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3 luglio 2014 - 5 Tamuz 5774
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
È strano che, dopo aver permesso a Bil‘àm di andare da Balàq, sia pure con l’avvertenza di dire e fare solo ciò che D. gli dirà, Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ Si adiri perché Bil‘àm va: se glielo ha permesso in quello stesso momento, perché è contrario?
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Sono stati ritrovati i corpi di Eyal, Gil'ad e Naftali. E poi sono stati portati a sepoltura con rito ebraico, riuniti per sempre nel cimitero di Modi'in al centro dello Stato d'Israele. Nella tradizione ebraica esistono cinque fasi nel lutto: prima del funerale, la prima settimana, il mese, l'anno, e poi tutta la vita di chi rimane. È consuetudine rispettare il massimo riserbo almeno nella prima settimana e sarebbe quindi saggio mantenere ancora il silenzio. Ma nella dolorosa contingenza, è inevitabile che si guardi in faccia alla realtà. L'unione e la solidarietà di tutti in Israele in questi momenti di tragedia è evidente e trascende il quotidiano, ma la realtà ha tante facce diverse, molteplici sono i possibili livelli di analisi, e non è facile ritrovarsi tutti insieme attorno a un unico grande consenso. Per esempio in queste tragiche circostanze, è più necessaria l'euforia del bagno di folla o l'intimità della solitudine? Si è voluto mobilitare la preghiera che è certamente il fondamento dell'essere collettivo di Israele, ma è servita la preghiera? O vogliamo sostenere che la preghiera c'è stata ma non è stata accolta? O più semplicemente che la preghiera aiuta chi prega, e oltre questo noi non possiamo capire? Chi organizza le grandi manifestazioni di solidarietà pubblica, pensa davvero solo al benessere delle vittime o cerca anche un'occasione per farsi notare? La colpa del tragico evento ricade sugli ebrei, come sostengono sempre gli antisemiti? E cosa dobbiamo pensare quando lo dice anche il rabbino Lior, che è uno dei capi dell'insediamento ebraico di Kiryat Arba? La punizione degli assassini deve coinvolgere collettivamente tutti i palestinesi della zona di Hebron e di Halhul da cui sono partiti i terroristi, oppure va limitata alla ricerca puntuale dei due rapitori? E vista la relazione certa di costoro con Hamas, va punito il centro maggiore di attività di Hamas che è Gaza, magari sospendendo l'erogazione di elettricità che ancora oggi arriva quasi tutta da Israele? Per rappresaglia, è meglio distruggere mille abitazioni di terroristi palestinesi o costruire mille abitazioni di nuovi residenti ebrei? Se è vero che la Giudea e Samaria è un "territorio conteso", vuol dire che oltre agli ebrei vi è un'altra parte che ne contende la sovranità? E se questa parte esiste, bisogna con essa stringere maggiori e sempre più affollati rapporti di vicinato, o cercare di troncare i rapporti separandosi fisicamente magari con una barriera? Se esiste un conflitto sul territorio, dovrebbe questo spingere a maggiori precauzioni da parte della popolazione civile ebraica? Come, per esempio, trasporti organizzati più frequenti e meglio difesi? O un servizio telefonico di emergenza gestito da persone con un cervello? Se Abu Mazen non è in grado di acchiappare e consegnare alla giustizia due ripugnanti assassini che si nascondono e hanno complici sul suo territorio, ci si può fidare di lui come tutore dell'ordine in un futuro stato palestinese? E infine, cosa pensare degli analisti e dei politici che hanno elogiato la formazione del governo di unità palestinese OLP-Hamas? Parleranno di uno sporadico e insensato atto di violenza giovanile contro generiche persone innocenti, o di un tassello nell'attuazione sistematica di un programma annunciato di guerra santa finalizzata a eliminare lo Stato d'Israele?
 
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ROMA – Il dramma delle spose bambine al centro del convegno organizzato per questo pomeriggio (17.30-20.00) nella biblioteca del Senato dalle associazioni Summit e Remembrance Forum Italy, presiedute entrambe dalla giornalista ed ex parlamentare Fiamma Nirenstein. Ad intervenire anche il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, Valentina Colombo (Università Europea di Roma), Hend Nasiri (promotrice della “Campagna Nazionale contro i matrimoni delle minorenni”, Yemen), Ernesto Caffo (presidente SOS Il Telefono Azzurro Onlus), Isabella Bossi Fedrigotti (giornalista e presidente Plan Italia).
 
Ucei-Fondazione Cantoni
Borse di studio per Israele
Anche per l’anno accademico 2014-2015 l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Fondazione Raffaele Cantoni tornano a offrire borse di studio per ragazzi italiani che intendono sostenere un progetto di formazione nello Stato di Israele.
 
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L’appello di Netanyahu: “Nessuno si faccia giustizia da solo”
Giustizia è la parola che risuona in questi giorni in Israele. La vogliono i genitori di Eyal, Gilad e Naftali, che hanno visto i propri tre giovani figli morire per mano del terrorismo palestinese. La vuole la famiglia del sedicenne Mohammed Abu Khudair, il cui corpo bruciato è stato ritrovato ieri mattina in una foresta nei pressi di Gerusalemme. “Agire in fretta per trovare i responsabili” ha dichiarato il premier Benjamin Netanyahu – come riporta La Stampa – in riferimento all’uccisione del giovane palestinese. Le autorità sospettano che l’atto barbarico, come l’ha definito il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat, sia riconducibile a una vendetta dell’estrema destra israeliana in risposta al rapimento e assassinio di Gilad Shaar, Eyal Yifrach and Naftali Fraenkel. “Nessuno si faccia giustizia da solo”, l’appello di Netanyahu.
L’odio però continua a crescere e ne sono la dimostrazione le terribili parole rilasciate al giornalista Maurizio Molinari (La Stampa) dalla madre di uno dei due uomini considerati responsabili del rapimento dei tre ragazzi israeliani. La donna, Nadia Abu Aisheh, si dice orgogliosa per quanto i suoi figli hanno compiuto, si definisce come “la madre di un martire per la Palestina” ovvero di “colui che sceglie di dare la vita per uccidere degli ebrei” e la vittoria è nel “riuscirci”. Parole diametralmente opposte arrivano dalla famiglia Fraenkel, che alla notizia dell’uccisione del giovane palestinese hanno dichiarato, “non c’è differenza tra il sangue di un ragazzo ebreo e quello di un arabo. Un assassinio è un assassinio, non esiste giustificazione, non esiste perdono”. Parole, come sottolinea il Corriere, in risposta a chi sul web e social network gridava vendetta per Eyal, Gilad e Naftali e si è scatenato in violenze di strada.

 
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israele
"Giustizia, non vendetta"
“Israele è uno Stato di diritto e tutti devono agire secondo diritto. Nessuno si faccia giustizia da solo”. A intervenire è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Inammissibile la giustizia sommaria, da qualsiasi parte arrivi. Una risposta alle violenze di questi giorni, la riaffermazione dell'animo democratico di Israele. E a chiedere giustizia sono le famiglie di Eyal, Gilad e Naftali, i tre ragazzi assassinati, secondo le autorità, da due terroristi palestinesi legati al gruppo di Hamas. Molte le domande che gravitano attorno al caso, in particolare dopo la divulgazione dell'audio in cui si sente la richiesta di aiuto di uno dei ragazzi (“mi hanno rapito”, si sente bisbigliare Gilad Shaar, cui voce è stata riconosciuta dai genitori). I genitori chiedono chiarezza su cosa accadde quel tragico 12 giugno. Così come invocano giustizia i famigliari del sedicenne Mohammed Abu Khudair, il cui corpo bruciato è stato ritrovato ieri mattina in una foresta nei pressi di Gerusalemme. “Crimine brutale” - come l'ha definito Netanyahu – di cui ancora non sono stati identificati i responsabili, nessuna pista è esclusa anche, stando a fonti di diversi media israeliani, gli investigatori stanno battendo la pista dell'estremismo di destra israeliano. L'assassinio sarebbe stato compiuto come vendetta per l'omicidio di Eyal, Gilad e Naftali. Accorato l'appello a fermare le violenze da parte della famiglia di Naftali Fraenkel, che ha condannato l'assassinio del giovane palestinese. “Non c'è differenza tra il sangue di un ragazzo ebreo e quello di un arabo. Un assassinio è un assassinio, non esiste giustificazione, non esiste perdono”, hanno affermati i Fraenkel. Le autorità israeliane sono dunque impegnate a rispondere alle domande di giustizia delle famiglie coinvolte.
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Israele
Ore di tensione
Gli scontri per le strade di Gerusalemme, i razzi sparati da Gaza che continuano a colpire il sud del paese, il nervosismo che serra gli animi dopo i funerali di Eyal, Gilad e Naftali. Israele vive in queste ore momenti di grande tensione, con il nuovo, terribile episodio dell’uccisione di Mohammed Abu Khdeir, palestinese di 16 anni, il cui corpo carbonizzato è stato ritrovato ieri mattina in una foresta nei pressi della Capitale. Dure le parole dei leader d’Israele sull’accaduto, a partire dal premier Benjamin Netanyahu. Le indagini sono ancora in corso, ma secondo quanto riportato dalla stampa israeliana, l’ipotesi che sembra prevalere è quella di un episodio di vendetta. E il sospetto di una dinamica simile ha infiammato la popolazione arabo-israeliana di Gerusalemme Est, che nelle scorse ore è stata teatro di scontri come non se ne vedevano da tempo,
Alla luce di quanto sta accadendo con Gaza, Israele sta mobilitando truppe di terra e carri armati nel sud, anche se una fonte militare ha rivelato al quotidiano Haaretz in condizione di anonimato che le autorità vogliono evitare un’escalation di violenza, e che se Hamas interromperà il lancio di razzi “alla quiete si risponderà con la quiete”.
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Qui Roma
Perché il Giorno della Memoria
Una pietra di inciampo contro il silenzio. Contro “quell'intollerabile tentativo dei miei concittadini di passare per vittime, di essere vincitori con i vincitori, buoni e nobili. Di essere brava gente”. Alza la voce Furio Colombo per spiegare perché, quasi vent'anni fa, intraprese la sua battaglia – assieme al senatore Athos De Luca - per istituire il Giorno della Memoria. Quattordici anni sono passati dalla data della prima celebrazione ed è venuto il momento di tirare le somme. Di ritornare sui perché della sua nascita e di fare un bilancio di oltre un decennio di Giorni della Memoria. E ancora di rispondere, oggi come allora, alle critiche. Tutto questo trova spazio nel libro  Il paradosso del Giorno della Memoria. Dialoghi, di Furio Colombo, Athos De Luca, con Vittorio Pavoncello, presentato ieri  nella Sala Nassirya del Senato della Repubblica. A riflettere in quest'occasione su prospettive, contraddizioni, problematiche legate all'istituzione del 27 Gennaio, insieme agli autori, la storica Anna Foa, il parlamentare Luigi Manconi, il giornalista Toni Jop e l'architetto Luca Zevi.
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J-CIAK
Mazursky, la halvah e gli anni '70
“La halvah è probabilmente la cosa che ho di più di religioso”. “Sono a dieta da vent’anni, ma se mi date un pezzo di halvah è finita: non posso fare a meno di mangiarla”. Qualche anno fa Paul Mazursky scherzava così con Abigail Pogrebin, che lo intervistava per il libro “Stars of David: Prominent Jews Tallk About Being Jewish”. “Non ho una buona spiegazione psicologica del perché sono ebreo – continuava – Sono nato mangiando kreplach e matzoh brei e lox. Tra l’altro gli ebrei non fanno buoni secondi piatti. Sono bravi solo in quello che viene prima della carne. E qualche dessert. Il rugelach, per esempio, è un tesoro”.
Il grande regista morto lunedì, a 84 anni, si definiva senz’altro “anti-religioso”. (“La religione è tra le cose che hanno rovinato e rovinano il genere umano”). E a fermarsi qui ne viene fuori una sorta di Woody Allen ante litteram, sospeso tra ironia, radicalismo e un ebraismo quasi stilizzato. Basta però fare un passo oltre e il quadro si complica.

Daniela Gross
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testimoni del '900
Vittorio Foa, un premio al futuro
Restano pochi giorni per partecipare alla prima edizione del premio intitolato dalla città di Formia a Vittorio Foa, il politico, giornalista e scrittore che vi ha vissuto per lunghi anni. Il vincitore dell’iniziativa promossa da Sandro Bartolomeo, sindaco della città che a Foa aveva dato nel 1998 la cittadinanza onoraria "per meriti civili e culturali", verrà annunciato ogni anno il 20 ottobre, nella giornata dedicata alla memoria, alla storia, alla vita e alle opere di uno dei grandi protagonisti e testimoni delle vicende italiane del Novecento.
In quel giorno si tiene il festival “Questo Novecento e oltre”, che vuole analizzare, illustrare e approfondire la conoscenza dei fatti e delle scelte che sono alla base della realtà attuale.
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memoria
Una bambina perfetta
“Questa è una fotografia che ritrae me, Hessy Levinsons, scattata quando avevo circa sei mesi. È stata pubblicata sulla copertina di una rivista nazista datata 24 gennaio 1935. Vuole rappresentare il perfetto bambino ariano, ma ero io. Una bambina ebrea. Sulla copertina di una rivista nazista”. Hessy Levinsons Taft, che ha ora ottant’anni e insegna chimica a New York racconta che negli anni Trenta i nazisti avevano lanciato un concorso per scegliere il bambino ariano più bello, che sarebbe servito per una massiccia azione di propaganda.
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pilpul
Setirot - Tutto il resto
Al momento in cui scrivo, non si sa ancora con certezza se il sedicenne Mohammed Abu Khder sia stato assassinato per rappresaglia da ebrei fanatici – e, nel caso, terroristi. Sicuramente sappiamo l'orrore che porta il nome di Eyal Yifrah, Gilad Shaar, Naftali Fraenkel (la loro memoria sia di benedizione). Tutto il resto è rumore, che sui social media spesso diventa insopportabile fracasso, schiamazzo, incitamento all'odio antiebraico e antiarabo. A Eyal, Gilad, Naftali e a Mohammed dobbiamo invece il silenzio del dolore e del rispetto.

Stefano Jesurum, giornalista
 

Finestra sul confine - Tensione
Sto tornando da un convegno a Gerusalemme. Sullo specchietto retrovisore vedo gli occhi dell’autista del taxi che lentamente si chiudono. Sono stanca anch’io ma siamo solo a Haifa, ci sono perlomeno altri 80 km fino a Sasa. “Di dove sei?” gli domando “Sono di Beit Hanina, Gerusalemme est”.  Non è di molte parole e io comincio a preoccuparmi. Il taxi l’ha organizzato KAS, il Konrad Adenauer Stiftung con il quale stiamo attuando il progetto “Partnership of Regional Leadership” per far conoscere e cooperare 150 ragazzi di 16-17 anni dalla Giordania, Israele e Autorità Palestinese. Cerco di essere simpatica: “Appena arriviamo al kibbutz ti preparo un bel caffè espresso, cosi ti tiri un po’ su!”. Non sorride.

Edna Angelica Calò Livne
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Time out - L'abisso
Che sia stato ucciso perché omosessuale o per vendetta è evidente che il compito di uno Stato democratico sia quello di garantire che gli assassini non rimangano impuniti. Lo ha detto anche Netanyahu, esiste un abisso morale tra una nazione dove la madre di uno dei terroristi celebra il rapimento di tre ragazzi innocenti e un'altra dove la madre di uno di quei ragazzi condanna in egual misura la morte di un giovane palestinese come se fosse il figlio. Non c'è vergogna a marcare questa differenza, perché questa purtroppo è la realtà. E se le notizie, in realtà neanche confermate, appurassero che le cause dell'omicidio del ragazzo arabo non siano legate alla sua omosessualità, ma a una vendetta, certamente a Israele spetterà il compito di assicurare giustizia come ha sempre fatto contro ogni estremismo.

Daniel Funaro
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