
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Negli
ultimi giorni quanto si è parlato di muri, di barriere, di separazioni
e quante condanne e giudizi negativi abbiamo espresso contro di essi. I
muri separano, le barriere allontanano, le siepi dividono. Tutti
abbiamo invocato o siamo stati zitti quanto altri hanno invocato per
noi, “un mondo senza barriere”. Al di là del fatto che il populismo di
questa invocazione ha nella Storia centinaia di fallimenti, questa
stessa invocazione è ipocrita quanto discutibile. Ed ecco che
personalmente vengo ad elogiare le barriere, non a seppellire
l’uguaglianza tra i popoli e le persone, ma a lodare la difesa che le
barriere offrono. La difesa della vita, quando si tratta di una
barriera contro il terrorismo, ma anche la difesa della privacy di una
persona, del cerchio dei suoi affetti, del limite tra il pubblico e
privato, tra ciò che va offerto e ciò che va preservato.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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La
complessità del conflitto in Siria e in Iraq travolge schieramenti
consolidati e mette in discussione certezze che parevano granitiche. Il
Medio Oriente sta cambiando fisionomia, i confini inventati dopo la
fine della Grande Guerra non esistono più (se mai hanno avuto un
significato) e la prima vittima di tutto questo sembra essere la
coerenza di numerosi attori, fuori e dentro la regione. Partono dal
Veneto i giovani dei centri sociali, destinazione Kobane. Un campo di
solidarietà per attestare la loro vicinanza a chi combatte “contro i
fascisti dell’ISIS e contro il governo turco”. Sono gli stessi – per
intenderci – che qualche anno fa inneggiavano alla Flotilla che
veleggiava in direzione di Gaza, sponsorizzata dallo stesso governo
turco che supportava il regime islamista di Hamas.
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Ghetto di Venezia,
al via il restauro
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“La
scadenza è tassativa: il 2016. Una corsa contro il tempo per trovare
dodici milioni di dollari e per completare i lavori di restauro del
Ghetto di Venezia, uno dei più antichi d’Europa, in vista delle
celebrazioni del cinquecentenario dalla disposizione del Governo della
Serenissima di confinare gli ebrei in una zona circoscritta della città
lagunare”, questo l’incipit di Veronica Tuzii sul Corriere del Veneto
che introduce la raccolta fondi lanciata da Venetian Heritage,
organizzazione no profit con sede a New York e Venezia. Un’iniziativa
che ha l’appoggio del presidente della Comunità ebraica di Venezia
Paolo Gnignati e vede impegnati nell’impresa degli sponsor d’eccezione:
“L’immobiliarista Joseph Sitt, nota stilista Diane von Furstenberg e
Toto Bergamo Rossi, rispettivamente presidente, vicepresidente e
direttore del Venetian Heritage Council”. Un piano di ristrutturazione
ambizioso e studiato con attenzione che coinvolgerà: “una compagine
cosmopolita di progettisti, architetti e designer, che lavoreranno
sotto la supervisione della Soprintendente per i Beni Architettonici e
Paesaggistici di Venezia Renata Codello, per il risanamento di tre
delle cinque sinagoghe ancora esistenti nel Ghetto di Venezia (nel 1719
erano ben nove), ovvero la Scuola Grande Tedesca, la Scuola del Canton
e la Scuola Italiana, edifici cinquecenteschi tanto sobri all’esterno
quanto sontuosi all’interno”. Ha dichiarato infine von Furstenberg:
“Questa iniziativa è dedicata a preservare il passato della comunità
veneziana ed ebraica, assicurando alle generazioni future l’accesso per
altri 500 anni a queste testimonianze di cultura umana e di progresso”.
Sempre sul Corriere del Veneto, Fabio Bozzato disegna un viaggio
nell’antico ghetto, ritraendo gli abitanti: “Aveva 12 anni la signora
Palmira quando ha cominciato a lavorare nel panificio di Giovanni
Volpe, aperto nel 1954. Ora ne ha 60 e con un sorriso sfoggia pagnotte
e pasticcini kosher”. Si passa poi, dalla comunità Lubavitch, alla
galleria d’arte Ikona: “Ziva Krauss l’ha fondata nel 1979 ma è solo dal
2003 che l’ha portata in Ghetto Nuovo. Dedicata alla fotografia, ora
ospita David Weber, un giovane veneziano di base a Parigi. ‘Era una
vecchia falegnameria, in condizioni disastrose. Allora non c’erano
tutte queste attività né il fiume Lo studioso È il primo Ghetto ma a
differenza di Roma, la Serenissima non ha mai annichilito gli ebrei di
turisti’. Il Ghetto è un luogo che da 500 anni cambia continuamente.”
Un percorso che si conclude con le parole del rabbino capo Scialom
Bahbout che racconta di come abbia trovato una comunità ebraica vivace
e che ama le tradizioni.
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qui milano - bookcity
A Grossman le chiavi della città
Milano
riabbraccia David Grossman. Centinaia di persone si sono messe in coda
ieri per ascoltare lo scrittore israeliano, a cui Bookcity – la
rassegna milanese dedicata a libri e lettura – ha affidato
l'inaugurazione della sua terza edizione. Curiosando tra chi
pazientemente attendeva di entrare al Teatro dal Verme, si scoprono
alcuni perché del enorme successo di Grossman tra il pubblico italiano.
La delicatezza melanconica dei suoi romanzi, la capacità di esprimere e
descrivere i sentimenti umani, le parole di speranza e al contempo
dolorosa critica espresse sul Medio Oriente, sono alcune delle risposte
più diffuse. C'è anche chi non lo conosce ma ha accolto l'invito della
professoressa di andare ad ascoltarlo perché può essere una buona fonte
di ispirazione: il caso di alcuni studenti di una scuola di scrittura
creativa milanese. Ancora, c'è chi non lo conosce e non sa bene per
quale motivo si trovi lì, come il signore che tra le prime chiede alla
vicina “come che si chiama già lo scrittore che deve parlare?”. Tutti,
in ogni caso, a giudicare dal fragoroso applauso conclusivo, rimangono
conquistati da Grossman e le copie del suo ultimo libro, Applausi a
scena vuota (Mondadori), vengono prese d'assalto dal pubblico milanese.
Del resto non sarà un caso se in apertura di serata – prima
dell'intenso dialogo con il giornalista Edoardo Vigna - il sindaco
Giuliano Pisapia gli affida le chiavi della città, conferendogli il
Sigillo d'oro. Letteratura israeliana protagonista anche nel giorno di
chiusura del Festival, domenica, con un altro scrittore molto amato in
Italia, Amos Oz. Un evento organizzato dalla Comunità ebraica in
collaborazione con l'editore Giuntina con Oz ad aprire una staffetta
oratoria in una cornice molto particolare, la Sinagoga centrale di
Milano.
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qui roma - LIBRi
1940-43: gli italiani al fronte
e la propaganda fascista
Presentato
ieri all’Istituto Luigi Sturzo di Roma il libro di Mario Avagliano e
Marco Palmieri “Vincere e vinceremo!” (ed. Il Mulino). Un volume che,
attraverso fonti diverse (lettere personali, documenti istituzionali e
d’archivio), ricostruisce la vita e sentimenti degli italiani al fronte
tra 1940 e 1943. A discuterne con gli autori, Ernesto Nassi, Presidente
Anpi del Comitato Provinciale di Roma, il giornalista e scrittore
Roberto Olla e Alessandra Tarquini, docente di storia all’Università La
Sapienza. Invia il suo messaggio anche il sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio Luca Lotti: “Questa è un’opera ambiziosa e una
conquista storica. Per capire veramente la Seconda Guerra Mondiale
bisogna studiare anche le vite di coloro che combatterono dalla parte
sbagliata. I due autori hanno dimostrato una grande passione e impegno
civile e scientifico”. Vengono letti, da Rosario Tronnollone alcuni
stralci del libro, missive di soldati al fronte che inneggiano alla
guerra: “Dobbiamo vincere e vinceremo!” scrive Emilio Petrelli, e
ancora “Le madri e le spose d”Italia non devono piangere”. Ernesto
Nassi si dichiara entusiasta: “L’opera di cui parliamo oggi fa capire
davvero cosa era l’Italia quando decise di entrare in guerra. In alcune
lettere ancora si respira il senso di illusione, mentre in altre si
intuisce la progressiva crescita della consapevolezza. Mi ha colpito
rilevare il rapporto fortissimo tra alcuni soldati e i propri parroci,
ai quali indirizzavano numerose lettere e il rapporto tra gli stessi e
il duce. Scrivono continuamente: ‘se il duce scoprirà questa cosa
saranno guai!’, quando si presentavano dei soprusi. Mussolini,
nonostante la sua vita affatto cristallina, veniva sollevato da
qualsiasi responsabilità. Spero dunque che questo libro venga studiato
nelle scuole”.
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La peggiore possibile |
Più
leggo, studio, ascolto conferenze, partecipo a dibattiti a proposito
del conflitto israelo-palestinese, più mi rafforzo in una convinzione:
la soluzione due popoli – due stati è ingenua, velleitaria, di
difficile attuazione, densa di incognite, e per di più ormai poco
popolare sia tra gli israeliani sia tra i palestinesi. Indubbiamente la
peggior soluzione possibile, ad eccezione di tutte le altre soluzioni
possibili.
Anna Segre, insegnante
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Ritorno in Algeria |
Alcune
notizie dello scorsa estate riportavano l’intenzione da parte del
neo-ministro algerino Mohamed Aissa di riaprire le sinagoghe chiuse nel
paese a partire dagli anni novanta, periodo in cui l’Algeria fu
travolta dalla violenta guerra civile che coinvolse lo stato guidato
dal FLN e i gruppi islamisti, come il FIS e in seguito il GIA. Questa
dichiarazione, naturalmente accolta con le proteste degli islamisti più
radicali, oltre forse a significare una presa di distanza dal diffuso
antisemitismo/antisionismo dei paesi arabi – nonostante l’Algeria non
accetti neppure i possessori di passaporto israeliano – parrebbe quasi
nel clima attuale, una battuta di spirito. Non è del tutto noto, se in
Algeria, sia rimasto ancora qualche ebreo praticante, visto che la
maggioranza di essi, circa 150.000 prima dell’indipendenza, ha seguito
la via del “rimpatrio” in Francia nel 1962 assieme ai pieds-noirs, o ha
preferito l’Aliyah in Israele, e gli ultimi rimasti partirono tra il
1971 e i fatidici primi anni ’90.
Francesco Moises Bassano, studente
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Venezia è come il Talmud |
La
pianta di una città può essere come una pagina di Talmud? È di questo
avviso l’artista Jacqueline Nicholls, che nei suoi disegni, realizzati
durante il suo recente soggiorno a Venezia, lo mostra nitidamente:
isole divise dall’acqua come i testi da spazi vuoti. Per conoscerli
servono ponti, reali o ideali.
Ilana Bahbout
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