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13 novembre 2014 - 20 Cheshvan 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Il Midràsh racconta che Rabbì Akivà, mentre faceva lezione, si accorse che il pubblico si stava assopendo; per svegliarlo, disse: “Come mai Estèr ha regnato su centoventisette province? Perché per la pronipote di Sara, che ha vissuto centoventisette anni, era opportuno regare su centoventisette province!”. Questo episodio suscita qualche domanda. Innanzitutto, dov’è il legame tra Sara ed Estèr, al di là della mera discendenza (ma allora il riferimento poteva essere fatto con qualunque donna ebrea)?
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Tempi duri per il nuovo ordine mondiale. Obama ha preso una sonora batosta alle elezioni intermedie. Hollande in Francia ai minimi storici. In Catalogna venti di secessione. Guerra fra separatisti russi e Ukraina. Scaramucce belliche fra Armenia e Azerbaijan. Semifallite le trattative per la denuclearizzazione dell’Iran. Continuano i rapimenti di giovani cristiane in Nigeria. Rivolta militare in Burkina Faso. Le bombe di Hamas impediscono al primo ministro palestinese e al presidente dell’OLP di visitare Gaza. Atti di terrorismo a Gerusalemme, Tel Aviv, in Cisgiordania, disordini nelle città arabe di Israele, repressione da parte della polizia, provocazioni da parte di zeloti ebrei.
 
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Roma - Oggi alle 17.30, presso lstituto Luigi Sturzo in via delle Coppelle 35, la presentazione del libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri "Vincere e vinceremo! Gli italiani al fronte, 1940-1943" (ed. il Mulino)
 
 
Israele, aumenta la paura
Cresce la preoccupazione in Israele dopo che, a poche ore di distanza, è stata incendiata una moschea vicino a Ramallah e dei molotov hanno colpito una sinagoga a Shfaram, in Galilea. Fiamma Nirenstein scrive sul Giornale: “La simmetria dei due episodi di violenza di ieri in Israele disegna il peggiore degli incubi: la guerra di religione, peggiore del conflitto territoriale che forse, poi, alla fine, può presupporre una soluzione il cui logoro slogan è due Stati per due popoli”. La polizia indaga sull’incendio della moschea, ma “il sindaco sindaco Faraj al Naassaneh, è sicuro della colpevolezza dei membri di un gruppo fuori legge chiamato ‘Price tag’, un nome che vuole indicare il prezzo del danno portato dal governo israeliano quando sgombera e distrugge gli insediamenti illegali, ma anche quello degli attacchi arabi alla popolazione israeliana”. Il capo del consiglio regionale della Samaria Gershon Mesika ricorda invece come già in episodi passati il fuoco era stato appiccato da un residente arabo per procurare una provocazione. Intanto da un articolo su Israel Forbes, emerge l’inquietante notizia che Hamas è l’organizzazione terroristica più ricca del mondo dopo l’Isis, disponendo di un miliardo di dollari. “Il denaro – scrive Nirenstein – arriva dai fondi dei donor (fra cui anche l’Unione europea e gli Stati Uniti) che non si riesce a controllare, dal Qatar e dall’Iran e – secondo le fonti di Forbes – dai traffici illegali, compreso quello della droga. I donor, subito dopo la guerra, hanno promesso 4 miliardi di aiuti, ma dove andranno se non nelle tasche di Hamas? Se si guarda alla popolazione di Gaza, in stato di miseria e sofferenza, e si compara ai fondi di Forbes, si capisce dove finiscono i fondi per Gaza”.

La sinagoga colpita dai molotov, ricorda Avvenire, è “a Shfaram, villaggio della Galilea a maggioranza araba”. Un luogo che era diventato “esempio di convivenza quando, pochi mesi fa, è stato ridipinto da giovani arabi e israeliani, insieme, nell’ambito di una iniziativa condivisa contro l’intolleranza”. “I danni materiali – conclude – sono stati lievi. Evidenti quelli simbolici”.

 
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  davar
qui berlino - la conferenza osce
Antisemitismo: tolleranza zero

da Berlino, Roma, Parigi, Madrid
Lotta senza cedimenti e senza ambiguità alla minaccia antisemita, ma anche ferma opposizione a quei movimenti che cercano di manipolare in una stagione di crisi la pubblica opinione utilizzando le leve del populismo e della sfiducia. La prima missione all’estero del nuovo ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha coinciso a Berlino con la sessione conclusiva della conferenza convocata nella capitale tedesca dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa per celebrare i dieci anni della dichiarazione contro l’antisemitismo e per valutare i nuovi strumenti da adottare contro la minaccia antisemita. Dopo un intenso vertice con il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier, cui hanno partecipato anche i ministri degli esteri di Francia Fabius e di Spagna Margallo, il rappresentante della Farnesina ha ascoltato il collega proprio nell’atteso discorso di apertura della conferenza Osce. È stata un’occasione per ribadire l’impegno comune delle realtà protagoniste del processo di integrazione europea nel difendere quei valori di democrazia, integrazione, pluralismo e rispetto per le minoranze che l’Europa uscita dal Secondo conflitto mondiale ha posto a caposaldo della propria dignità e del proprio progresso.
In un discorso di estrema durezza e di estrema chiarezza Steinmeier, che aveva avuto modo precedentemente di confrontarsi con i rappresentanti di diversi paesi partner, ha ribadito l’impegno annunciato dalla Cancelliera Angela Merkel solo poche settimane fa sotto la Porta di Brandeburgo: in Germania qualunque manifestazione di antisemitismo troverà tolleranza zero. “Non c’è alcun posto – ha affermato – nella nostra società per chi minaccia con azioni e con manifestazioni propagandistiche la sicurezza dei cittadini ebrei e delle istituzioni ebraiche e spera in questo modo di suscitare gli orrori del passato, Così come non c’è spazio per chi cercando di sfruttare la crisi mediorientale spera di mascherare le proprie azioni antisemite sotto la copertura di un preteso dissenso alle azioni del governo israeliano”. Ma al di là del fermo impegno il rappresentante del governo tedesco ha messo sul tavolo anche dati di fatto: a fronte di una rinascente minaccia antisemita la Germania fa segnare oggi il più alto tasso di crescita ebraica al mondo ed è divenuta la casa di una comunità ebraica che torna a mettere radici proprio lì da dove la si voleva cancellare. Fra i dati posti in evidenza dal ministro tedesco anche la forte ascesa di una formazione rabbinica utile fra l’altro anche a coprire l’esigenza di restituire guide spirituali alla frammentata presenza ebraica nell’Est Europa. Gli hanno fatto eco il Presidente della confederazione Svizzera e presidente di turno dell’Ocse Didier Burkhalter, che ha messo fortemente l’accento sulla necessità di preservare la Memoria ed educare le nuove generazioni, e il direttore dell’Ufficio Ocse per le Istituzioni democratiche e i diritti umani Michael Georg Link.
Il rappresentante permanente del governo statunitense alle Nazioni Unite Samantha Power ha ribadito in un appassionato intervento l’impegno Usa su un fronte da sempre caro alla politica nazionale e internazionale degli Stati Uniti, ma ha anche sottolineato l’importanza di un impegno a tutto campo delle istituzioni ebraiche non più e non solo rinchiuse in un’attitudine difensiva, ma pronte a mettere a disposizione dell’intera società, soprattutto delle realtà più deboli e più minacciate, la propria esperienza e i propri valori.
Accanto al ministro degli Esteri di Roma una importante delegazione italiana ha preso parte ai lavori della conferenza che è incaricata nella giornata conclusiva di elaborare un documento di sintesi per tracciare la strada di come combattere l’antisemitismo in una società che cambia rapidamente. Con il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach erano presenti fra l’altro anche la delegata dell’Unione giovani ebrei italiani Talia Bidussa, l’esponente del World Jewish Congress e del Bene Berith Europa Daniel Citone, la rappresentante a Roma dell’American Jewish Committee Lisa Palmieri Billig.


(nella foto l'incontro tra il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier e il ministro degli Estreri italiano Paolo Gentiloni)
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il rapporto dell'osservatorio cdec - ucei 
Negazionismo e complottismo inquinano la politica italiana
Luce e analisi sulle attività negazionistiche registrate in questi ultimi anni in Italia, sulle iniziative legislative in discussione per contrastare il fenomeno e sul fermo impegno delle istituzioni dell’ebraismo italiano per denunciare le azioni di propaganda criminale, così come le derive populistiche stimolate dalla crescita di movimenti che cercano di cavalcare e strumentalizzare la protesta sociale. La situazione è stata illustrata nel quadro della Conferenza Osce dall’Osservatorio antisemitismo animato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. In un dettagliato rapporto presentato dal ricercatore dell’Osservatorio Stefano Gatti la situazione italiana è stata presentata in molti suoi elementi di inquietudine e di contraddizione. Il rapporto depositato alla conferenza di Berlino contiene anche una dettagliata illustrazione dei segnali di delirio complottistico, cospirativismo e tentativo di banalizzazione della Shoah cresciuti soprattutto nel territorio dove agisce il movimento 5 Stelle. Il rapporto consente anche una rilettura in prospettiva delle puntuali reazioni di denuncia emesse dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di questa allarmante deriva che inquina la vita politica italiana.

(nella foto il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier durante il suo intervento)
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il progetto UCEI - cdec
Monitorare l'antisemitismo
Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano insieme per una iniziativa mai così attuale: Osservatorio Antisemitismo, un servizio informativo e di consulenza che monitora e studia il fenomeno dell’antisemitismo, diretto dalla sociologa Betti Guetta con la collaborazione di Stefano Gatti. Era il 1975 quando il Cdec fondava l’Archivio del pregiudizio antiebraico; si passa al 2006 con la pubblicazione del sito Osservatorio antisemitismo, arricchito di preziosi contributi per chi volesse fare ricerca attraverso articoli e notizie dalla stampa nazionale ed estera. Viene inoltre inviata a cadenza periodica una newsletter nella quale gli utenti possono consultare “testi di leggi di contrasto elaborati e approvati da vari paesi, studi sulla situazione dell’antisemitismo nei paesi europei e extraeuropei, risultati di sondaggi di opinione e indagini demoscopiche”. Un laboratorio nel quale poter analizzare le diverse facce dell’antisemitismo contemporaneo e le nuove minacce dal web. E se osservare la matrice delle discriminazioni è fondamentale, lo è altrettanto il progetto Antenna Antisemitismo lanciato quest’anno: un centralino (telefonando al 0233103840 o compilando un modulo online) per denunciare eventuali episodi di odio o intolleranza. Due finestre aperte e necessarie per tenere alta l’attenzione su un fenomeno in preoccupante crescita.
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J-Ciack
"Foxcatcher", questioni di naso
Se si aggiudica l’Oscar, Steve Carell potrebbe diventare il quarto vincitore con un naso finto: dopo Robert De Niro in “Toro scatenato”, Nicole Kidman in “The Hours” e Jose Ferrer in “Cyrano de Bergerac”. La notizia non è di quelle che lasciano il segno, ma ha guadagnato i suoi bravi titoli sui giornali americani. Non a caso, perché reso irriconoscibile da un naso ben pronunciato, Steve Carell debutta questo fine settimana sugli schermi statunitensi. Il film è “Foxcatcher” di Bennett Miller, dramma psicologico ispirato a un terribile fatto di cronaca accaduto nel 1996 che molti danno tra i favoriti nella corsa all’Academy Award. Al centro della vicenda, lo strano rapporto che s’instaura tra il ricchissimo ed eccentrico John du Pont, interpretato da Steve Carell, e i fratelli Mark e Dave Schultz, sullo schermo Mark Ruffalo e Channing Tatum, lottatori entrambi vincitori dell’oro olimpico. Du Pont ingaggia Mark, che versa in un periodo di difficoltà, perché si trasferisca nella sua proprietà e si alleni per le Olimpiadi di Seoul con il nuovo “Team Foxcatcher” e tra i due si instaura un legame ambiguo. Il miliardario coinvolge Mark in abitudini pericolose, tradisce la sua confidenza e lo spinge in una spirale di autodistruzione. Sarà l’arrivo di Dave, il fratello più famoso e celebrato che raggiunge la squadra, a spezzare questo fragilissimo equilibrio. Du Pont, che ormai mostra evidenti segni di squilibrio mentale, finisce per ucciderlo. Sarà condannato a 13 anni e morirà in carcere nel 2010.


(nella foto una scena del film)

Daniela Gross
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israele
La calma da ristabilire

Fermato prima che potesse colpire, prima che potesse emulare gli attentatori di Tel Aviv e di Gush Etzion e accoltellare qualche ignaro passante. Nella notte, un giovane 17enne di Ramallah è stato bloccato dalla polizia nei pressi dell’insediamento di Dolev. Portava con sé un coltello. Interrogato dagli agenti, ha confessato il suo piano: dirigersi a Gerusalemme via autostop e, una volta nella capitale, accoltellare il guidatore di un autobus. Li chiamano “lupi solitari”, attentatori improvvisati che agiscono individualmente, istigati dalla propaganda palestinese contro Israele e gli ebrei ma autonomi nel pianificare le proprie azioni terroristiche. Per questo più imprevedibili. A farne le spese lunedì due ventenni, Dalia Lemkus e Almog Shiloni, uccisi dalla mano dell’odio. Agli attentanti è seguita un’inevitabile stretta sulla sicurezza, con l’ampio dispiegamento di forze da parte di Israele in particolare nell’area della West Bank. A Gerusalemme, il giro di vite intanto sembra aver dato i suoi frutti, dopo le turbolente settimane con il Monte del Tempio al centro della contesa e della rabbia. “Secondo le mie valutazioni si può già avvertire una situazione diversa in città”, ha dichiarato il capo della polizia Yochanan Danino questa mattina, rivelando un cauto ottimismo. Contemporaneamente il ministro degli Interni Yitzhak Aharonovich ha sottolineato come ci sia stato un drastico abbassamento delle violenze negli ultimi giorni nella Capitale israeliana, riferendosi alle proteste legato al luogo sacro per ebrei e musulmani. Aharonovich ha anche avvertito che l’ondata di terrorismo non si è conclusa ma che “non permetteremo ai terroristi di cambiare lo status quo del Monte del Tempio”.
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Europa ebraica
Moishe House, la vita condivisa
Lo squillo ritmato e gocciolante di Skype e dall’altra parte dello schermo compaiono facce sorridenti e una cucina dall’atmosfera familiare. È la vigilia di Sukkot, gli inquilini di Moishe House Moscow hanno appena finito di costruire la Sukkah per la festa e ora si dedicano a friggere le latkes, frittelle di patate tipiche della cucina ashkenazita. “Profumo eccezionale” assicurano Anna, Anna e Daria. Sono loro le attuali abitanti della dimora affiliata all’organizzazione che, nata in California nel 2006, conta oggi oltre sessanta case, di cui una quarantina negli Stati Uniti e le altre sparse nei cinque continenti. “Un’organizzazione internazionale e pluralista, che fornisce esperienze ebraiche ricche di significato ai giovani” si presenta Moishe House sul suo sito internet. A offrire qualche dettaglio ulteriore sui suoi principi cardine è Jeremy Borovitz, americano, 27 anni, direttore europeo per l’educazione ebraica, in Russia per un giro dei quattro centri affiliati, dalla capitale a Khabarovsk, estremità orientale del paese, 30 chilometri in linea d’aria dalla Cina. “Tipicamente, dentro ogni Moishe House vivono dai tre ai cinque giovani fra i 20 e i 30 anni di ogni tipo di background ebraico, che ricevono supporto economico per coprire le spese di affitto e in cambio si impegnano ad aprire le porte alla comunità, offrendo eventi e momenti di aggregazione di diverso genere” sottolinea, specificando pure che le case, solitamente appartamenti, non sono di proprietà, ma vengono appositamente affittate. “Generalmente, l’organizzazione non possiede immobili, e questo consente la massima flessibilità, compreso il fatto che noi membri dello staff viviamo davvero in tutto il mondo, dagli Stati Uniti a Gerusalemme”. La vocazione internazionale è davvero evidente dando uno sguardo alla geografia dei centri aperti, da Pechino a Cape Town.


Rossella Tercatin, Europa Ebraica novembre 2014
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  pilpul
Setirot - Chi semina odio
Può un ebreo la cui immagine del profilo Facebook lo ritrae con tallèd e tefillìn scrivere di un altro ebreo che non la pensa come lui «Me lo dicesse mentre entra nella bocca di un forno crematorio come mia nonna!!!»? A luglio scorso – in piena guerra di Gaza – mi permisi di formulare da queste colonne un accorato appello ai nostri rabbanìm e a chi autorevolmente può rivolgersi a tutti noi affinché cercassero di fermare la dilagante aggressività “intraebraica” che montava sui social network. Da quell’appello sono passati molti mesi e il quadro – come dimostra la frase iniziale di questa rubrica – è rimasto immutato nella sua desolazione. Anzi, per certi aspetti è peggiorato. Le crociate non si limitano più a chi ha idee differenti dalle proprie, ma si estendono a chi si presume che forse potrebbe avere idee diverse (anche se non le esprime né le ha mai espresse). Un piccolo mondo impazzito che ha perso la consapevolezza del limite e calpesta, a mio avviso, molti valori fondanti. Tutto ciò ha un senso?

Stefano Jesurum, giornalista
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Time out - Imbarazzi 
Sulla sua pagina Facebook, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha postato il video di saluto per il raduno delle federazioni ebraiche del Nord America. Non so se in Italia per un Congresso Ucei avremo mai il privilegio di un saluto del primo ministro israeliano, ma sorge il dubbio che, nel caso questa opportunità si verificasse, non tutti sarebbero felici di questa eventualità. Ci sarebbero i distinguo legati più alle posizioni politiche di Netanyahu che al suo ruolo istituzionale. Insomma per parte dell’ebraismo italiano sarebbe troppo complicato giustificarne il saluto e il legame con un leader che parte dell’opinione pubblica italiana considera inadeguato, come se fosse questo il parametro con cui giudicarlo. Consoliamoci allora con la realtà, per ora il saluto non ci sarà e parte della dirigenza ebraica non avrà nulla da cui discolparsi.

Daniel Funaro
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