Paolo Sciunnach,
insegnante
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Nel
1950 a Londra Rav Dessler scriveva ai suoi studenti: Siamo abituati a
dire che noi preghiamo. Invece non è affatto vero. Infatti non siamo
arrivati ancora nemmeno lontanamente alla preghiera, di conseguenza non
abbiamo ancora mai pregato. (...) Può essere considerato preghiera un
balbettio di parole? Questo fenomeno è una terribile sintomo del
deterioramento del concetto di preghiera che di conseguenza causa la
chiusura delle porte del Cielo. (Michtav MeEliahu Vol. 4, Pag. 361).
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Anna
Foa,
storica
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La
terza guerra mondiale divampa, sia pur a pezzi e bocconi come ha detto
papa Francesco, in questo anomalo agosto, diviso tra sole e pioggia.
Iraq e Siria hanno, giustamente, preso sui media il posto che solo fino
a pochi giorni fa è stato di Israele e Gaza, senza tuttavia che i razzi
abbiano smesso di cadere su Israele e le bombe piovere su Gaza. Ma
quello che succede in Siria e in Iraq è di una gravità inaudita, totale.
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Giro di vite sul terrorismo |
Sarebbero
circa 200 i reclutatori di jihadisti in Italia. Il loro compito: fare
proseliti per gli estremismi islamici. Alla chiamata avrebbero finora
risposto circa 50 connazionali, che si sono arruolati in Iraq e Siria.
Nell’ottanta per cento dei casi si tratterebbe di convertiti. Sul
Corriere della sera Virginia Piccolillo racconta questo mondo e i
pericoli per la sicurezza nazionale che ne sono diretta conseguenza.
“Nei rapporti riservati della nostra intelligence che li ha posti sotto
controllo – scrive Piccolillo – i ‘foreign fighters’ sono la punta
estrema di fanatismo in un fenomeno che non è coeso in un unico nucleo,
ma frammentato. E che può contare su un gruppo più consistente di
residenti in Italia che fungono da ‘ufficiali di collegamento’ tra il
nostro territorio e il terrorismo islamico”. Il fenomeno è
particolarmente inquietante nelle città del Nord: la maggior parte
delle adesioni, si legge, avviene a Brescia, Torino, Padova e Bologna.
Nel frattempo il governo italiano si muove per inasprire le pene contro
il terrorismo. Un disegno di legge, preparato dall’Ufficio legislativo
del dicastero, è stato consegnato al ministero dell’Interno e a quello
della Giustizia. Tra i punti al varo la punibilità di atti di
terrorismo commessi anche ai danni di uno Stato estero e l’inasprimento
delle pene detentive per chi finanzia i terroristi: da sette a quindici
anni di carcere. Previsti invece sconti per i collaboratori: il dl,
spiega Cristiana Mangani sul Messaggero, stabilisce che vengano
diminuite fino alla metà le pene “nei confronti dell’imputato che si
adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità
giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la
ricostruzione dei fatti”.
Con le ultime drammatiche notizie dalla Libia l’allarme terrorismo si
estende anche a pochi chilometri dalle coste italiane. Eppure, rileva
Gad Lerner su Repubblica, la consapevolezza di tutto ciò sarebbe ancora
scarsa. “Ci siamo dentro fino al collo – denuncia il giornalista – ma
continuiamo a far finta di nulla perché ignoriamo perfino chi siano le
milizie in campo e quale sia l’intento dei loro burattinai. L’enigma
Libia è la propaggine ovest, per noi la più pericolosa perché limitrofa
all’Europa, del conflitto che insanguina Iraq e Siria. Ma nonostante
lambisca le coste italiane e rovesci i suoi cadaveri nel Canale di
Sicilia, la guerra di Libia ci risulta ancor meno decifrabile
dell’offensiva scatenata dal sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi. È
mai possibile tutta questa ignoranza?”
Israele ha dato ieri l’ultimo saluto al piccolo Daniel Tragerman,
ucciso dai razzi di Hamas in un kibbutz vicino alla Striscia di Gaza e
oggi torna a svegliarsi con le sirene che risuonano fino a Tel Aviv.
“Salvai il capo di Hamas, ora fermi la guerra”: è l’appello di Mishka
Ben-David, ex agente operativo del Mossad a capo del commando inviato
nel 1997 in Giordania per uccidere Khaled Meshaal. Fu lui infatti, dopo
le minacce del re Hussein, a somministrare l’antidoto al futuro leader
di Hamas. Altrimenti sarebbe morto in poche per gli effetti del veleno
iniettatogli dagli agenti israeliani. Ben-David si dice oggi contrario
alla politica degli omicidi mirati e, interpellato da Davide Frattini
del Corriere della sera, afferma: “È possibile trovare un intesa solo
attraverso negoziati e concessioni”.
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#IsraeleDifendeLaPace Domande e risposte |
Domande
chiare e risposte chiare e autorevoli, punto per punto, ai complessi
problemi della crisi mediorientale. Aggiornamenti costanti ora per ora.
L'impegno di fare chiarezza sui diversi nodi del conflitto in corso tra
lo Stato di Israele e i terroristi di Hamas.
Sul portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il lancio di una nuova
area informativa dedicata dalla redazione a notizie, schede,
dichiarazioni sugli ultimi sviluppi relativi all'operazione delle
forze di sicurezza israeliane nella Striscia di Gaza. Tutti i cittadini
che ritengono di poter aggiungere un contributo positivo per arricchire
il notiziario possono mettersi in contatto scrivendo a desk@ucei.it.
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#Israeledifendelapace
I razzi di Hamas contro la tregua
Le
voci di un possibile cessate il fuoco si scontrano con le urla delle
sirene. La pioggia di missili sparati da Gaza continua a minacciare il
Sud di Israele. Nelle ultime ore il sistema Iron Dome è entrato in
funzione diverse volte, intercettando razzi su Sderot, Beersheva,
Ashkelon. Secondo il canale televisivo israeliano Arutz 10, sarebbero
oltre 80 i razzi lanciati da Hamas. La maggior parte, contro le
comunità vicine alla Striscia di Gaza, dove le sirene sono risuonate in
continuazione, a poca distanza l'una dall'altra. All'offensiva di
Hamas, Tzahal ha risposto con diversi raid nella Striscia, colpendo
nella note - secondo fonti militari - sedici obiettivi. E in questo
quadro l'Egitto è tornato a mettere pressione alle parti, per
raggiungere un cessate il fuoco temporaneo, a cui far seguire una
tregua duratura. Lo stato delle trattative non è chiaro, con voci
contraddittorie sulla prossimità di un accordo. In particolare Hamas ha
negato un imminente cessate il fuoco, e a dimostrarlo la situazione al
Sud di Israele.
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#Israeledifendelapace
La scienza delle sirene
Era
forse un falso allarme, quello che stamattina poco dopo le otto ha
costretto gli abitanti di Tel Aviv a mettersi al riparo. Non lo erano
invece le sirene che a partire dalle 6 hanno svegliato i cittadini
dell’area di Ashdod, Ashkelon, Eshkol, con i razzi sparati da Hamas che
hanno continuato a piovere in tutto il sud di Israele anche nelle ore
successive.
Un suono che non assomiglia a quello nervosamente ripetitivo delle
ambulanze, né al fastidioso ritmo degli antifurti. Le sirene dello Zeva
Adom, del Codice Rosso, che talvolta si possono scorgere appese ai pali
della luce o sugli edifici, si distinguono subito per un ululato lungo,
profondo, capace di interrompere la vita quotidiana come i momenti di
quiete per dare il segnale di cercare protezione.
Negli ultimi 45 giorni, da quando è iniziata l’operazione Margine
protettivo, sono scattate oltre 4mila volte. L’allarme può partire
automaticamente o essere attivato manualmente. Quando il radar
intercetta un missile sparato da Gaza, la sua traiettoria e velocità
vengono trasmesse nel giro di centesimi di secondo all’Home Front
Command di Tsahal, rendendo possibile l’identificazione del tipo di
colpo e la probabile area di impatto. Sono 204 le “zone di sirene” in
cui è suddivisa Israele, e fino ad oggi, oltre il 99 per cento dei
razzi che potenzialmente mettevano in pericolo vite umane ha fatto
correttamente scattare il codice rosso, anche per segnalare la
possibilità di detriti da cielo. Nelle aree più vicine al confine con
la Striscia, dove ci sono solo 15 secondi per mettersi al riparo, la
sirena suona ogni volta che un colpo parte, anche se poi risulta
diretto altrove.
A partire dal 2012, a offrire un ulteriore baluardo contro i missili
lanciati da Gaza, oltre alle stringenti istruzioni su come comportarsi
in caso di allarme, è anche il sistema antimissile Iron Dome, capace di
intercettare i razzi diretti contro centri abitati con una affidabilità
sempre più alta.
Così sotto i cieli azzurri dell’estate israeliana, è diventato ormai
comune aspettare il suono dello scoppio del missile distrutto in aria
dopo l’allerta delle sirene. Il tutto in attesa che gli unici ululati
per le strade del paese tornino a essere antifurti e ambulanze.
Soprattutto nel sud, sempre più stremato.
Rossella Tercatin
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MEMORIA
Weisz, un torneo contro l'oblio
Un
campione di tattica e umanità, il dominatore di tre campionati, un
grande tecnico scomparso per anni dalla memoria collettiva e solo
ultimamente riportato agli onori che merita. Vita, morte, oblio,
riscoperta di Arpad Weisz (1896-1944), il tecnico ungherese che avrebbe
segnato gli anni Trenta del calcio italiano e che la furia nazifascista
avrebbe condannato a un’orribile morte, assieme ai familiari, nel lager
di Auschwitz. Nuovamente protagonista nel solco della biografia “Dallo
scudetto ad Auschwitz” scritta nel 2009 da Matteo Marani per Aliberti,
Weisz sarà prossimamente al centro delle cronache per la seconda
edizione del torneo internazionale a lui dedicato. Scenario, in data 4
settembre, lo stadio Dall’Ara. L'iniziativa ha il supporto delle
Comunità ebraiche di Bologna e Milano.
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In
cornice - Antonietta Raphaël
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La
riscoperta dell'arte di Antonieta Raphael Mafai non passa solo per la
mostra romana sulle artiste ebree, ma che per il nuovo museo del
Novecento di Firenze che ospita una sua scultura "Maternità".
Impressionante.
Una donna nuda, in bronzo scuro e non patinato, stringe a sé una figlia
non piccolissima, anche lei nuda, in un gesto di protezione che pare
quasi volere riportarla in grembo. Lo sguardo è teso in avanti, vuoto,
verso l'origine dei mali a cui guardarsi. L'opera è tragica, quanto la
sorte della comunità di Kovno in cui era nata.
Daniele Liberanome, critico d'arte
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Oltremare
- Scuola in guerra |
Se
Cesare faceva le campagne d’estate un motivo c’era, e se Napoleone è
stato sconfitto dal Generale Inverno, anche. Questa guerra (sfido
qualunque politico israeliano a continuare a chiamarla “operazione” per
salvare il bilancio e la faccia) avrebbe dovuto iniziare e finire
durante l’estate. Il fatto che continui, salvo interventi salvifici di
qualche genio della strategia diplomatica che non sembra essere ancora
nato, è gravissimo e impatta sulle nostre vite, sui nostri nervi e
adesso anche sulla capacità del paese di mantenere una normalità,
perlomeno lavorativa.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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Tea
for two - Insonnia
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Fino
a qualche tempo fa, quando l'insonnia faceva la sua teatrale
apparizione, avevo un metodo infallibile: iniziavo i vagheggiamenti. Mi
figuravo correre tra i prati in fiore, calarmi in realtà lontane,
invadere improponibili favole. Da qualche mese però l'abile trucco da
mille e una notte non riesce più. Quando gli occhi non cedono al sonno
dei giusti, mi rifugio dentro a pensieri poco allettanti. Per essere
precisi, il Medio Oriente.
Rachel Silvera, studentessa
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L'odio del network antisionista
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Mi
è stato segnalato un sito che non conoscevo, si chiama International
Jewish Anti-Zionist Network. Dal suo seno è nata la lista dei 225
sottoscrittori di una dichiarazione di condanna del “massacro di
Palestinesi a Gaza”, lista costituita da 33 “survivors” (nel senso
americano del termine, cioè persone nate prima del genocidio nazista e
che vi hanno assistito, sopravvivendogli), 78 figli di survivors e da
altri parenti.
La mia attenzione era stata richiamata dal documento per il suo
riferimento al nazismo e l’implicita accusa di nazismo rivolta a
Israele.
Nel mio intervento su Pagine Ebraiche24 e su Moked dicevo che, con una
rapida verifica sulle Pagine Bianche del Belgio del secondo nome della
lista (il primo era troppo comune), quel nome non l’avevo trovato, e ne
deducevo una montatura, cioè che si trattasse di un mazzo di nomi
ebraici presi a caso o addirittura dal Central Data Base of Shoah
Victims di Yad Vashem. Ora, su segnalazione di Davide Levy, che
ringrazio, ho capito che la persona esiste davvero, che vive
effettivamente in Belgio e che fa parte del network di cui sopra. Non
ho modo di verificare tutti i nomi (peraltro non corredati di indirizzi
né di altre qualificazioni), ma, a questo punto mi scuso con tutti
coloro che hanno espresso approvazione per il comunicato se, a mia
volta incredula dell’esistenza di una simile organizzazione, li ho
convinti che queste persone non esistono. Prendo atto con tristezza che
esiste anche un gruppo di ebrei le cui finalità sono combattere lo
Stato d’Israele e “il suo ruolo nella repressione mondiale”, incitando
al suo pieno boicottaggio economico, culturale e accademico.
Questi argomenti sono utilizzati dalle reti di comunicazione arabe, e rilanciati a piene mani, come se fossero fondati.
Una guerra mediatica si è sovrapposta alla guerra vera: questa costa
vite umane sul serio da ambo le parti, ma quella non è meno
determinante. Per difendersene, è necessario che il mondo cui sta a
cuore l’esistenza dello Stato d’Israele scenda subito in campo con
intelligenza e con mezzi.
Liliana Picciotto
Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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