Rav Lord Jonathan Sacks
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La mia prima passione è sempre stata quella di insegnare e in effetti il significato della parola rabbi è “mio insegnante”.
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David Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Ieri
abbiamo chiuso la lettura del secondo libro, Shemot/Nomi/Esodo. Le vie
verso la libertà dalla schiavitù sono sempre lastricate dall’emozione,
ma anche dallo sguardo indietro, dalla nostalgia, dal senso di
solitudine, dallo smarrimento. Molto spesso dall’impazienza. Il timore
mi sembra lo stato d’animo in grado di descrivere il lungo percorso
inconcluso che si delinea in quei quaranta capitoli. Una condizione che
tutti i protagonisti provano più volte. Perché? L’unica risposta che mi
so dare è questa: intraprendere un percorso autentico verso la libertà,
senza cadere nell’adorazione di sé, include non essere mai certi, non
sapere, e soprattutto non avere la certezza del giusto. Solo chi crede
di avere dalla propria parte il futuro, Dio, o il destino non ha
timore. Tutti gli altri sanno solo il proprio oggi, talvolta si
dimenticano quanto terribile fosse il proprio ieri (tanto da
rimpiangerlo), non hanno garanzia del proprio domani. Perché dovrebbero
essere sicuri?
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Un ciclo di incontri
sull'etica medica |
IUn
ciclo di incontri sull’etica medica patrocinato dal Dipartimento
Educazione e Cultura UCEI, avrà luogo nei locali del Tempio dei Giovani
sull’Isola Tiberina con cadenza settimanale. Appuntamento ogni lunedì
alle 20. Tra i rabbinim coinvolti Roberto Colombo, Roberto Della Rocca,
Riccardo Di Segni, Cesare Efrati, Gianfranco Di Segni, Benedetto
Carucci, Ariel Di Porto, Amedeo Spagnoletto, Gavriel Levi, Umberto
Piperno.
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Israele, Bennet boccia il piano
di pace del segretario Usa
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Un
Naftali Bennet a tutto tondo quello che appare oggi sulle colonne de La
Stampa. Il ministro dell’Economia israeliano si racconta in
un’intervista rilasciata al giornalista Maurizio Molinari. E, come già
in passato, boccia la soluzione dei “due popoli, due Stati” su cui si
fonda il progetto di pace del segretario Usa John Kerry. Bennet parla
di “illusione” e sostiene che in caso di ritiro israeliano dalla West
Bank si lascerebbe mano libera agli iraniani, prima preoccupazione del
governo di Gerusalemme. Quale soluzione dunque al conflitto? Secondo
Bennet: estensione del controllo su Giudea e Samaria, garanzia di
cittadinanza ai palestinesi che vivono in questi territori e
“all’Autorità resterebbero i maggiori centri abitati dove si concentra
la quasi totalità dei palestinesi”. Come sottolinea Molinari, la
popolarità di Bennet è in ascesa e il suo HaBayt HaYehudi sembra
riuscire a raccogliere le istanze di molti israeliani. Nell’intervista,
voluta per farsi conoscere anche all’estero, alcuni punti chiave della
visione di Bennet sul futuro di Israele.
Mentre il suo ministro dell’Economia non da chance al progetto Kerry,
il premier israeliano Benjamin Netanyahu vola a Washington per
discutere con Obama e con il suo segretario di Stato proprio sui punti
previsti dal piano di pace (Osservatore Romano – il quotidiano vaticano
riporta l’aumento della tensione sul confine tra Israele e Gaza). Il
premier è apparso più possibilista rispetto a Bennet, anche se la
situazione difficilmente si sbloccherà grazie a questo incontro.
Netanyahu intanto proverà a convincere la Casa Bianca della necessità
di una maggiore durezza nei confronti dell’Iran, con il ripristino
delle sanzioni economiche. Al suo fianco, ci sarà l’Aipac,
organizzazione pro Israele che si riunisce in questi giorni a
Washington per il congresso annuale (a cui parteciperanno lo stesso
Netanyahu e il segretario Kerry).
Lutto nel mondo dello Sport, e non solo, per la scomparsa a 95 anni di
Adriana Bartali, moglie del celebre campione Gino, nominato Giusto tra
le Nazioni per aver collaborato al salvataggio di diverse famiglie
ebraiche durante la furia nazifascista (Gazzetta dello Sport).
“65.000 dollari per il Mein Kampf con dedica di Hitler”, questa la
cifra raggiunta, come ricorda La Stampa, dal “discutibile cimelio”
battuto in America durante un’asta on-line. Due i volumi venduti,
entrambi prime edizioni, firmate di suo pugno dall’autore.
Sì ai veli per le donne e ai turbanti per gli uomini. Questa una delle
decisioni emerse dal 128esimo International Board della Fifa. Sui campi
da calcio, dunque, sarà possibile scendere in campo con il velo o con
il turbante (richiesta quest’ultima arrivata da una comunità sikh
canadese). La notizia è riportata dalla Gazzetta dello Sport che
ricorda, sempre in tema calcistico, la campagna contro l’omofobia
portata avanti dalla Fondazione Cannavò. Dopo l’adesione tra i
testimonial del giocatore del Cagliari Daniele Dessena, ieri anche il
romanista Radja Nainggolan ha indossato i lacci colorati, simbolo della
campagna.
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domani vertice netanyahu - obama Bibi e i problemi di Washington
Gerusalemme
si appresta ad accogliere migliaia di ultraortodossi da tutta Israele,
arrivati nella Capitale per protestare contro la norma che
allargherebbe l'obbligo di leva agli studenti delle yeshivot. La
manifestazione, indetta dai consigli rabbinici di Degel HaTorah, Agudat
Yisrael e Shas, i tre principali movimenti haredim israeliani, inizierà
questo pomeriggio, bloccando di fatto la città. Muro contro muro, la
scelta dei vertici del mondo haredi che non sembrano disponibili al
dialogo con il governo di Benjamin Netanyahu. Preoccupazione in più,
dunque, per il primo ministro israeliano, partito per Washington con un
bagaglio di questioni già molto pesante. Netanyahu domani incontrerà il
presidente degli Stati Uniti Barack Obama e sul tavolo ci saranno temi
fondamentali per Israele: il piano per il proseguo dei negoziati di
pace con i palestinesi e la richiesta di sanzioni all'Iran.
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israele - il commento
Commedie di numeri inventati e piazze manovrate dai partiti
Oggi
spero molto che la stampa ebraica in Italia non vorrà cascare nella
trappola di un meccanismo, sostantivamente secondario ma molto
importante nella politica mediatica: quello dei finti numeri. La grande
dimostrazione del pubblico haredi non può essere “la dimostrazione del
milione”, semplicemente perché non esiste in Israele un milione di
haredim, nemmeno includendo donne, vecchi e neonati, così come mai ci
furono in passato i 400.000 dimostranti per l’uscita di Israele dal
Libano, o gli 800.000 al funerale di Rav Ovadia Yosef. Queste cifre
inventate ma di grande effetto pubblicitario vogliono solamente farci
sapere da parte degli organizzatori delle grandi dimostrazioni che
“tutto il pubblico è con noi”, “il nostro messaggio è largamente
condiviso”, dunque “il nostro messaggio è giusto”, e pertanto “bisogna
assolutamente tenerne conto”. I temi sollevati in queste diverse
dimostrazioni di massa sono indubbiamente di grande rilievo pubblico e
certamente non possono essere ignorati, in primo luogo dal governo di
fronte al quale primariamente queste dimostrazioni vengono inscenate.
Ma va anche ben compresa l’unilateralità del messaggio, e vanno
attentamente valutate le conseguenze civili di manifestazioni il cui
obiettivo principale è quello di sormontare i procedimenti
democraticamente stabiliti attraverso il parlamento, l’esecutivo, e il
giudiziario.
Nella fattispecie della proposta (tuttora allo studio, non ancora
trasformata in legge operante) di allargare il servizio militare a una
parte (solamente) dei giovani haredim, il parlamento vuole stabilire un
principio di condivisione della responsabilità da parte dei cittadini
nei confronti dell’esistenza dello stato d’Israele, principio che
finora non è stato applicato. Non è stato applicato ai haredim, come
fino ad oggi non lo è stato nei confronti dei giovani cittadini
israeliani di etnia araba. Quello che è in gioco, primariamente
attraverso il servizio obbligatorio, è il principio di solidarietà e di
cittadinanza condivisa, qualunque siano le ragioni, anche ben
comprensibili e in parte difendibili, di chi richiede particolari
privilegi ed esenzioni. Il principio della sanzione a carico di chi è
renitente alla leva è già oggi applicato a tutti i cittadini, e
pertanto può essere applicato anche ai haredim. Il sistema scolastico
del settore haredi in Israele è largamente finanziato dallo stato. Lo
stato ha quindi pieno diritto di chiedere che i haredim che in quanto
cittadini giustamente beneficiano di sostegno alla loro istruzione,
condividano con tutti gli altri cittadini l’onere del mantenimento
della società collettiva. Questo onere si manifesta in due aspetti fino
ad oggi in gran parte elusi.
Il primo aspetto è quello di un’autosufficienza economica che si
acquisisce primariamente attraverso un’istruzione che dia accesso al
mondo del lavoro e del reddito. Oggi in realtà la partecipazione di
haredim alla forza di lavoro (seppure in aumento) è ancora molto
inferiore alla media nazionale, con un conseguente basso livello di
redditi e la necessità di maggiori sussidi da parte della previdenza
sociale statale finalizzata a ridurre la povertà. Il concetto di
povertà, beninteso, è un concetto relativo. Non c’è fame, il minimo
necessario arriva a tutti attraverso una rete capillare di
organizzazioni pubbliche e private di aiuto mutuo, di gruppi di
acquisto a prezzo fortemente scontato, di alloggio ampiamente sotto
costo. Certo la ricchezza è limitata a pochi, e ci sono pochi sprechi
perché c’è ben poco da sprecare. La crescita demografica del settore,
se da un lato può essere fonte di soddisfazione interna, crea un
crescente problema perché in prospettiva porta allo squilibrio e al
collasso del sistema previdenziale, laddove non vi sia una maggiore
autonomia economica da parte del settore stesso.
Il secondo aspetto è quello del servizio obbligatorio a beneficio del
collettivo. I haredim in gran parte hanno rifiutato fino ad oggi non
solamente il servizio militare ma anche il servizio civile che potrebbe
bene espletarsi all’interno delle loro stesse comunità. Ne emerge una
implicita se non esplicita dichiarazione di non appartenenza al
collettivo israeliano, e poiché Israele si propone come lo stato del
popolo ebraico, in definitiva ne emerge una non solidarietà con il
resto del popolo ebraico. È una non solidarietà che viene giustificata
con il proprio impegno superiore nel campo degli studi ebraici, ma che
comunque va contro lo spirito del valore ebraico fondamentale di Klal
Israel, la comunione dei destini di tutti gli ebrei, buoni e cattivi
che siano. In cima a tutto questo sta la cinica e demagogica
dichiarazione di coloro che hanno detto che se le loro esigenze non
saranno accettate, emigreranno da Israele. Emigrino pure, e ci scrivano
poi dalle loro nuove residenze se il governo dei loro nuovi paesi di
adozione è altrettanto attento alle loro esigenze come lo è fino ad
oggi il governo di Israele, se paga integralmente per la loro
istruzione, e se li esenta dal servizio militare.
Nella commedia dei numeri inventati gioca un ruolo primario la
demagogia dei quadri di partito e di una certa parte del rabbinato. È
ben chiaro a tutti che il pubblico haredi alla base è molto più
disponibile a partecipare e a fare sacrifici nell’interesse dell’intera
popolazione di Israele, di quanto non lo siano i leaders di partito
(oltre a tutto oggi all’opposizione). È facile scherzare cinicamente e
dire a Netanyahu: assegna un paio di ministeri, coi relativi fondi e
posti di direttore generale e capodivisione, ai partiti haredim, e la
grande dimostrazione si fermerà alle soglie di Gerusalemme. Se il
complesso e sia pur precario consenso che caratterizza la convivenza
fra i vari gruppi costitutivi della società israeliana è come un
prezioso vaso, è facile scagliarlo a terra e romperlo in mille pezzi. È
molto più difficile dopo ricomporre i cocci. E comunque sia, ancora una
giornata di lavoro perduta a causa della paralisi della città. Tanto
poi qualcuno paga.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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cinema
Alain Resnais (1922-2014)
“Nacht
und Nebel, niemand gleich”. Notte e nebbia, (non c'è) più nessuno.
Dalle parole dell'opera L'oro del Reno di Richard Wagner, Adolf Hitler
trasse ispirazione per definire il suo ordine di morte contro la
resistenza antinazista. Il 7 dicembre 1941 emanò una direttiva che
ordinava di eliminare tutti coloro che mettevano in pericolo la
sicurezza della Germania. Quattordici anni dopo il regista Alain
Resnais scelse quel titolo, in francese Nuit et brouillard, per
raccontare la desolazione dei campi di concentramento di Auschwitz e
Majdanek. Per descrivere il profondo buio caduto sull'umanità solo
pochi anni prima e su cui si stava posando una coltre di silenzio. Al
suo fianco Jean Cayrol, sopravvissuto a Mathausen, che scrisse del
lungometraggio la narrazione. Trentadue minuti che ripercorrono
dolorosamente l'avvento del nazismo, l'avvio della macchina che
condusse alla Shoah per arrivare alla liberazione dei lager nel 1945.
Resnais, scomparso ieri a Parigi all'età di 91 anni, è ricordato dagli
amanti del cinema per il suo celebre Hiroshima mon amour, meno per
un'opera altrettanto preziosa per la storia del cinema e non solo.
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qui firenze
Adriana Bartali (1919-2014)
“Il
neo professionista Gino Bartali con le donne era un po' impacciato ma
non quando vide una ragazza, carina, educata, molto schiva, spesso
accompagnata al lavoro dal fratello. Pensò che quanto prima si sarebbe
dichiarato, ma non sapeva come. Aspettava, come in corsa, il momento
giusto per sferrare l'attacco intuendo che lo sport ha delle regole e
il cuore altre”. È il passaggio in cui Andrea Bartali racconta, in Gino
Bartali, mio papà (ed. Lìmina), l'innamoramento dei suoi genitori. Gino
e Adriana, Adriana e Gino: un legame indissolubile, un legame d'altri
tempi. Ieri, all'età di 94 anni, Adriana ha nuovamente raggiunto Gino.
Era la prima custode delle memorie del marito anche se del suo impegno
come staffetta clandestina e come nasconditore di ebrei nei mesi della
persecuzione venne a sapere soltanto a guerra finita. Tenerla
all'oscuro fu una scelta ponderata di Ginettaccio, che temeva per il
suo carattere apprensivo.
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Negazionismo e revisionismo |
C’è
un fraintendimento linguistico e lessicale che induce ancora molti a
sovrapporre, e quindi a identificare nello stesso corpo, ciò che è
definito – a torto o a ragione – revisionismo e quanto invece
appartiene alla sfera del negazionismo. Come se le due cose
coincidessero o fossero comunque speculari. Facendo così una grossa
concessione, più che azzardata, ai mentitori di professione che
rifiutano, per ovvio calcolo d’interesse, la qualifica, ai loro occhi
offensiva, di negatori, cercando invece, in tutti i modi, di
qualificarsi come legittimi «revisionisti» della storia, in ciò
coraggiosamente contrapposti alla storiografia nella sua totalità,
definita oltraggiosamente «sterminazionista» perché fondata sul
paradigma fattuale, che per l’appunto i negazionisti rifiutano, dello
sterminio con il ricorso alle camere a gas.
Claudio Vercelli
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Nugae
- Saggezza e cioccolata
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Un’amica
saggia sentenzia, durante una sessione di riflessioni sull’immortalità
dell’anima e affini accompagnate da una cioccolata calda con la
cannella: “le cose belle si realizzano solo quando non c’è troppa
aspettativa”. Di fronte a questo laconico commento sull’alternarsi di
successi e insuccessi, buone e cattive notizie, probabilmente in realtà
dovuta all’incapacità di assumere qualcosa di liquido e appiccicoso
senza combinare danni, una smorfia di assenso e cacao amari si disegna
sulla bocca (e sulla guancia e sulle dita).
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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Identità: Solomon Freehof
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Nel
1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion
si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità
ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che
avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di
Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del
professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa
significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e
www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella
discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul
nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le
loro risposte. Oggi la risposta di Solomon Freehof (1892-1990), già
presidente del Comitato direttivo dell’ebraismo riformato degli Stati
Uniti.
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