
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Quanto siamo distanti oggi dalle categorie
di pariah e parvenu che tanto hanno caratterizzato le società ebraiche
negli ultimi quattrocento anni? Quanto ancora siamo pariah, in quanto
ebrei, per le società altrui e quanto siamo smaniosi di diventare
parvenu cercando le amicizie dei potenti?
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Giochiamo a Risiko. Ma non è un bel gioco se
la carta geografica è quella reale. Siamo a cent’anni dallo scoppio
della Grande Guerra e la riflessione storiografica si incentra da
sempre (lo abbiamo studiato da ragazzi) sulle “cause della prima guerra
mondiale”. Ce ne furono molte, ma nessuna definitivamente accreditata
come “la” causa. E alla fine dei conti diamo tutti la responsabilità
alla dissennatezza del giovane Gavrilo Princip che decise di
assassinare l’arciduca Francesco Ferdinando. Con il risorgere dei
nazionalismi, con l’aumento della tensione fra alleanze militari, con
il riemergere di cosiddette “potenze regionali”, una scintilla può
bastare, a meno che tutti, ma proprio tutti, non comincino a moderare i
toni e a proporre soluzioni geopolitiche praticabili. Perché se no il
gioco rischia di avverarsi, e le conseguenze potrebbero andare al di là
della possibilità di controllo. Una simulazione, giusto per capire i
pericoli? Ma sì, proviamo. Prendiamo una manifestazione filorussa a
Donetsk, confine orientale dell’Ucraina. Alla manifestazione vengono
invitati dei parlamentari della Duma russa che incitano la folla. La
polizia reprime, scoppiano scontri e un parlamentare rimane gravemente
ferito. L’incendio divampa, la Russia ammassa truppe al confine e
pretende le scuse e un referendum delle province orientali. L’Ucraina
si irrigidisce e la Russia, con il pretesto di soccorrere le
popolazioni russofone, inizia l’occupazione della provincia e in
sovrappiù paracaduta un contingente in Transnistria accogliendo la
richiesta di annessione avanzata due settimane fa in corrispondenza del
referendum di Crimea. La Romania chiede la convocazione del consiglio
della Nato e delle Nazioni Unite per difendere i diritti della Moldova,
che si vede definitivamente espropriata di un territorio suo in base al
diritto internazionale. Scoppiano nel frattempo incidenti militari al
confine fra Moldova e Transnistria che inducono la Nato a rafforzare
fino al livello di massima allerta le forze nella regione. Una
portaerei americana varca lo stretto di Dardanelli e entra nel Mar
Nero. In Medioriente – nel frattempo - la tensione sale alle stelle.
Mentre il nuovo presidente di Israele Natan Sharansky si presenta in TV
e rivolge un discorso in russo ai fratelli ebrei dell’Europa orientale
(Russi, Ucraini ecc., ma tutti fondamentalmente ebrei), il governo di
Israele è sostanzialmente paralizzato, non potendo permettersi di
prendere posizione senza mettere seriamente a rischio la condizione
degli ebrei della regione e gli interessi geostrategici del paese. Ci
pensa però Hezbollah a infiammare le polveri: con un improvviso lancio
di missili a lunga gittata che partono dal sud del Libano, nuovamente
tutto il nord di Israele piomba nell’incubo della guerra. La risposta è
immediata e durissima: basi di Hezbollah sono attaccate nel Libano ma
anche in Siria, e parte anche l’attacco preventivo sulle centrali
atomiche iraniane che vengono seriamente danneggiate. L’incendio
divampa nell’intera regione: la Turchia interviene bombardando a sua
volta la Siria e a questo punto la NATO è ufficialmente coinvolta… La
mia immaginazione si ferma qui (per motivi di spazio). Naturalmente è
un gioco, cupo e macabro, che nessuno si auspica. Ma le condizioni ci
sono tutte: grave crisi economica, risveglio di mai sopite pretese
nazionalistiche, esasperazione popolare, grandi quantità di armi
sostanzialmente inutilizzate, gravi incertezze politiche nella gestione
dei consessi internazionali, poca chiarezza nel diritto internazionale,
indebolimento deciso dell’autorevolezza dell’unica superpotenza rimasta
al mondo, gli USA. A proposito, forse non tutti sanno che Gavrilo
Princip morì nel 1918 di tubercolosi nella fortezza di Terezin: gran
brutto presagio.
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ROMA – Torna l'appuntamento con “Pedalando
per la Memoria” in ricordo di Settimia Spizzichino, unica donna
sopravvissuta tra quanti furono catturati in occasione della razzia del
16 ottobre 1943. Il via domenica alle 9 da quattro diverse postazioni.
L'arrivo attorno alle 12.45 al Portico d'Ottavia.
ROMA - Alle 18, al Jewish Community Center di via Balbo, concerto
dell'Orchestra Popolare Romana dal titolo “Il violinista sul Tevere”.
L'iniziativa, a ingresso libero, ha il supporto del Centro di Cultura
Ebraica.
TRIESTE – Al via il Festival Viktor Ullman (30 marzo-14 dicembre)
organizzato dal musicista Davide Casali con il supporto della Comunità
ebraica triestina. Obiettivo: far luce sul significativo patrimonio
artistico della musica concentrazionaria e “degenerata”. Domenica alle
18 al Museo Revoltella il pianista Pierpaolo Levi inaugurerà la
rassegna eseguendo alcune sonate di Ullman.
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Un ciclo di incontri sull'etica medica |
Un ciclo di incontri sull’etica medica
patrocinato dal Dipartimento Educazione e Cultura UCEI, avrà luogo nei
locali del Tempio dei Giovani sull’Isola Tiberina con cadenza
settimanale. Appuntamento ogni lunedì alle 20. Tra i rabbinim coinvolti
Roberto Colombo, Roberto Della Rocca, Riccardo Di Segni, Cesare Efrati,
Gianfranco Di Segni, Benedetto Carucci, Ariel Di Porto, Amedeo
Spagnoletto, Gavriel Levi, Umberto Piperno.
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Bergoglio parla ai politici,
riaffiorano pregiudizi |
Medio Oriente al centro della tappa romana
di Barack Obama. I nodi ancora irrisolti, le speranze per un futuro di
pace nella regione sono stati affrontati in particolare nell’incontro
avuto in mattinata con papa Bergoglio. “Il Papa e Obama parlano
soprattutto di Medio Oriente. La giornata di ‘digiuno e preghiera’ che
Francesco proclamò a settembre per ‘scongiurare l’aggravarsi della
violenza’ – scrive Gian Guido Vecchi sul Corriere della sera – ebbe un
peso decisivo nel fermare l’intervento meditato dagli Usa e del resto
la linea negoziale della Santa Sede vale per tutte le situazioni di
crisi, dal centro Africa all’Ucraina, e sostiene anche il piano del
segretario di Stato americano John Kerry per arrivare alla pace tra
israeliani e palestinesi”.
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DEMENZA
DIGITALE – LA DENUNCIA
Rav
Sacks: i veleni dei cyberbulli
distruggono le nostre comunità
Durissimo
intervento del rav Lord Jonathan Sacks contro la diffusione della
maldicenza e del bullismo elettronico attraverso Internet e i social
network.
Basandosi sul commento alla Parasha Tazria, la porzione biblica dove si
illustrano fra l’altro i disastri provocati dalla diffusione di falsità
e di malevolenze, il rabbino britannico che ha appena concluso il suo
mandato di rabbino capo del Commonwealth ed è considerato fra i
maggiori leader spirituali del nostri tempi mette in guardia con
estrema severità le comunità ebraiche e invita tutti a prendere le
distanze da chi utilizza senza scrupoli la comunicazione elettronica
per seminare invidia, arroganza, egoismo e pregiudizio. Il linguaggio
malevolo, ricorda il Rav, è da sempre il veleno che rischia di
distruggere le nostre comunità e i mezzi di comunicazione elettronica
lo rendono quanto mai insidioso. “Il bullismo elettronico – spiega il
Rav - è la più aggiornata forma di Lashon Hara. In generale Internet è
il più efficace diffusore di linguaggio dell’odio mai escogitato. Non
solo rende così facile la comunicazione mirata, ma consente di evitare
anche gli incontri a viso aperto, che talvolta inducono moderazione e
suscitano sentimenti di vergogna, sensibilità e autocontrollo nei
confronti delle proprie azioni”.
“Il linguaggio – si afferma fra l’altro nella lunga lezione dedicata
all’argomento - è vita. Le parole creano, ma anche distruggono. Se le
parole buone sono sacre, quelle cattive sono una dissacrazione. Un
segno di quanto seriamente l’ebraismo prenda la questione, è la
preghiera che diciamo al termine di ogni Amidah almeno tre volte al
giorno: ‘Mio D-o, proteggi la mia lingua dal male, e le mie labbra da
parole di inganno. Nei confronti di coloro che mi maledicono fai sì che
la mia anima rimanga in silenzio, possa la mia anima essere nei loro
confronti come polvere’. Avendo pregato D-o all’inizio di ‘aprire le
mie labbra così che la mia bocca possa dichiarare le Tue lodi’, Lo
preghiamo alla fine di aiutarci a chiudere le labbra per non parlare
male degli altri, né reagire quando gli altri parlano male di noi”.
“Nonostante tutto, però, nonostante la proibizione del pettegolezzo
contenuta nella Torah, nonostante le storie di Giuseppe, Mosè, Miriam,
e le spie, nonostante la severità senza pari dei Saggi nei confronti
del parlar male, il lashon hara rimane un problema lungo tutto il corso
della storia ebraica e lo è anche oggi. Ogni leader è soggetto a esso.
I Saggi dissero che quando Mosè lasciava la sua tenda presto al
mattino, il popolo mormorava che aveva avuto un litigio con sua moglie.
Se la lasciava tardi, che stava complottando contro di loro (cfr. Rashi
su Deuteronomio 1:12)”.
“Tutti coloro – aggiunge il Rav - dal manager, al genitore, all’amico,
che cercano di essere dei leader, devono affrontare la questione del
lashon hara. Prima di tutto ciascuno dovrà accettarlo come il prezzo da
pagare per ogni tipo di successo. Alcune persone sono invidiose. Fanno
pettegolezzo. Si costruiscono denigrando altre persone. Chi si trova in
una posizione di leadership, dovrà probabilmente convivere con il fatto
che dietro le spalle, e talvolta anche in faccia, la gente sarà
critica, maliziosa, sprezzante, diffamatoria, e talvolta completamente
disonesta. Questo può essere difficile da accettare. Avendo conosciuto
molti leader, in molti campi, posso testimoniare che non tutti i
personaggi pubblici hanno la pelle dura. Molti sono sensibili e sono
emotivamente logorati dalle critiche ripetute e ingiuste.
Se mai doveste trovarvi in questa situazione, il miglior consiglio è lo
stesso impartito dal Maimonide: ‘Se una persona è scrupolosa nel suo
modo di comportarsi, gentile nella conversazione, positiva verso il
prossimo, affabile nell’accoglierlo, non risponde neppure se offesa, ma
è pronta a mostrare cortesia verso tutti, anche verso coloro che la
trattano con disprezzo… questa persona avrà glorificato il nome di D-o
e su di lei le Scritture sottolineano ‘ Sei il mio servo Israele, in
cui io sarò glorificato’ (Isaia 49:3) (Maimonide, Hilkhot Yesodei
ha-Torah 5: 11). Questo si applica nel caso in cui il lashon harah sia
rivolto nei nostri confronti come singoli”.
“Collettivamente come gruppo, tuttavia, si deve praticare la tolleranza
zero verso il lashon hara. Permettere di parlare male uno dell’altro
conduce nel lungo termine alla distruzione dell’integrità del gruppo.
Il parlar male sprigiona energie negative. All’interno del gruppo
sparge i semi della sfiducia e dell’invidia. Diretto fuori dal gruppo,
può condurre all’arroganza, all’ipocrisia e autoconvincimento della
propria superiorità, al razzismo e al pregiudizio, tutti sentimenti che
sono fatali alla credibilità di qualsiasi squadra. Che tu sia o meno il
leader di questo gruppo, devi mettere educatamente in chiaro che non
avrai nulla a che fare con questo comportamento e che esso non trova
posto nelle tue conversazioni”.
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qui
torino
Spazio
verde per la Memoria
Un
luogo di Memoria ma anche di incontro, di vita. Il Giardino dei Giusti
di Torino, inaugurato ieri al parco Colonetti, ha una doppia chiave di
lettura: con i suoi 36 alberi, il Giardino rende onore a coloro che,
nel Piemonte oppresso dal nazifascismo, salvarono a proprio rischio e
pericolo la vita dei propri concittadini ebrei. Un luogo che ricorda le
storie e le scelte di uomini e donne come Carlo Angela, come Luigi e
Maria Grasso o Orsola Rosa Bresso ma che vuole anche essere un punto di
ritrovo per la Torino di oggi, per le sue famiglie e i suoi cittadini.
Da qui l'intreccio di un progetto che vede diversi protagonisti: Gruppo
di Studi Ebraici di Torino, Comunità ebraica della città, la
Circoscrizione 10 e Contrada Onlus. Diverse anime di un'unica realtà in
cui si intrecciano passato, presente e futuro.
“Questo bosco è un ricordo dedicato a persone coraggiose ed è inserito
in un ambiente che ha bisogno di segnali forti per il futuro di questa
città”, ha dichiarato Sarah Kaminski, portavoce del Gruppo di Studi
Ebraici. Al suo fianco sul palco, Emanuel Segre Amar, vicepresidente
della Comunità ebraica di Torino – che si è soffermato sull'importanza
del ruolo dei Giusti - l'assessore alle pari opportunità del Comune
Ilda Curti e il presidente della Circoscrizione 10 Marco Novello.
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Un
Giardino dei Giusti a Torino |
Ognuno
di noi ha i “suoi” Giusti - quelli che hanno salvato la sua famiglia
dalle persecuzioni nazifasciste – e con loro (o con le loro famiglie)
ha mantenuto i contatti attraverso i decenni con visite, incontri,
pranzi o cene, come in una sorta di rituale laico dedicato alla
gratitudine. Non tutti i Giusti, però, hanno avuto la possibilità di
creare questi legami: non tutte le persone aiutate e protette hanno
potuto salvarsi, non sempre i salvatori conoscevano i nomi dei salvati
o i salvati quelli dei salvatori. Il Giardino dei Giusti inaugurato
ieri al parco Colonnetti di Torino si compone di 36 alberi (il numero
dei Giusti presenti nel mondo secondo il Talmud), in modo da celebrare
tutti i Giusti, noti e ignoti, quelli che hanno conservato i legami con
i “loro” salvati e quelli che hanno perso i contatti, quelli di cui si
può ricostruire l’operato e quelli le cui azioni nessuno potrà mai
tramandare.
Anna Segre, insegnante
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L'uomo
che cammina |
Chissà
dove è diretto “L'homme qui Marche” dello scultore Alberto Giacometti.
Sguardo assente e smarrito, curvo su stesso, è stanco dal troppo
camminare, potrebbe andare avanti o girare in circolo tornando sui
passi già percorsi, destinato in ogni caso a non fermarsi. Poche
sculture potrebbero descrivere meglio l'umanità contemporanea, almeno
da uno sguardo distaccato. Più da vicino, come uomini abbiamo
prematuramente anticipato la nostra utopia di “futuro”, con l'illusione
di essere i soli in possesso del nostro destino e di poterlo prevedere,
ci sembra che niente sia ormai ignoto, che niente possa fermarci,
dominati come siamo da manie di grandezza e deliri/volontà di
(onni)potenza. In realtà vogliamo fuggire ed evadere da un presente (e
un domani) molto più grave e incerto, che ci è sfuggito dalle mani ed è
fuori dal nostro controllo.
Francesco Moises Bassano, studente
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Essere
o non essere |
Essere è partecipare, ancor prima che appartenere. Questo è il problema.
Ilana Bahbout
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La
Cultura di fronte agli orrori |
Eric
Kandel è un celeberrimo neuroscienziato e psicoanalista ebreo americano
che ha avuto il Nobel per la Medicina nel 2000 per le sue ricerche
sulle basi fisiologiche della memoria. Nella sua densa autobiografia
scientifica ("Alla ricerca della memoria"), ricorda la sua fuga da
Vienna, a nove anni, e torna su alcune inquietanti domande a cui tanto
si fatica a rispondere in modo spassionato: "Lo spettacolo di Vienna
nelle mani dei nazisti mi pose anche, per la prima volta, di fronte al
lato più oscuro e sadico del comportamento umano. Come si può
comprendere l'improvvisa, perversa brutalità di così tante persone?
Laura Salmon, slavista
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