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28 marzo 2014 - 26 Adar II 5774
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Quanto siamo distanti oggi dalle categorie di pariah e parvenu che tanto hanno caratterizzato le società ebraiche negli ultimi quattrocento anni? Quanto ancora siamo pariah, in quanto ebrei, per le società altrui e quanto siamo smaniosi di diventare parvenu cercando le amicizie dei potenti?
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Giochiamo a Risiko. Ma non è un bel gioco se la carta geografica è quella reale. Siamo a cent’anni dallo scoppio della Grande Guerra e la riflessione storiografica si incentra da sempre (lo abbiamo studiato da ragazzi) sulle “cause della prima guerra mondiale”. Ce ne furono molte, ma nessuna definitivamente accreditata come “la” causa. E alla fine dei conti diamo tutti la responsabilità alla dissennatezza del giovane Gavrilo Princip che decise di assassinare l’arciduca Francesco Ferdinando. Con il risorgere dei nazionalismi, con l’aumento della tensione fra alleanze militari, con il riemergere di cosiddette “potenze regionali”, una scintilla può bastare, a meno che tutti, ma proprio tutti, non comincino a moderare i toni e a proporre soluzioni geopolitiche praticabili. Perché se no il gioco rischia di avverarsi, e le conseguenze potrebbero andare al di là della possibilità di controllo. Una simulazione, giusto per capire i pericoli? Ma sì, proviamo. Prendiamo una manifestazione filorussa a Donetsk, confine orientale dell’Ucraina. Alla manifestazione vengono invitati dei parlamentari della Duma russa che incitano la folla. La polizia reprime, scoppiano scontri e un parlamentare rimane gravemente ferito. L’incendio divampa, la Russia ammassa truppe al confine e pretende le scuse e un referendum delle province orientali. L’Ucraina si irrigidisce e la Russia, con il pretesto di soccorrere le popolazioni russofone, inizia l’occupazione della provincia e in sovrappiù paracaduta un contingente in Transnistria accogliendo la richiesta di annessione avanzata due settimane fa in corrispondenza del referendum di Crimea. La Romania chiede la convocazione del consiglio della Nato e delle Nazioni Unite per difendere i diritti della Moldova, che si vede definitivamente espropriata di un territorio suo in base al diritto internazionale. Scoppiano nel frattempo incidenti militari al confine fra Moldova e Transnistria che inducono la Nato a rafforzare fino al livello di massima allerta le forze nella regione. Una portaerei americana varca lo stretto di Dardanelli e entra nel Mar Nero. In Medioriente – nel frattempo - la tensione sale alle stelle. Mentre il nuovo presidente di Israele Natan Sharansky si presenta in TV e rivolge un discorso in russo ai fratelli ebrei dell’Europa orientale (Russi, Ucraini ecc., ma tutti fondamentalmente ebrei), il governo di Israele è sostanzialmente paralizzato, non potendo permettersi di prendere posizione senza mettere seriamente a rischio la condizione degli ebrei della regione e gli interessi geostrategici del paese. Ci pensa però Hezbollah a infiammare le polveri: con un improvviso lancio di missili a lunga gittata che partono dal sud del Libano, nuovamente tutto il nord di Israele piomba nell’incubo della guerra. La risposta è immediata e durissima: basi di Hezbollah sono attaccate nel Libano ma anche in Siria, e parte anche l’attacco preventivo sulle centrali atomiche iraniane che vengono seriamente danneggiate. L’incendio divampa nell’intera regione: la Turchia interviene bombardando a sua volta la Siria e a questo punto la NATO è ufficialmente coinvolta… La mia immaginazione si ferma qui (per motivi di spazio). Naturalmente è un gioco, cupo e macabro, che nessuno si auspica. Ma le condizioni ci sono tutte: grave crisi economica, risveglio di mai sopite pretese nazionalistiche, esasperazione popolare, grandi quantità di armi sostanzialmente inutilizzate, gravi incertezze politiche nella gestione dei consessi internazionali, poca chiarezza nel diritto internazionale, indebolimento deciso dell’autorevolezza dell’unica superpotenza rimasta al mondo, gli USA. A proposito, forse non tutti sanno che Gavrilo Princip morì nel 1918 di tubercolosi nella fortezza di Terezin: gran brutto presagio.
 
ROMA – Torna l'appuntamento con “Pedalando per la Memoria” in ricordo di Settimia Spizzichino, unica donna sopravvissuta tra quanti furono catturati in occasione della razzia del 16 ottobre 1943. Il via domenica alle 9 da quattro diverse postazioni. L'arrivo attorno alle 12.45 al Portico d'Ottavia.

ROMA - Alle 18, al Jewish Community Center di via Balbo, concerto dell'Orchestra Popolare Romana dal titolo “Il violinista sul Tevere”. L'iniziativa, a ingresso libero, ha il supporto del Centro di Cultura Ebraica.

TRIESTE – Al via il Festival Viktor Ullman (30 marzo-14 dicembre) organizzato dal musicista Davide Casali con il supporto della Comunità ebraica triestina. Obiettivo: far luce sul significativo patrimonio artistico della musica concentrazionaria e “degenerata”. Domenica alle 18 al Museo Revoltella il pianista Pierpaolo Levi inaugurerà la rassegna eseguendo alcune sonate di Ullman.
 
Un ciclo di incontri sull'etica medica
Un ciclo di incontri sull’etica medica patrocinato dal Dipartimento Educazione e Cultura UCEI, avrà luogo nei locali del Tempio dei Giovani sull’Isola Tiberina con cadenza settimanale. Appuntamento ogni lunedì alle 20. Tra i rabbinim coinvolti Roberto Colombo, Roberto Della Rocca, Riccardo Di Segni, Cesare Efrati, Gianfranco Di Segni, Benedetto Carucci, Ariel Di Porto, Amedeo Spagnoletto, Gavriel Levi, Umberto Piperno.
 
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Bergoglio parla ai politici,
riaffiorano pregiudizi
Medio Oriente al centro della tappa romana di Barack Obama. I nodi ancora irrisolti, le speranze per un futuro di pace nella regione sono stati affrontati in particolare nell’incontro avuto in mattinata con papa Bergoglio. “Il Papa e Obama parlano soprattutto di Medio Oriente. La giornata di ‘digiuno e preghiera’ che Francesco proclamò a settembre per ‘scongiurare l’aggravarsi della violenza’ – scrive Gian Guido Vecchi sul Corriere della sera – ebbe un peso decisivo nel fermare l’intervento meditato dagli Usa e del resto la linea negoziale della Santa Sede vale per tutte le situazioni di crisi, dal centro Africa all’Ucraina, e sostiene anche il piano del segretario di Stato americano John Kerry per arrivare alla pace tra israeliani e palestinesi”.
 
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  davar
DEMENZA DIGITALE – LA DENUNCIA
Rav Sacks: i veleni dei cyberbulli
distruggono le nostre comunità

Durissimo intervento del rav Lord Jonathan Sacks contro la diffusione della maldicenza e del bullismo elettronico attraverso Internet e i social network.
Basandosi sul commento alla Parasha Tazria, la porzione biblica dove si illustrano fra l’altro i disastri provocati dalla diffusione di falsità e di malevolenze, il rabbino britannico che ha appena concluso il suo mandato di rabbino capo del Commonwealth ed è considerato fra i maggiori leader spirituali del nostri tempi mette in guardia con estrema severità le comunità ebraiche e invita tutti a prendere le distanze da chi utilizza senza scrupoli la comunicazione elettronica per seminare invidia, arroganza, egoismo e pregiudizio. Il linguaggio malevolo, ricorda il Rav, è da sempre il veleno che rischia di distruggere le nostre comunità e i mezzi di comunicazione elettronica lo rendono quanto mai insidioso. “Il bullismo elettronico – spiega il Rav - è la più aggiornata forma di Lashon Hara. In generale Internet è il più efficace diffusore di linguaggio dell’odio mai escogitato. Non solo rende così facile la comunicazione mirata, ma consente di evitare anche gli incontri a viso aperto, che talvolta inducono moderazione e suscitano sentimenti di vergogna, sensibilità e autocontrollo nei confronti delle proprie azioni”.
“Il linguaggio – si afferma fra l’altro nella lunga lezione dedicata all’argomento - è vita. Le parole creano, ma anche distruggono. Se le parole buone sono sacre, quelle cattive sono una dissacrazione. Un segno di quanto seriamente l’ebraismo prenda la questione, è la preghiera che diciamo al termine di ogni Amidah almeno tre volte al giorno: ‘Mio D-o, proteggi la mia lingua dal male, e le mie labbra da parole di inganno. Nei confronti di coloro che mi maledicono fai sì che la mia anima rimanga in silenzio, possa la mia anima essere nei loro confronti come polvere’. Avendo pregato D-o all’inizio di ‘aprire le mie labbra così che la mia bocca possa dichiarare le Tue lodi’, Lo preghiamo alla fine di aiutarci a chiudere le labbra per non parlare male degli altri, né reagire quando gli altri parlano male di noi”.
“Nonostante tutto, però, nonostante la proibizione del pettegolezzo contenuta nella Torah, nonostante le storie di Giuseppe, Mosè, Miriam, e le spie, nonostante la severità senza pari dei Saggi nei confronti del parlar male, il lashon hara rimane un problema lungo tutto il corso della storia ebraica e lo è anche oggi. Ogni leader è soggetto a esso. I Saggi dissero che quando Mosè lasciava la sua tenda presto al mattino, il popolo mormorava che aveva avuto un litigio con sua moglie. Se la lasciava tardi, che stava complottando contro di loro (cfr. Rashi su Deuteronomio 1:12)”.
“Tutti coloro – aggiunge il Rav - dal manager, al genitore, all’amico, che cercano di essere dei leader, devono affrontare la questione del lashon hara. Prima di tutto ciascuno dovrà accettarlo come il prezzo da pagare per ogni tipo di successo. Alcune persone sono invidiose. Fanno pettegolezzo. Si costruiscono denigrando altre persone. Chi si trova in una posizione di leadership, dovrà probabilmente convivere con il fatto che dietro le spalle, e talvolta anche in faccia, la gente sarà critica, maliziosa, sprezzante, diffamatoria, e talvolta completamente disonesta. Questo può essere difficile da accettare. Avendo conosciuto molti leader, in molti campi, posso testimoniare che non tutti i personaggi pubblici hanno la pelle dura. Molti sono sensibili e sono emotivamente logorati dalle critiche ripetute e ingiuste.
Se mai doveste trovarvi in questa situazione, il miglior consiglio è lo stesso impartito dal Maimonide: ‘Se una persona è scrupolosa nel suo modo di comportarsi, gentile nella conversazione, positiva verso il prossimo, affabile nell’accoglierlo, non risponde neppure se offesa, ma è pronta a mostrare cortesia verso tutti, anche verso coloro che la trattano con disprezzo… questa persona avrà glorificato il nome di D-o e su di lei le Scritture sottolineano ‘ Sei il mio servo Israele, in cui io sarò glorificato’ (Isaia 49:3) (Maimonide, Hilkhot Yesodei ha-Torah 5: 11). Questo si applica nel caso in cui il lashon harah sia rivolto nei nostri confronti come singoli”.
“Collettivamente come gruppo, tuttavia, si deve praticare la tolleranza zero verso il lashon hara. Permettere di parlare male uno dell’altro conduce nel lungo termine alla distruzione dell’integrità del gruppo. Il parlar male sprigiona energie negative. All’interno del gruppo sparge i semi della sfiducia e dell’invidia. Diretto fuori dal gruppo, può condurre all’arroganza, all’ipocrisia e autoconvincimento della propria superiorità, al razzismo e al pregiudizio, tutti sentimenti che sono fatali alla credibilità di qualsiasi squadra. Che tu sia o meno il leader di questo gruppo, devi mettere educatamente in chiaro che non avrai nulla a che fare con questo comportamento e che esso non trova posto nelle tue conversazioni”.


qui torino
Spazio verde per la Memoria
Un luogo di Memoria ma anche di incontro, di vita. Il Giardino dei Giusti di Torino, inaugurato ieri al parco Colonetti, ha una doppia chiave di lettura: con i suoi 36 alberi, il Giardino rende onore a coloro che, nel Piemonte oppresso dal nazifascismo, salvarono a proprio rischio e pericolo la vita dei propri concittadini ebrei. Un luogo che ricorda le storie e le scelte di uomini e donne come Carlo Angela, come Luigi e Maria Grasso o Orsola Rosa Bresso ma che vuole anche essere un punto di ritrovo per la Torino di oggi, per le sue famiglie e i suoi cittadini. Da qui l'intreccio di un progetto che vede diversi protagonisti: Gruppo di Studi Ebraici di Torino, Comunità ebraica della città, la Circoscrizione 10 e Contrada Onlus. Diverse anime di un'unica realtà in cui si intrecciano passato, presente e futuro.
“Questo bosco è un ricordo dedicato a persone coraggiose ed è inserito in un ambiente che ha bisogno di segnali forti per il futuro di questa città”, ha dichiarato Sarah Kaminski, portavoce del Gruppo di Studi Ebraici. Al suo fianco sul palco, Emanuel Segre Amar, vicepresidente della Comunità ebraica di Torino – che si è soffermato sull'importanza del ruolo dei Giusti - l'assessore alle pari opportunità del Comune Ilda Curti e il presidente della Circoscrizione 10 Marco Novello.
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Qui Milano – Dialogo
Giovani, Culture a confronto
Giovani universitari ebrei, cristiani e musulmani. Un’occasione per incontrarsi, conoscersi e confrontarsi, partendo dallo studio. È il progetto del seminario “Di generazione in generazione” organizzato dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Una serie di otto incontri in cui si approfondiranno non soltanto testi legati alla tradizione delle tre religioni monoteiste, ma anche spunti provenienti da culture di altra matrice, come quella classica.
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pilpul
Un Giardino dei Giusti a Torino
Ognuno di noi ha i “suoi” Giusti - quelli che hanno salvato la sua famiglia dalle persecuzioni nazifasciste – e con loro (o con le loro famiglie) ha mantenuto i contatti attraverso i decenni con visite, incontri, pranzi o cene, come in una sorta di rituale laico dedicato alla gratitudine. Non tutti i Giusti, però, hanno avuto la possibilità di creare questi legami: non tutte le persone aiutate e protette hanno potuto salvarsi, non sempre i salvatori conoscevano i nomi dei salvati o i salvati quelli dei salvatori. Il Giardino dei Giusti inaugurato ieri al parco Colonnetti di Torino si compone di 36 alberi (il numero dei Giusti presenti nel mondo secondo il Talmud), in modo da celebrare tutti i Giusti, noti e ignoti, quelli che hanno conservato i legami con i “loro” salvati e quelli che hanno perso i contatti, quelli di cui si può ricostruire l’operato e quelli le cui azioni nessuno potrà mai tramandare.

Anna Segre, insegnante
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L'uomo che cammina
Chissà dove è diretto “L'homme qui Marche” dello scultore Alberto Giacometti. Sguardo assente e smarrito, curvo su stesso, è stanco dal troppo camminare, potrebbe andare avanti o girare in circolo tornando sui passi già percorsi, destinato in ogni caso a non fermarsi. Poche sculture potrebbero descrivere meglio l'umanità contemporanea, almeno da uno sguardo distaccato. Più da vicino, come uomini abbiamo prematuramente anticipato la nostra utopia di “futuro”, con l'illusione di essere i soli in possesso del nostro destino e di poterlo prevedere, ci sembra che niente sia ormai ignoto, che niente possa fermarci, dominati come siamo da manie di grandezza e deliri/volontà di (onni)potenza. In realtà vogliamo fuggire ed evadere da un presente (e un domani) molto più grave e incerto, che ci è sfuggito dalle mani ed è fuori dal nostro controllo.

Francesco Moises Bassano, studente
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Essere o non essere

Essere è partecipare, ancor prima che appartenere. Questo è il problema
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Ilana Bahbout

La Cultura di fronte agli orrori
Eric Kandel è un celeberrimo neuroscienziato e psicoanalista ebreo americano che ha avuto il Nobel per la Medicina nel 2000 per le sue ricerche sulle basi fisiologiche della memoria. Nella sua densa autobiografia scientifica ("Alla ricerca della memoria"), ricorda la sua fuga da Vienna, a nove anni, e torna su alcune inquietanti domande a cui tanto si fatica a rispondere in modo spassionato: "Lo spettacolo di Vienna nelle mani dei nazisti mi pose anche, per la prima volta, di fronte al lato più oscuro e sadico del comportamento umano. Come si può comprendere l'improvvisa, perversa brutalità di così tante persone?

Laura Salmon, slavista
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