Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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"…In
fondo l’Europa ha ancora da fare i conti con quella Memoria. Che non è
degli ebrei perché gli ebrei ci hanno messo ‘soltanto’ i morti in
questa storia.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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In
questo periodo che precede il Giorno della Memoria vorrei ricordare la
riflessione di una brava storica, appassionata ricercatrice, che si è
dedicata per tanto tempo alla didattica della Shoah e che ancora
avrebbe avuto molto da dirci se non ci avesse lasciati prematuramente
tre anni fa.
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Stato palestinese,
salta il voto
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Salta il voto previsto per oggi alla Camera del Deputati sul riconoscimento dello Stato palestinese.
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a colloquio con la scrittrice Daša Drndić
"Chiamo a raccolta tutti i nomi degli ebrei che non tornarono"
Esce
in questi giorni nelle librerie italiane "Sonnenschein - Trieste"
(Bompiani editore), il grande romanzo della scritrice croata Daša
Drndić che contiene i nomi di tutti gli ebrei italiani deportati
durante la Shoah. Un libro di memorie e Memoria che le stessa autrice
definisce "un pugno nello stomaco" e molta critica internazionale ha
visto come un capolavoro. Pagine Ebraiche di febbraio, da oggi in
distribuzione, pubblica una grande intervista alla scrittrice e molti
altri articoli dedicati al suo lavoro.
Il suo primo gesto, al nostro incontro, è anche un brutale atto di
lacerazione. Una copia dell’edizione curata dal suo coraggioso editore
di Zagabria di Sonnenschein,
il grande romanzo che ora appare finalmente in edizione italiana e che
ha fatto parlare di un capolavoro dei nostri tempi e di un modo nuovo
di raccontare la Memoria, assume una dimensione inattesa. Non è un
vezzo o un artificio se il testo è interrotto, nel bel mezzo delle sue
520 pagine, da una interminabile lista di nomi. Uno dopo l’altro
appaiono i nomi di tutti gli ebrei italiani che dalla Shoah non hanno
fatto ritorno. La lettura inciampa inevitabilmente in un macigno
piazzato nel bel mezzo. L’occhio prende la rincorsa per saltare la
lista, poi finisce per scorrerla ordinatamente, quasi un omaggio, una
misura della sofferenza, infine cede alla tentazione di controllare la
presenza di nomi conosciuti, di persone care, di specifiche identità
cancellate di cui qualcosa portiamo dentro. Queste cento pagine
piantate nel cuore del libro ti prendono a tradimento, ci sbatti
contro, poi cerchi di girarci attorno in qualche modo, quasi fossero un
muro. Daša Drndić apre l’edizione originale di Sonnenschein. Il suo
editore porta un nome che lascia il segno: Fraktura. Ha fatto di tutto
per farla contenta e la lista dei nomi prende una corporeità che
nessuno, da Gallimard, a Houghton Mifflin Harcourt a Bompiani, ha avuto
il coraggio di ritentare. I nomi scolpiti lì fra le pagine, sono
stampati su fogli che hanno una fragilità, fanno parte della
rilegatura, ma alla saldatura con le altre pagine la carta è lievemente
forata.
In altri suoi romanzi è posta la tragica lista completa, nome per nome,
di una intera categoria di persone sterminate. Ma in questo caso,
quando si è trattato di elencare ogni nome degli ebrei italiani morti
nella Shoah, ha voluto che le pagine fossero fustellate. Una lista che
sta qui per disturbare, proclama il libro, se ti dà fastidio puoi anche
toglierla di mezzo, perché come vedi queste pagine non sono come le
altre, le puoi strappare, le puoi escludere, le puoi mettere da un
canto.
Splende il sole sulla pietra bianca d’Istria e il corso di Fiume, a
pochi passi dalla riva destra della Recina, il gagliardo corso d’acqua
che segna per sempre il destino diviso e ferito d’Europa, e dall’apice
azzurro del Mediterraneo, si dipana quasi spensierato. Senza aggiungere
una parola Daša Drndić apre il libro. Ora non sfoglia più, ma afferra
quelle pagine, le lacera alla radice, separandole dalle altre.
“Ecco, è stata questa la Shoah e questa deve essere la Memoria”. Eppure
il libro sbilenco che mi restituisce, una volta rimossa quella lista di
nomi non ritrova la sua coerenza letteraria, la bella rilegatura si
sfalda sciancata, le altre pagine perdono la sequenza, l’ordine violato
delle cose sprofonda. Lo strappo è insanabile, la rilegatura non potrà
più essere guarita.
“Questa è stata la Shoah – commenta la scrittrice che ha ancora in mano
i fogli sparsi – e questa deve essere la Memoria. La Shoah non è stata
solo una storia come un’altra di violenza, di bestialità. Ma molto
peggio, è stato il progetto di cancellare dalla nostra società un
elemento fondamentale. È per questo che niente può più essere come
prima e la rilegatura strappata della nostra vita porta per sempre il
segno dello sfregio, non riesce più a stare assieme.
Sonnenschein,
che nell’edizione italiana esce ora da Bompiani con il titolo Trieste,
lo stesso scelto dall’editore americano, ha sorpreso e disorientato
molti lettori. Grande Storia e piccole, piccolissime storie di fondono
in un turbine che disorienta e ferisce.
Sonnenschein è un
romanzo, non è un libro di storia. Ma è un romanzo che ha a che fare
con la Storia. La Storia che facciamo studiare nelle università è
diversa da quella che è composta di microscopici frammenti, dei piccoli
destini delle singole persone, delle cose minime e quotidiane e delle
vite di ciascuno di noi. Ho cercato di raccontare alcuni dei pezzi
mancanti, di tutti quei frammenti che ci aiutano a rendere omaggio alla
sofferenza della gente che ha attraversato i drammi del Novecento.
Ma questo è stato già fatto mille e mille volte. Era necessario un nuovo romanzo?
È stato fatto percorrendo la via della ricostruzione, del racconto
oggettivo, della razionalità. Mettendo a fuoco i grandi fattori che
fanno la storia. In Sonnenschein ho voluto che fossero i frammenti
minimi della vita a raccontare la storia non l’epica e l’analisi
oggettiva della vita.
E le mille citazioni, i
frammenti triviali, apparentemente insignificanti, che emergono
continuamente nel fiume in piena del racconto? La critica
internazionale, che ha gridato al capolavoro, non è riuscita a
spiegarlo appieno, anche se molti hanno evocato le modalità narrative
di autori come Winfried Sebald, la tecnica del caleidoscopio che prende
le mosse dalle briciole, dai frammenti più insignificanti delle vicende
umane e li fa lievitare, li fa convergere fino a ricomporre un quadro
finale.
Molti hanno parlato di Sebald. Potrei dire di sentirmi più vicina a
Thomas Berhardt. E sicuramente all’uomo che più ho amato, lo scrittore
serbo Danilo Kis. Lui mi ha fatto scoprire che cos’è la lettera- tura e
che cosa ci stanno a fare gli ebrei. La mia speranza non era quella di
salire in cattedra per insegnare la storia al lettore, era quella di
dare al lettore un pugno nello stomaco. E per fare questo è necessario
partire dalla sua vita reale. La peggiore menzogna che possiamo dire
sulla Shoah è che si tratta di una storia lontana da noi, di qualcosa
che appartiene al passato e non al presente.
Raccontare la vita degli ebrei costituisce un passo necessario nel suo intento?
La vita ebraica è molto vicina alla mia vicenda di persona, ma il mio
desiderio non è mai stato quello di scrivere un libro sugli ebrei. Il
mio desiderio è stato quello di scrivere un libro sul fascismo. E non è
possibile raccontare cosa è stato e cosa è il fascismo senza evocare la
vita degli ebrei.
Molti hanno notato un
forte contrasto fra una contestualizzazione minuziosa, la Venezia
Giulia dei terribili anni di annessione nazista e la superficialità che
amalgama in un turbine fatti reali e frammenti minimi apparentemente
poco significativi. A cento anni dall’inizio della Prima guerra
mondiale e dallo sfaldamento del grande impero multiculturale
dell’Austria Ungheria le vicende che muovono i suoi personaggi hanno
costituito anche un itinerario in questa area d’Europa, fra Trieste,
Gorizia, Fiume, dove si incontrano e si scontrano tutte le anime
d’Europa e dove le ferite del Vecchio Continente continuano a
sanguinare a cielo aperto. Molti, da Londra, a Parigi a New York, hanno
dato mostra di scoprire solo ora, leggendo Sonnenschein, il dramma di
queste terre.
Non ho mai avuto intenzione di scrivere guide turistiche, e nemmeno un
libro di scuola. Ho cercato di rappresentare i fatti così come emergono
dai mille frammenti della vita quotidiana, dai documenti, che talvolta,
come nella nostra vita di tutti i giorni, sono autentici e talvolta no.
Di episodi microscopici e apparentemente insignificanti che uniti uno
all’altro aiutano a formare una visione del presente e del passato.
Sono trascorsi 70 anni
dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, al di là dell’intenso lavoro
documentaristico ed educativo sulla Memoria, che senso ha creare nuova
letteratura sull’argomento?
La legittimazione a parlare in modo vivo e creativo di fascismo e di
Shoah non ci deriva solo dal drammatico passato che abbiamo alle
spalle, ma anche dal nostro presente, dalla nostra quotidianità.
L’Europa che abbiamo costruito sopo la fine delle dittature e dopo la
caduta del Muro di Berlino è fragile. I suoi ideali di progresso, di
libertà, di giustizia sociale sono stati traditi. E la tentazione della
dittatura e dell’orrore resta sempre in agguato. Non siamo al sicuro e
non abbiamo il diritto di rassicurarci. Abbiamo anzi il dovere di
sorvegliare quello che avviene.
Segnali inquietanti?
Credo di poterlo dire dopo aver insegnato tanti anni nelle università,
negli Stati Uniti, in Canada e ora di nuovo in Croazia. L’ignoranza
nella quale stiamo crescendo i nostri giovani è un fenomeno molto
preoccupante. La loro incapacità di leggere davvero, la loro
superficialità sono una nostra responsabilità. La loro dipendenza
dall’elettronica e dai social network è una caricatura dell’esistenza.
La malattia e la crisi di credibilità del sistema scolastico ed
educativo rischia di portarci a un disastro. Non solo i movimenti
estremistici, le nuove destre, ma anche la totale assenza di valori
costituiscono un terreno dove l’orrore può risorgere. Per questo
Sonnenschein ci parla del passato, ma è ben radicato fra gente che
ancora oggi, in mezzo a noi, vive ferita nel presente attende di fare i
conti con il passato.
Ma
in questo romanzo c’è ben altro. La sua battaglia per una lingua viva,
caotica e rigorosa al tempo stesso. La complicità delle vittime con i
carnefici. La banalità dell’orrore. La macchina dell’informazione come
fabbrica dell’odio. La necessità di riformare la forma del romanzo.
È vero, credo che sia necessario assumersi il rischio di tentare un
cambiamento, credo che la forma del romanzo vada cambiata. E credo che
sempre in ogni nostro atto creativo dovremmo riaffermare la dignità
della vita umana. Ognuno di quei novemila nomi dell’elenco rappresenta
un libro non completato. La Storia ci ha lasciato poche soluzioni e
molti libri ancora da scrivere.
Altre pagine nel cassetto? Progetti per il futuro?
No, non ho progetti. Non sono un’economista, sono una scrittrice.
Guido Vitale
Leggi gli altri servizi dedicati a Daša Drndić
I libri di Daša Drndić - La denuncia, le ferite, le ali della speranza
Il plauso della critica
Una commistione inquietante di Anna Foa
Leggere lo scandalo della Storia di Alberto Cavaglion
Pagine Ebraiche febbraio 2015
(L'illustrazione è di Giorgio Albertini)
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QUI ROMA – L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE UCEI
“Memoria della Shoah,
una lezione per l'oggi”
"Deve
far riflettere il fatto che ancora oggi ci siano movimenti
integralisti, fondamentalisti e fanatici animati dall'odio per la vita
umana, da ricordare le ideologie criminali che hanno animato il secolo
scorso". Così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna in occasione del tradizionale incontro per il
Giorno della Memoria presso la Scuola dell'Amministrazione
dell'Interno. "La memoria della Shoah serve anche per avere coscienza
di questo", ha sottolineato il presidente dell'Unione.
Tra il folto pubblico, accolto in sala dal ministro dell'Interno
Angelino Alfano, rappresentanti delle istituzioni, funzionari dello
Stato, esponenti del mondo accademico, degli istituti di formazione
delle cinque forze di polizia, dei vigili del fuoco e delle scuole
militari insieme a classi di giovani studenti di scuole medie e
istituti superiori.
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qui torino - la mostra i mondi di primo levi
La burocrazia non ferma il treno
Già
ieri Fabio Levi, curatore della mostra “I mondi di Primo Levi – Una
strenua chiarezza” insieme a Peppino Ortoleva, e presidente del centro
studi che l’ha promossa, aveva avanzato una richiesta: “Non alziamo i
toni, non montiamo polemiche, sarebbe fare torto alla mostra. Sarebbe
fare un torto a Primo Levi, e sarebbe fare un torto anche al nostro
lavoro. Davvero, il vagone non è la cosa più importante della mostra. È
un simbolo importante, non solo visivamente, ma la nostra intenzione
non è mai stata di parlare di Auschwitz. Non solo. Dentro la Corte
Medievale di Palazzo Madama abbiamo voluto mettere tanto di più, per
ricordare, per raccontare, per pensare”.
Più tardi è arrivata la dichiarazione del ministro stesso dei Beni
Culturali, Dario Franceschini, che ha chiarito come il significato
simbolico e morale della presenza in piazza Castello del “vagone di
Primo” sia superiore a qualsiasi valutazione burocratica.
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Fingere stupidità |
Una
delle prime cose che ho imparato da insegnante era che non bisognava
mai dire ai genitori che i loro figli non erano intelligenti; meglio
dire che non studiavano, o studiavano poco. Oggi questa regola – che
appare dettata da elementare buonsenso – non sembra più valida.
Anna Segre, insegnante
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L'Islam in Europa |
Dovrebbe
far riflettere la frase pronunciata – attenendosi ad un articolo del
Corriere della Sera – dal fratello di Yoav Hattab, uno dei quattro
assassinati nella strage all’Hypercacher di Porte de Valenciennes: «La
Tunisia è più sicura della Francia». La stessa famiglia Hattab, di
nazionalità tunisina, era già stata colpita nell’attentato del 1985 a
Djerba, e la maggioranza degli ebrei francesi, è risaputo, è di origine
maghrebina, quindi rifugiati in Francia a causa prevalentemente
dell’antisemitismo di matrice araba.
Francesco Moises Bassano, studente
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Laboratorio Israele |
Forse
non tutti sanno che dall’anno scorso lo psicometrico, il test di
accesso alle università israeliane, conosciute per la loro eccellenza,
è anche in italiano.
Ilana Bahbout
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