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 2 marzo 2014 - 30 Adar I 5774
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Rav Lord Jonathan Sacks
La mia prima passione è sempre stata quella di insegnare e in effetti il significato della parola rabbi è “mio insegnante”.
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Ieri abbiamo chiuso la lettura del secondo libro, Shemot/Nomi/Esodo. Le vie verso la libertà dalla schiavitù sono sempre lastricate dall’emozione, ma anche dallo sguardo indietro, dalla nostalgia, dal senso di solitudine, dallo smarrimento. Molto spesso dall’impazienza. Il timore mi sembra lo stato d’animo in grado di descrivere il lungo percorso inconcluso che si delinea in quei quaranta capitoli. Una condizione che tutti i protagonisti provano più volte. Perché? L’unica risposta che mi so dare è questa: intraprendere un percorso autentico verso la libertà, senza cadere nell’adorazione di sé, include non essere mai certi, non sapere, e soprattutto non avere la certezza del giusto. Solo chi crede di avere dalla propria parte il futuro, Dio, o il destino non ha timore. Tutti gli altri sanno solo il proprio oggi, talvolta si dimenticano quanto terribile fosse il proprio ieri (tanto da rimpiangerlo), non hanno garanzia del proprio domani. Perché dovrebbero essere sicuri?
 
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Un ciclo di incontri
sull'etica medica
IUn ciclo di incontri sull’etica medica patrocinato dal Dipartimento Educazione e Cultura UCEI, avrà luogo nei locali del Tempio dei Giovani sull’Isola Tiberina con cadenza settimanale. Appuntamento ogni lunedì alle 20. Tra i rabbinim coinvolti Roberto Colombo, Roberto Della Rocca, Riccardo Di Segni, Cesare Efrati, Gianfranco Di Segni, Benedetto Carucci, Ariel Di Porto, Amedeo Spagnoletto, Gavriel Levi, Umberto Piperno.
 
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Israele, Bennet boccia il piano
di pace del segretario Usa
Un Naftali Bennet a tutto tondo quello che appare oggi sulle colonne de La Stampa. Il ministro dell’Economia israeliano si racconta in un’intervista rilasciata al giornalista Maurizio Molinari. E, come già in passato, boccia la soluzione dei “due popoli, due Stati” su cui si fonda il progetto di pace del segretario Usa John Kerry. Bennet parla di “illusione” e sostiene che in caso di ritiro israeliano dalla West Bank si lascerebbe mano libera agli iraniani, prima preoccupazione del governo di Gerusalemme. Quale soluzione dunque al conflitto? Secondo Bennet: estensione del controllo su Giudea e Samaria, garanzia di cittadinanza ai palestinesi che vivono in questi territori e “all’Autorità resterebbero i maggiori centri abitati dove si concentra la quasi totalità dei palestinesi”. Come sottolinea Molinari, la popolarità di Bennet è in ascesa e il suo HaBayt HaYehudi sembra riuscire a raccogliere le istanze di molti israeliani. Nell’intervista, voluta per farsi conoscere anche all’estero, alcuni punti chiave della visione di Bennet sul futuro di Israele.
Mentre il suo ministro dell’Economia non da chance al progetto Kerry, il premier israeliano Benjamin Netanyahu vola a Washington per discutere con Obama e con il suo segretario di Stato proprio sui punti previsti dal piano di pace (Osservatore Romano – il quotidiano vaticano riporta l’aumento della tensione sul confine tra Israele e Gaza). Il premier è apparso più possibilista rispetto a Bennet, anche se la situazione difficilmente si sbloccherà grazie a questo incontro. Netanyahu intanto proverà a convincere la Casa Bianca della necessità di una maggiore durezza nei confronti dell’Iran, con il ripristino delle sanzioni economiche. Al suo fianco, ci sarà l’Aipac, organizzazione pro Israele che si riunisce in questi giorni a Washington per il congresso annuale (a cui parteciperanno lo stesso Netanyahu e il segretario Kerry).
Lutto nel mondo dello Sport, e non solo, per la scomparsa a 95 anni di Adriana Bartali, moglie del celebre campione Gino, nominato Giusto tra le Nazioni per aver collaborato al salvataggio di diverse famiglie ebraiche durante la furia nazifascista (Gazzetta dello Sport).
“65.000 dollari per il Mein Kampf con dedica di Hitler”, questa la cifra raggiunta, come ricorda La Stampa, dal “discutibile cimelio” battuto in America durante un’asta on-line. Due i volumi venduti, entrambi prime edizioni, firmate di suo pugno dall’autore.
Sì ai veli per le donne e ai turbanti per gli uomini. Questa una delle decisioni emerse dal 128esimo International Board della Fifa. Sui campi da calcio, dunque, sarà possibile scendere in campo con il velo o con il turbante (richiesta quest’ultima arrivata da una comunità sikh canadese). La notizia è riportata dalla Gazzetta dello Sport che ricorda, sempre in tema calcistico, la campagna contro l’omofobia portata avanti dalla Fondazione Cannavò. Dopo l’adesione tra i testimonial del giocatore del Cagliari Daniele Dessena, ieri anche il romanista Radja Nainggolan ha indossato i lacci colorati, simbolo della campagna.
 
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  davar
domani vertice netanyahu - obama
Bibi e i problemi di Washington

Gerusalemme si appresta ad accogliere migliaia di ultraortodossi da tutta Israele, arrivati nella Capitale per protestare contro la norma che allargherebbe l'obbligo di leva agli studenti delle yeshivot. La manifestazione, indetta dai consigli rabbinici di Degel HaTorah, Agudat Yisrael e Shas, i tre principali movimenti haredim israeliani, inizierà questo pomeriggio, bloccando di fatto la città. Muro contro muro, la scelta dei vertici del mondo haredi che non sembrano disponibili al dialogo con il governo di Benjamin Netanyahu. Preoccupazione in più, dunque, per il primo ministro israeliano, partito per Washington con un bagaglio di questioni già molto pesante. Netanyahu domani incontrerà il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e sul tavolo ci saranno temi fondamentali per Israele: il piano per il proseguo dei negoziati di pace con i palestinesi e la richiesta di sanzioni all'Iran.
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israele - il commento
Commedie di numeri inventati
e piazze manovrate dai partiti

Oggi spero molto che la stampa ebraica in Italia non vorrà cascare nella trappola di un meccanismo, sostantivamente secondario ma molto importante nella politica mediatica: quello dei finti numeri. La grande dimostrazione del pubblico haredi non può essere “la dimostrazione del milione”, semplicemente perché non esiste in Israele un milione di haredim, nemmeno includendo donne, vecchi e neonati, così come mai ci furono in passato i 400.000 dimostranti per l’uscita di Israele dal Libano, o gli 800.000 al funerale di Rav Ovadia Yosef. Queste cifre inventate ma di grande effetto pubblicitario vogliono solamente farci sapere da parte degli organizzatori delle grandi dimostrazioni che “tutto il pubblico è con noi”, “il nostro messaggio è largamente condiviso”, dunque “il nostro messaggio è giusto”, e pertanto “bisogna assolutamente tenerne conto”. I temi sollevati in queste diverse dimostrazioni di massa sono indubbiamente di grande rilievo pubblico e certamente non possono essere ignorati, in primo luogo dal governo di fronte al quale primariamente queste dimostrazioni vengono inscenate. Ma va anche ben compresa l’unilateralità del messaggio, e vanno attentamente valutate le conseguenze civili di manifestazioni il cui obiettivo principale è quello di sormontare i procedimenti democraticamente stabiliti attraverso il parlamento, l’esecutivo, e il giudiziario.
Nella fattispecie della proposta (tuttora allo studio, non ancora trasformata in legge operante) di allargare il servizio militare a una parte (solamente) dei giovani haredim, il parlamento vuole stabilire un principio di condivisione della responsabilità da parte dei cittadini nei confronti dell’esistenza dello stato d’Israele, principio che finora non è stato applicato. Non è stato applicato ai haredim, come fino ad oggi non lo è stato nei confronti dei giovani cittadini israeliani di etnia araba. Quello che è in gioco, primariamente attraverso il servizio obbligatorio, è il principio di solidarietà e di cittadinanza condivisa, qualunque siano le ragioni, anche ben comprensibili e in parte difendibili, di chi richiede particolari privilegi ed esenzioni. Il principio della sanzione a carico di chi è renitente alla leva è già oggi applicato a tutti i cittadini, e pertanto può essere applicato anche ai haredim. Il sistema scolastico del settore haredi in Israele è largamente finanziato dallo stato. Lo stato ha quindi pieno diritto di chiedere che i haredim che in quanto cittadini giustamente beneficiano di sostegno alla loro istruzione, condividano con tutti gli altri cittadini l’onere del mantenimento della società collettiva. Questo onere si manifesta in due aspetti fino ad oggi in gran parte elusi.
Il primo aspetto è quello di un’autosufficienza economica che si acquisisce primariamente attraverso un’istruzione che dia accesso al mondo del lavoro e del reddito. Oggi in realtà la partecipazione di haredim alla forza di lavoro (seppure in aumento) è ancora molto inferiore alla media nazionale, con un conseguente basso livello di redditi e la necessità di maggiori sussidi da parte della previdenza sociale statale finalizzata a ridurre la povertà. Il concetto di povertà, beninteso, è un concetto relativo. Non c’è fame, il minimo necessario arriva a tutti attraverso una rete capillare di organizzazioni pubbliche e private di aiuto mutuo, di gruppi di acquisto a prezzo fortemente scontato, di alloggio ampiamente sotto costo. Certo la ricchezza è limitata a pochi, e ci sono pochi sprechi perché c’è ben poco da sprecare. La crescita demografica del settore, se da un lato può essere fonte di soddisfazione interna, crea un crescente problema perché in prospettiva porta allo squilibrio e al collasso del sistema previdenziale, laddove non vi sia una maggiore autonomia economica da parte del settore stesso.
Il secondo aspetto è quello del servizio obbligatorio a beneficio del collettivo. I haredim in gran parte hanno rifiutato fino ad oggi non solamente il servizio militare ma anche il servizio civile che potrebbe bene espletarsi all’interno delle loro stesse comunità. Ne emerge una implicita se non esplicita dichiarazione di non appartenenza al collettivo israeliano, e poiché Israele si propone come lo stato del popolo ebraico, in definitiva ne emerge una non solidarietà con il resto del popolo ebraico. È una non solidarietà che viene giustificata con il proprio impegno superiore nel campo degli studi ebraici, ma che comunque va contro lo spirito del valore ebraico fondamentale di Klal Israel, la comunione dei destini di tutti gli ebrei, buoni e cattivi che siano. In cima a tutto questo sta la cinica e demagogica dichiarazione di coloro che hanno detto che se le loro esigenze non saranno accettate, emigreranno da Israele. Emigrino pure, e ci scrivano poi dalle loro nuove residenze se il governo dei loro nuovi paesi di adozione è altrettanto attento alle loro esigenze come lo è fino ad oggi il governo di Israele, se paga integralmente per la loro istruzione, e se li esenta dal servizio militare.
Nella commedia dei numeri inventati gioca un ruolo primario la demagogia dei quadri di partito e di una certa parte del rabbinato. È ben chiaro a tutti che il pubblico haredi alla base è molto più disponibile a partecipare e a fare sacrifici nell’interesse dell’intera popolazione di Israele, di quanto non lo siano i leaders di partito (oltre a tutto oggi all’opposizione). È facile scherzare cinicamente e dire a Netanyahu: assegna un paio di ministeri, coi relativi fondi e posti di direttore generale e capodivisione, ai partiti haredim, e la grande dimostrazione si fermerà alle soglie di Gerusalemme. Se il complesso e sia pur precario consenso che caratterizza la convivenza fra i vari gruppi costitutivi della società israeliana è come un prezioso vaso, è facile scagliarlo a terra e romperlo in mille pezzi. È molto più difficile dopo ricomporre i cocci. E comunque sia, ancora una giornata di lavoro perduta a causa della paralisi della città. Tanto poi qualcuno paga.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

dafdaf
Le gocce di musica israeliana 
Il numero 42 di DafDaf, il giornale ebraico dei bambini, anche a marzo propone due pagine dedicate alla musica. Questa volta però Maria Teresa Milano, che delle pagine è autrice, propone a tutti i giovani lettori di provare a cantare insieme. Basta seguire le istruzioni: c'è ancora qualche giorno per imparare parole e musica di "Gheshem Gheshem" e l'appuntamento per tutti è giovedì pomeriggio alle sei, a cantare davanti alla finestra.
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cinema
Alain Resnais (1922-2014)
“Nacht und Nebel, niemand gleich”. Notte e nebbia, (non c'è) più nessuno. Dalle parole dell'opera L'oro del Reno di Richard Wagner, Adolf Hitler trasse ispirazione per definire il suo ordine di morte contro la resistenza antinazista. Il 7 dicembre 1941 emanò una direttiva che ordinava di eliminare tutti coloro che mettevano in pericolo la sicurezza della Germania. Quattordici anni dopo il regista Alain Resnais scelse quel titolo, in francese Nuit et brouillard, per raccontare la desolazione dei campi di concentramento di Auschwitz e Majdanek. Per descrivere il profondo buio caduto sull'umanità solo pochi anni prima e su cui si stava posando una coltre di silenzio. Al suo fianco Jean Cayrol, sopravvissuto a Mathausen, che scrisse del lungometraggio la narrazione. Trentadue minuti che ripercorrono dolorosamente l'avvento del nazismo, l'avvio della macchina che condusse alla Shoah per arrivare alla liberazione dei lager nel 1945. Resnais, scomparso ieri a Parigi all'età di 91 anni, è ricordato dagli amanti del cinema per il suo celebre Hiroshima mon amour, meno per un'opera altrettanto preziosa per la storia del cinema e non solo.
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qui firenze
Adriana Bartali (1919-2014)
“Il neo professionista Gino Bartali con le donne era un po' impacciato ma non quando vide una ragazza, carina, educata, molto schiva, spesso accompagnata al lavoro dal fratello. Pensò che quanto prima si sarebbe dichiarato, ma non sapeva come. Aspettava, come in corsa, il momento giusto per sferrare l'attacco intuendo che lo sport ha delle regole e il cuore altre”. È il passaggio in cui Andrea Bartali racconta, in Gino Bartali, mio papà (ed. Lìmina), l'innamoramento dei suoi genitori. Gino e Adriana, Adriana e Gino: un legame indissolubile, un legame d'altri tempi. Ieri, all'età di 94 anni, Adriana ha nuovamente raggiunto Gino. Era la prima custode delle memorie del marito anche se del suo impegno come staffetta clandestina e come nasconditore di ebrei nei mesi della persecuzione venne a sapere soltanto a guerra finita. Tenerla all'oscuro fu una scelta ponderata di Ginettaccio, che temeva per il suo carattere apprensivo.
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pilpul
Negazionismo e revisionismo
C’è un fraintendimento linguistico e lessicale che induce ancora molti a sovrapporre, e quindi a identificare nello stesso corpo, ciò che è definito – a torto o a ragione – revisionismo e quanto invece appartiene alla sfera del negazionismo. Come se le due cose coincidessero o fossero comunque speculari. Facendo così una grossa concessione, più che azzardata, ai mentitori di professione che rifiutano, per ovvio calcolo d’interesse, la qualifica, ai loro occhi offensiva, di negatori, cercando invece, in tutti i modi, di qualificarsi come legittimi «revisionisti» della storia, in ciò coraggiosamente contrapposti alla storiografia nella sua totalità, definita oltraggiosamente «sterminazionista» perché fondata sul paradigma fattuale, che per l’appunto i negazionisti rifiutano, dello sterminio con il ricorso alle camere a gas.

Claudio Vercelli
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Nugae - Saggezza e cioccolata
Un’amica saggia sentenzia, durante una sessione di riflessioni sull’immortalità dell’anima e affini accompagnate da una cioccolata calda con la cannella: “le cose belle si realizzano solo quando non c’è troppa aspettativa”. Di fronte a questo laconico commento sull’alternarsi di successi e insuccessi, buone e cattive notizie, probabilmente in realtà dovuta all’incapacità di assumere qualcosa di liquido e appiccicoso senza combinare danni, una smorfia di assenso e cacao amari si disegna sulla bocca (e sulla guancia e sulle dita).

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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Identità: Solomon Freehof
Nel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte. Oggi la risposta di Solomon Freehof (1892-1990), già presidente del Comitato direttivo dell’ebraismo riformato degli Stati Uniti.

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