Elia Richetti,
rabbino
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Il
Midràsh racconta che Rabbì Akivà, mentre faceva lezione, si accorse che
il pubblico si stava assopendo; per svegliarlo, disse: “Come mai Estèr
ha regnato su centoventisette province? Perché per la pronipote di
Sara, che ha vissuto centoventisette anni, era opportuno regare su
centoventisette province!”. Questo episodio suscita qualche domanda.
Innanzitutto, dov’è il legame tra Sara ed Estèr, al di là della mera
discendenza (ma allora il riferimento poteva essere fatto con qualunque
donna ebrea)?
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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Tempi
duri per il nuovo ordine mondiale. Obama ha preso una sonora batosta
alle elezioni intermedie. Hollande in Francia ai minimi storici. In
Catalogna venti di secessione. Guerra fra separatisti russi e Ukraina.
Scaramucce belliche fra Armenia e Azerbaijan. Semifallite le trattative
per la denuclearizzazione dell’Iran. Continuano i rapimenti di giovani
cristiane in Nigeria. Rivolta militare in Burkina Faso. Le bombe di
Hamas impediscono al primo ministro palestinese e al presidente
dell’OLP di visitare Gaza. Atti di terrorismo a Gerusalemme, Tel Aviv,
in Cisgiordania, disordini nelle città arabe di Israele, repressione da
parte della polizia, provocazioni da parte di zeloti ebrei.
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Roma
- Oggi alle 17.30, presso lstituto Luigi Sturzo in via delle Coppelle
35, la presentazione del libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri
"Vincere e vinceremo! Gli italiani al fronte, 1940-1943" (ed. il Mulino)
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Israele, aumenta la paura
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Cresce
la preoccupazione in Israele dopo che, a poche ore di distanza, è stata
incendiata una moschea vicino a Ramallah e dei molotov hanno colpito
una sinagoga a Shfaram, in Galilea. Fiamma Nirenstein scrive sul
Giornale: “La simmetria dei due episodi di violenza di ieri in Israele
disegna il peggiore degli incubi: la guerra di religione, peggiore del
conflitto territoriale che forse, poi, alla fine, può presupporre una
soluzione il cui logoro slogan è due Stati per due popoli”. La polizia
indaga sull’incendio della moschea, ma “il sindaco sindaco Faraj al
Naassaneh, è sicuro della colpevolezza dei membri di un gruppo fuori
legge chiamato ‘Price tag’, un nome che vuole indicare il prezzo del
danno portato dal governo israeliano quando sgombera e distrugge gli
insediamenti illegali, ma anche quello degli attacchi arabi alla
popolazione israeliana”. Il capo del consiglio regionale della Samaria
Gershon Mesika ricorda invece come già in episodi passati il fuoco era
stato appiccato da un residente arabo per procurare una provocazione.
Intanto da un articolo su Israel Forbes, emerge l’inquietante notizia
che Hamas è l’organizzazione terroristica più ricca del mondo dopo
l’Isis, disponendo di un miliardo di dollari. “Il denaro – scrive
Nirenstein – arriva dai fondi dei donor (fra cui anche l’Unione europea
e gli Stati Uniti) che non si riesce a controllare, dal Qatar e
dall’Iran e – secondo le fonti di Forbes – dai traffici illegali,
compreso quello della droga. I donor, subito dopo la guerra, hanno
promesso 4 miliardi di aiuti, ma dove andranno se non nelle tasche di
Hamas? Se si guarda alla popolazione di Gaza, in stato di miseria e
sofferenza, e si compara ai fondi di Forbes, si capisce dove finiscono
i fondi per Gaza”.
La sinagoga colpita dai molotov, ricorda Avvenire, è “a Shfaram,
villaggio della Galilea a maggioranza araba”. Un luogo che era
diventato “esempio di convivenza quando, pochi mesi fa, è stato
ridipinto da giovani arabi e israeliani, insieme, nell’ambito di una
iniziativa condivisa contro l’intolleranza”. “I danni materiali –
conclude – sono stati lievi. Evidenti quelli simbolici”.
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qui berlino - la conferenza osce
Antisemitismo: tolleranza zero
da Berlino, Roma, Parigi, Madrid
Lotta
senza cedimenti e senza ambiguità alla minaccia antisemita, ma anche
ferma opposizione a quei movimenti che cercano di manipolare in una
stagione di crisi la pubblica opinione utilizzando le leve del
populismo e della sfiducia. La prima missione all’estero del nuovo
ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha coinciso a Berlino
con la sessione conclusiva della conferenza convocata nella capitale
tedesca dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa per celebrare i dieci anni della dichiarazione contro
l’antisemitismo e per valutare i nuovi strumenti da adottare contro la
minaccia antisemita. Dopo un intenso vertice con il ministro degli
Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier, cui hanno partecipato anche i
ministri degli esteri di Francia Fabius e di Spagna Margallo, il
rappresentante della Farnesina ha ascoltato il collega proprio
nell’atteso discorso di apertura della conferenza Osce. È stata
un’occasione per ribadire l’impegno comune delle realtà protagoniste
del processo di integrazione europea nel difendere quei valori di
democrazia, integrazione, pluralismo e rispetto per le minoranze che
l’Europa uscita dal Secondo conflitto mondiale ha posto a caposaldo
della propria dignità e del proprio progresso.
In un discorso di estrema durezza e di estrema chiarezza Steinmeier,
che aveva avuto modo precedentemente di confrontarsi con i
rappresentanti di diversi paesi partner, ha ribadito l’impegno
annunciato dalla Cancelliera Angela Merkel solo poche settimane fa
sotto la Porta di Brandeburgo: in Germania qualunque manifestazione di
antisemitismo troverà tolleranza zero. “Non c’è alcun posto – ha
affermato – nella nostra società per chi minaccia con azioni e con
manifestazioni propagandistiche la sicurezza dei cittadini ebrei e
delle istituzioni ebraiche e spera in questo modo di suscitare gli
orrori del passato, Così come non c’è spazio per chi cercando di
sfruttare la crisi mediorientale spera di mascherare le proprie azioni
antisemite sotto la copertura di un preteso dissenso alle azioni del
governo israeliano”. Ma al di là del fermo impegno il rappresentante
del governo tedesco ha messo sul tavolo anche dati di fatto: a fronte
di una rinascente minaccia antisemita la Germania fa segnare oggi il
più alto tasso di crescita ebraica al mondo ed è divenuta la casa di
una comunità ebraica che torna a mettere radici proprio lì da dove la
si voleva cancellare. Fra i dati posti in evidenza dal ministro tedesco
anche la forte ascesa di una formazione rabbinica utile fra l’altro
anche a coprire l’esigenza di restituire guide spirituali alla
frammentata presenza ebraica nell’Est Europa. Gli hanno fatto eco il
Presidente della confederazione Svizzera e presidente di turno
dell’Ocse Didier Burkhalter, che ha messo fortemente l’accento sulla
necessità di preservare la Memoria ed educare le nuove generazioni, e
il direttore dell’Ufficio Ocse per le Istituzioni democratiche e i
diritti umani Michael Georg Link.
Il rappresentante permanente del governo statunitense alle Nazioni
Unite Samantha Power ha ribadito in un appassionato intervento
l’impegno Usa su un fronte da sempre caro alla politica nazionale e
internazionale degli Stati Uniti, ma ha anche sottolineato l’importanza
di un impegno a tutto campo delle istituzioni ebraiche non più e non
solo rinchiuse in un’attitudine difensiva, ma pronte a mettere a
disposizione dell’intera società, soprattutto delle realtà più deboli e
più minacciate, la propria esperienza e i propri valori.
Accanto al ministro degli Esteri di Roma una importante delegazione
italiana ha preso parte ai lavori della conferenza che è incaricata
nella giornata conclusiva di elaborare un documento di sintesi per
tracciare la strada di come combattere l’antisemitismo in una società
che cambia rapidamente. Con il vicepresidente dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach erano presenti fra l’altro
anche la delegata dell’Unione giovani ebrei italiani Talia Bidussa,
l’esponente del World Jewish Congress e del Bene Berith Europa Daniel
Citone, la rappresentante a Roma dell’American Jewish Committee Lisa
Palmieri Billig.
(nella
foto l'incontro tra il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter
Steinmeier e il ministro degli Estreri italiano Paolo Gentiloni)
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J-Ciack
"Foxcatcher", questioni di naso
Se
si aggiudica l’Oscar, Steve Carell potrebbe diventare il quarto
vincitore con un naso finto: dopo Robert De Niro in “Toro scatenato”,
Nicole Kidman in “The Hours” e Jose Ferrer in “Cyrano de Bergerac”. La
notizia non è di quelle che lasciano il segno, ma ha guadagnato i suoi
bravi titoli sui giornali americani. Non a caso, perché reso
irriconoscibile da un naso ben pronunciato, Steve Carell debutta questo
fine settimana sugli schermi statunitensi. Il film è “Foxcatcher” di
Bennett Miller, dramma psicologico ispirato a un terribile fatto di
cronaca accaduto nel 1996 che molti danno tra i favoriti nella corsa
all’Academy Award. Al centro della vicenda, lo strano rapporto che
s’instaura tra il ricchissimo ed eccentrico John du Pont, interpretato
da Steve Carell, e i fratelli Mark e Dave Schultz, sullo schermo Mark
Ruffalo e Channing Tatum, lottatori entrambi vincitori dell’oro
olimpico. Du Pont ingaggia Mark, che versa in un periodo di difficoltà,
perché si trasferisca nella sua proprietà e si alleni per le Olimpiadi
di Seoul con il nuovo “Team Foxcatcher” e tra i due si instaura un
legame ambiguo. Il miliardario coinvolge Mark in abitudini pericolose,
tradisce la sua confidenza e lo spinge in una spirale di
autodistruzione. Sarà l’arrivo di Dave, il fratello più famoso e
celebrato che raggiunge la squadra, a spezzare questo fragilissimo
equilibrio. Du Pont, che ormai mostra evidenti segni di squilibrio
mentale, finisce per ucciderlo. Sarà condannato a 13 anni e morirà in
carcere nel 2010.
(nella foto una scena del film)
Daniela Gross
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israele
La calma da ristabilire
Fermato
prima che potesse colpire, prima che potesse emulare gli attentatori di
Tel Aviv e di Gush Etzion e accoltellare qualche ignaro passante. Nella
notte, un giovane 17enne di Ramallah è stato bloccato dalla polizia nei
pressi dell’insediamento di Dolev. Portava con sé un coltello.
Interrogato dagli agenti, ha confessato il suo piano: dirigersi a
Gerusalemme via autostop e, una volta nella capitale, accoltellare il
guidatore di un autobus. Li chiamano “lupi solitari”, attentatori
improvvisati che agiscono individualmente, istigati dalla propaganda
palestinese contro Israele e gli ebrei ma autonomi nel pianificare le
proprie azioni terroristiche. Per questo più imprevedibili. A farne le
spese lunedì due ventenni, Dalia Lemkus e Almog Shiloni, uccisi dalla
mano dell’odio. Agli attentanti è seguita un’inevitabile stretta sulla
sicurezza, con l’ampio dispiegamento di forze da parte di Israele in
particolare nell’area della West Bank. A Gerusalemme, il giro di vite
intanto sembra aver dato i suoi frutti, dopo le turbolente settimane
con il Monte del Tempio al centro della contesa e della rabbia.
“Secondo le mie valutazioni si può già avvertire una situazione diversa
in città”, ha dichiarato il capo della polizia Yochanan Danino questa
mattina, rivelando un cauto ottimismo. Contemporaneamente il ministro
degli Interni Yitzhak Aharonovich ha sottolineato come ci sia stato un
drastico abbassamento delle violenze negli ultimi giorni nella Capitale
israeliana, riferendosi alle proteste legato al luogo sacro per ebrei e
musulmani. Aharonovich ha anche avvertito che l’ondata di terrorismo
non si è conclusa ma che “non permetteremo ai terroristi di cambiare lo
status quo del Monte del Tempio”.
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Europa ebraica Moishe House, la vita condivisa Lo
squillo ritmato e gocciolante di Skype e dall’altra parte dello schermo
compaiono facce sorridenti e una cucina dall’atmosfera familiare. È la
vigilia di Sukkot, gli inquilini di Moishe House Moscow hanno appena
finito di costruire la Sukkah per la festa e ora si dedicano a friggere
le latkes, frittelle di patate tipiche della cucina ashkenazita.
“Profumo eccezionale” assicurano Anna, Anna e Daria. Sono loro le
attuali abitanti della dimora affiliata all’organizzazione che, nata in
California nel 2006, conta oggi oltre sessanta case, di cui una
quarantina negli Stati Uniti e le altre sparse nei cinque continenti.
“Un’organizzazione internazionale e pluralista, che fornisce esperienze
ebraiche ricche di significato ai giovani” si presenta Moishe House sul
suo sito internet. A offrire qualche dettaglio ulteriore sui suoi
principi cardine è Jeremy Borovitz, americano, 27 anni, direttore
europeo per l’educazione ebraica, in Russia per un giro dei quattro
centri affiliati, dalla capitale a Khabarovsk, estremità orientale del
paese, 30 chilometri in linea d’aria dalla Cina. “Tipicamente, dentro
ogni Moishe House vivono dai tre ai cinque giovani fra i 20 e i 30 anni
di ogni tipo di background ebraico, che ricevono supporto economico per
coprire le spese di affitto e in cambio si impegnano ad aprire le porte
alla comunità, offrendo eventi e momenti di aggregazione di diverso
genere” sottolinea, specificando pure che le case, solitamente
appartamenti, non sono di proprietà, ma vengono appositamente
affittate. “Generalmente, l’organizzazione non possiede immobili, e
questo consente la massima flessibilità, compreso il fatto che noi
membri dello staff viviamo davvero in tutto il mondo, dagli Stati Uniti
a Gerusalemme”. La vocazione internazionale è davvero evidente dando
uno sguardo alla geografia dei centri aperti, da Pechino a Cape Town.
Rossella Tercatin, Europa Ebraica novembre 2014
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Setirot
- Chi semina odio |
Può
un ebreo la cui immagine del profilo Facebook lo ritrae con tallèd e
tefillìn scrivere di un altro ebreo che non la pensa come lui «Me lo
dicesse mentre entra nella bocca di un forno crematorio come mia
nonna!!!»? A luglio scorso – in piena guerra di Gaza – mi permisi di
formulare da queste colonne un accorato appello ai nostri rabbanìm e a
chi autorevolmente può rivolgersi a tutti noi affinché cercassero di
fermare la dilagante aggressività “intraebraica” che montava sui social
network. Da quell’appello sono passati molti mesi e il quadro – come
dimostra la frase iniziale di questa rubrica – è rimasto immutato nella
sua desolazione. Anzi, per certi aspetti è peggiorato. Le crociate non
si limitano più a chi ha idee differenti dalle proprie, ma si estendono
a chi si presume che forse potrebbe avere idee diverse (anche se non le
esprime né le ha mai espresse). Un piccolo mondo impazzito che ha perso
la consapevolezza del limite e calpesta, a mio avviso, molti valori
fondanti. Tutto ciò ha un senso?
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - Imbarazzi |
Sulla
sua pagina Facebook, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha
postato il video di saluto per il raduno delle federazioni ebraiche del
Nord America. Non so se in Italia per un Congresso Ucei avremo mai il
privilegio di un saluto del primo ministro israeliano, ma sorge il
dubbio che, nel caso questa opportunità si verificasse, non tutti
sarebbero felici di questa eventualità. Ci sarebbero i distinguo legati
più alle posizioni politiche di Netanyahu che al suo ruolo
istituzionale. Insomma per parte dell’ebraismo italiano sarebbe troppo
complicato giustificarne il saluto e il legame con un leader che parte
dell’opinione pubblica italiana considera inadeguato, come se fosse
questo il parametro con cui giudicarlo. Consoliamoci allora con la
realtà, per ora il saluto non ci sarà e parte della dirigenza ebraica
non avrà nulla da cui discolparsi.
Daniel Funaro
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