, è anche un fattore che avvelena la crescita. Molti dei
nostri giovani non possono capirlo e, al di là della crisi, trovano un
motivo in più per fare le valige. Perché così facendo sbarriamo la
strada del loro futuro. Nel nuovo anno, fra i tanti buoni propositi,
potremmo cercare di pensare a loro. Impegnamoci per una formazione
culturale e professionale che non sia di cartapesta e per la creazione
di posti di lavoro veri. Fermiamo la retorica, la superficialità, il
precariato. Restituiamo spazio alla speranza. Il direttore della Stampa
Mario Calabresi ha ben colto questo punto parlando del futuro dei
giovani giornalisti italiani in un editoriale intitolato “Creare
lavoro, non solo difenderlo” (di fronte alla crisi, scrive, “un solo
soggetto e sconfitto: i giovani giornalisti o gli aspiranti tali, quasi
che il problema fossero loro. Non solo gli si dice che per salvare
l’esistente e necessario alzare un muro che li tenga lontani, ma non
gli si da nemmeno la possibilita di imparare”). Per quanto mi riguarda
ho deciso di cominciare l’anno con gli occhi asciutti. L’ultima lacrima
che mi restava l’ho spesa per l’emozione di firmare una dichiarazione,
la sesta, diretta all’Ordine dei giornalisti a certificare la
conclusione di un nuovo praticantato giornalistico. Sei giovani ebrei
italiani cresciuti in campo ebraico sono oggi giornalisti
professionisti a testa alta. Grazie al Consiglio e alla Giunta
dell’Unione per questo piccolo grande segnale di coraggio che fa
ripartire la speranza e crea grandi risorse con piccoli investimenti.
Nel 5774, prima di perderli e di doverli rimpiangere, investiamo sui
nostri giovani. E ricordiamoci del nostro futuro.
Guido Vitale, giornalista
Pagine Ebraiche, settembre 2013
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rosh
hashanah 5774
La
risposta ebraica agli auguri
inviati da papa Francesco
Il quotidiano della Santa
Sede L'Osservatore Romano in distribuzione nelle prossime ore riporta
una dichiarazione del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna in merito agli auguri per il prossimo anno
ebraico 5774 formulati da papa Francesco in occasione di un incontro
con i leader del World Jewish Congress. Nell'articolo, che riportiamo
di seguito, si fa inoltre menzione al messaggio inviato nelle scorse
ore dal papa al rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni.
Gli ebrei italiani hanno accolto «con amicizia e spirito di
fratellanza» gli auguri formulati dal Papa alla vigilia di Rosh
haShanah, la festività che segna l’inizio dell’anno ebraico 5774. Lo
dichiara all’Osservatore Romano il presidente dell’Unione delle
comunità ebraiche italiane (Ucei), Renzo Gattegna, che sottolinea
l’importanza dei temi trattati dal Pontefice durante l’incontro con una
delegazione del World Jewish Congress svoltosi lunedì 2 settembre, e
cioè «condivisione di valori e radici comuni, consapevolezza e rispetto
delle reciproche diversità, difesa della dignità dell’uomo contro la
barbarie del fondamentalismo religioso, impegno e sacrificio per la
realizzazione di un futuro di autentica armonia tra i popoli». Temi
che, a giudizio di Gattegna, «lasciano intravedere un ampio ventaglio
di opportunità di crescita e collaborazione per ebrei e cristiani». Per
il presidente dell’Ucei siamo di fronte a «un processo che dal concilio
Vaticano ii ad oggi, nel solco della nuova fase di apertura e dialogo
inauguratasi in quella circostanza, ha portato a risultati di notevole
concretezza». Si tratta di «un fuoco da alimentare costantemente con
nuove iniziative e occasioni di incontro» e di «una sfida viva e
attuale per l’anno 5774 alle porte. Ad accoglierci è infatti una fase
storica di notevole complessità in cui ognuno di noi, con
determinazione e con la massima consapevolezza, è chiamato ad offrire
il proprio contributo in favore della pace». Per le prossime festività
ebraiche il Papa, come di consueto, ha inviato un telegramma anche a
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, nel quale esprime «l’augurio
più vivo», assicura il «ricordo nella preghiera» e auspica il
consolidamento dell’«amicizia tra ebrei e cristiani».
(L'Osservatore Romano, 4 settembre 2013).
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La
crisi della speranza
Con
il Capodanno ebraico ci auguriamo che i prossimi dodici mesi siano
buoni e dolci come il miele. Dal punto di vista psicologico è
necessaria una dose di speranza, persino di incoscienza, per garantirsi
l’entusiasmo necessario per ricominciare. Le vacanze servono proprio a
questo, a liberare la testa dalle preoccupazioni e dai problemi
concreti, per recuperare uno sguardo più leggero, più ampio, un po’ più
ingenuo e positivo.
Tobia Zevi, Associazione
Hans Jonas
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Storie
- La famiglia e il pacco
Ci
sono microstorie della Shoah che commuovono e appassionano in modo
particolare. Una di queste, è la vicenda della famiglia
Klein-Sacerdoti, raccontata da Giorgio Sacerdoti nel libro “Nel caso
non ci rivedessimo” (Archinto), con l’ausilio di lettere dell’epoca. I
Klein sono di Colonia, in Germania, i Sacerdoti originari di Modena, ma
vivono a Milano.
Mario Avagliano
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